Don Giorgio Pontiggia

Don Giorgio Pontiggia. «Cristo è veramente tutto, è il compiersi dell’umano»

Il primo incontro negli anni Sessanta. La compagnia di amici in seminario. E poi il legame con don Giussani, Gs, il Sacro Cuore. Ricordo di un uomo che, lasciandosi educare, è diventato un padre per migliaia di ragazzi (da Tracce, novembre 2009)
Giorgio Vittadini

«Don Giorgio rimarrà per tutti noi un esempio di una sequela del carisma nell’oggi della vita del movimento». Questa frase del messaggio di Julián Carrón per la morte di don Giorgio Pontiggia ne definisce bene tutta la vita. Eppure, Giorgio a 14 anni era solo un ragazzo che, come tanti allora, aveva precocemente cominciato a lavorare e nel tempo libero frequentava una compagnia di amici appassionati di teatro, a cui partecipava anche il giovane Renato Pozzetto. Era una vita in cui la fede non trovava grande spazio.
Il Signore lo attende fino al momento in cui, nel 1963, la compagnia di amici si accosta alla parrocchia Santa Maria di Caravaggio di Milano, con l’unico motivo di avere una sala dove fare teatro. Qui è coadiutore un prete del movimento, don Fernando Tagliabue, che inizia a fargli scoprire la bellezza della fede. A tal punto che Giorgio decide di dedicare a Cristo tutta la vita. Entra in seminario, dove fa il liceo e poi studia teologia. Lì si forma una compagnia di amici che seguono il movimento, il “Gruppo di comunione”, con Giacomo Tantardini, Carlo D’Imporzano, Giacomo Martinelli, Pietro Spreafico, che si unisce presto al gruppo “Ukamba” a cui aderiscono Luigi Negri, Mario Peretti, Angelo Scola. Nasce un’esperienza esaltante che il cardinal Scola ha ricordato nel messaggio inviato per la sua morte: «Don Giorgio possedeva la straordinaria capacità di destare in tutti, soprattutto nei giovani, questo ardente desiderio. Nello stesso tempo non desisteva dall’essere di continuo pungolo alla libertà perché ci si assumesse fino in fondo la responsabilità personale e comunitaria del dono della fede». È a un incontro organizzato da Peretti per i seminaristi che gravitano attorno al movimento che Giorgio incontra don Giussani per la prima volta.
La passione per Cristo e per gli uomini determina la personalità di don Giorgio quando, nel 1970, uscito dal seminario, dopo una breve esperienza di vicerettore al Collegio San Carlo, viene destinato come coadiutore nella parrocchia di Santa Maria alla Fontana, a Milano. Anche qui, i segni della crisi del ’68 sono evidenti: l’oratorio è sguarnito, rimane solo una piccola comunità giovanile che presto si squaglia.

«Ho ricominciato dai ragazzi». Ma don Giorgio non demorde: «Ho ricominciato dai ragazzini, facendo funzionare l’oratorio in un certo modo. Ero lì tutti i giorni e facevo io tutto, giochi comuni, il canto, la preghiera tutti i giorni, e vedevo che i ragazzini si entusiasmavano». Ben presto don Giorgio si rende conto che l’attività in oratorio non basta, perché il cuore della vita di questi ragazzi rimane la scuola. Così, nel ’72, inizia a insegnare al liceo Cremona dove, grazie ad altri insegnanti, come la mamma dei Canetta e Massimo Cenci, nasce una comunità del movimento, mentre i ragazzi dell’oratorio creano comunità nelle loro rispettive scuole. Sono nomi noti di ragazzi oggi adulti: Luciano Riboldi, Edoardo Bressan, Franca Rava, Edo Barbieri, Marco Artoni, Danilo Vismara, Guido Negri, Antonio Simone, Luigi Amicone: i primi di un’infinità di altri. «Adagio adagio, la Casa della Gioventù della Fontana è diventata la sede di Gs di tutta quella zona e qui i ragazzi venivano a fare i compiti. Avevamo creato anche un luogo, “La cappellina”, dove le mamme venivano a far da mangiare per tutti... Io ero lì tutto il giorno, implicato con la vita di quelli lì. Mi chiamavano, mi chiedevano consiglio, mi facevano vedere le cose...».
Lì va a mangiare anche il nascente Clu. Don Giorgio non partecipa alle cene, ma si affaccia all’inizio o alla fine: don Giussani, in quella paternità che crescerà ogni giorno per tutta la vita, gli chiede di correggere, di consigliare. Anche i ragazzi del Clu lì presenti hanno modo di conoscere il suo temperamento «in apparenza autoritario, in realtà paternamente affettuoso», come ha detto il cardinale Tettamanzi, tale da mostrare, come dice ancora Carrón, «che essere cristiani significa essere uomini, senza censurare o dimenticare nulla».
E questa è una cosa a cui molti adulti non poterono rimanere indifferenti: «Allora i Meregalli, i Negri, i Tagliazucchi, gli Amati, i Piccarolo, i Giannattasio, si sono aggiunti, anche perché questo richiamava la loro esperienza giovanile; i loro figli non erano mai stati così contenti e così impegnati col cristianesimo». Nascono addirittura alcune opere: il consultorio, il centro culturale Camponuovo, una cooperativa di consumo, la sede per Gs, comprata con una sottoscrizione degli adulti.

Don Giorgio al Triduo pasquale di GS durante la Via Crucis

Gli anni di Gs. Don Giussani segue con attenzione l’esperienza della Fontana e nel ’78 propone a don Giorgio di assumersi la responsabilità di tutta Gs milanese - che diventerà, in seguito, nazionale - perché, vedendo i “suoi” all’università, si accorge che «si muovono in modo diverso». Questa responsabilità, condivisa per anni con Elena Ugolini, per don Giorgio significherà da lì fino alla fine, innanzitutto, una implicazione personale: «L’unica cosa che mi muove a stare con i giovani è il pensiero che quelli lì sono in cammino come me, sono parte di me, abbiamo lo stesso destino».
Ed è con questo spirito che nel 1984 accetta la proposta di Paolo Sciumè e don Carlo D’Imporzano, insieme a don Giussani, di guidare il nascente Sacro Cuore: «Ho accettato, anche se non sapevo neanche cos’era una scuola, sapevo solo cos’era il liceo Cremona». Non è una decisione da poco quella di lasciare una realtà così significativa come quella della Fontana, ma don Giorgio comincia l’avventura del Sacro Cuore, ancora una volta mosso dalla passione alla vita del singolo ragazzo. Ogni mattina è presente all’ingresso per poter guardare in faccia tutti gli studenti; ogni giorno è pronto ad ascoltarli e a coinvolgersi con i loro problemi. Ne nasce una simpatia profonda, e non si contano quelli che raccontano: «Al Sacro Cuore don Giorgio mi ha fatto diventare un uomo». Nello stesso tempo, come rettore, edifica la scuola. Non basta assicurare un buon livello didattico e morale, come in molte altre scuole cattoliche, perché «la vera alternativa è se l’educazione deve essere svolta attraverso una presenza o se l’opera educativa deve essere svolta da un’istituzione. Allora io non voglio che la scuola educhi; io voglio che la scuola permetta che un uomo possa educarsi». Perciò fa di tutto perché il Sacro Cuore non diventi “la scuola confessionale di Cl”: la genialità del carisma deve essere innanzitutto una novità nelle ore di lezione. La proposta contenuta ne Il rischio educativo (tradizione, critica, esperienza nel presente) vive innanzitutto nell’ atteggiamento personale dei docenti: «Il frutto più grande del vostro impegno non è la soluzione dei problemi dei ragazzi: è il cambiamento vostro, nella partecipazione ai problemi che vi si presentano nel rapporto con loro, che vi renderà più maturi nella vostra vita di tutti i giorni».
Ciò stimola anche un lavoro culturale come riflessione sull’esperienza in atto dell’insegnamento, che porta alla rivisitazione della proposta didattica in un dialogo costante con Eddo Rigotti, con Onorato Grassi, con i presidi e gli insegnanti. Nasce quel metodo che dal Sacro Cuore, pian piano, si estende a tante altre scuole e fa sì che i ragazzi del Sacro Cuore siano spesso considerati all’università tra i più preparati.
Nello stesso tempo, distinta dall’istituzione e dalla didattica, viene proposta al Sacro Cuore l’esperienza di Gs che, grazie alla collaborazione di insegnanti quali don Giorgio Assenza, Cristina Guazzarri e molti altri, dà vita ad una fiorente comunità che spicca per la libertà della proposta e dell’adesione.

La ricchezza dell’età. Ma c’è una testimonianza ulteriore che il Signore, ad un certo punto, chiede a don Giorgio: a 53 anni ha il primo infarto, a cui ne seguirà un altro; successivamente si ammala di tumore al pancreas, in seguito di diabete. Per 16 anni accetta la malattia senza lamentarsi, e segue con fedeltà le indicazioni dell’équipe medica guidata da Raffaele Pugliese e Aldo Tel. Ma non smette di dedicarsi ai ragazzi, in Gs e al Sacro Cuore: «Certe volte mi domando, con i miei ritmi ormai rallentati, come faccio a stare in mezzo ai giovani. Non mi possono legare gli interessi, le attività sportive o ludiche, non ce la faccio più. Quando mi faccio questa domanda capisco che io, come loro, sono fatto e sono in cammino verso il destino, verso lo scopo. Questo unisce, e l’età diventa una ricchezza». Don Giorgio capisce che questa responsabilità implica un coinvolgimento totale con gli adulti che più gli sono amici e condividono la sua passione educativa al punto tale che, in un momento particolarmente drammatico della sua vita, inizia con loro una nuova fraternità. La modalità è semplice: una cena ogni due o tre settimane, senza ordine del giorno, una sorta di conversatio in coelis che, anche grazie a lui, è sempre intensa e toccante. Ne nascono anche nuove intuizioni e proposte educative. Così, insieme a Lucio Farè, Gloria Cuccato, don Marcello Brambilla, dà vita ai gruppi del Graal che, attraverso momenti di convivenza e di studio guidati, introducono i ragazzi delle medie alla scoperta della bellezza e della corrispondenza all’umano del cristianesimo, e in poco tempo si diffondono a macchia d’olio in tutta Italia e all’estero. Con Alberto Bonfanti genera Portofranco, un Centro di aiuto allo studio libero e gratuito proposto in tutte le scuole superiori, che si diffonde in molte città.
Su tutto questo operare è sempre intenso il dialogo con don Giussani: «Quando andavo a trovarlo, leggevo alcuni interventi che facevano gli studenti durante le riunioni; lui rimaneva sorpreso per la pertinenza e per la profondità con cui esprimevano il fatto di Dio in mezzo a noi che cambia la vita di tutti i giorni. Rimaneva così commosso da esclamare che occorreva imparare da loro».
E questo dialogo acuisce il desiderio di immedesimazione nel carisma: don Giorgio dedica molte ore al giorno a leggere e schedare i testi di don Giussani, a cercare libri, dischi, film che possano aiutare nel cammino i suoi ragazzi, a prepararsi scrupolosamente per gli innumerevoli incontri che dirige ovunque. In questa sequela, in un memorabile incontro del ’92, Giussani suggerisce a don Giorgio e ai suoi amici preti una modalità con cui l’immedesimazione nel carisma può crescere: divenire compagnia guidata al destino. Nasce così lo Studium Christi, una fraternità di preti che decidono di seguire la regola dei Memores Domini e, pur rimanendo radicati nell’incarico e nel luogo assegnati loro dal Vescovo, si incontrano spesso in una casa limitrofa a quella di don Giorgio al Sacro Cuore, mettendo in comune soldi, preghiera, giudizio sulla propria vita. La fraternità dello Studium Christi lo accompagnerà così fino all’ultimo istante.
A tal punto don Giussani sente affascinante questa proposta, che decide di passare gli ultimi anni della sua vita al Sacro Cuore, nel desiderio di condividere l’esperienza dello Studium Christi. Racconta don Giorgio di quel periodo: «Era commovente vederlo pregare! Molto spesso don Giussani leggeva il breviario, mi faceva segno solamente di stargli vicino, mi leggeva qualche versetto e me lo spiegava. Quando non stava bene, magari riusciva a leggerne solo un pezzettino, ma era la sua vita. Non c’era reale dove non ci fosse dentro un germe di letizia e, quando provava difficoltà, chiedeva solo che gli ricordassimo Cristo».

Figlio del carisma. La figliolanza nel carisma continua per don Giorgio, dopo la morte di don Giussani, nell’affezione e nella sequela a Carrón: «Non potete sapere cosa è stata la morte del Giuss per noi che gli siamo stati amici per tanto tempo. Ma a un certo punto ho capito che l’attaccamento a lui e l’amore a Cristo passava per un reale attaccamento a chi lui ci aveva indicato». Da questa sequela, nasce la passione con cui - andando in pensione - introduce alla responsabilità del Sacro Cuore don Eugenio Nembrini, e la sintonia totale con la novità portata dalla presenza alla guida del Cle di suo fratello Franco Nembrini.
Sono segni di una povertà lieta e stupita che domina ormai tutta la sua vita, il cui segreto è rivelato da don Giorgio stesso in una cena della fraternità, poche settimane prima di morire: «Cristo è veramente tutto, è il compiersi dell’umano». Le ultime settimane di passione, assistito amorevolmente da Angela Grisenti e Marisa Mighetti e dai suoi familiari, gliene fanno fare esperienza piena fino al sacrificio supremo.