La locandina del film.

L'innocenza di Pricò

De Sica gira questa pellicola sotto il regime, nel 1943. È la storia di una famiglia allo sfascio vista con gli occhi del piccolo Pricò. Uno sguardo giudice sul male dei genitori e, senza saperlo, del suo tempo
Luca Marcora

Vittorio De Sica, prima di essere uno dei maestri della grande stagione neorealista del cinema italiano era noto fondamentalmente per i suoi ruoli da attore brillante nel cinema dei “telefoni bianchi”, come Gli uomini, che mascalzoni… (1932), Darò un milione (1935) e Il signor Max (1937), tutti firmati da Mario Camerini. La realtà edulcorata di queste pellicole, dove protagonisti erano il gioco sentimentale e una visione spensierata della vita, era anni luce lontana dalla reale situazione del Paese. In piena Seconda Guerra Mondiale, quando ancora il fascismo utilizzava la settima arte per fini di propaganda, proprio quell’attore visto tante volte interpretare personaggi scanzonati, mettendosi dietro la macchina da presa mette in scena, nonostante la censura, una vicenda inedita e in un certo modo anticipatrice del corso che il cinema italiano prenderà dalla fine della guerra.
Vale la pena riportare quanto scrive Gian Piero Brunetta nel primo volume del suo libro Cent’anni di cinema italiano (Laterza, Roma-Bari 1995, p. 200): «Con I bambini ci guardano è persa la magica atmosfera cameriniana e tutta l’esperienza del reale è vissuta attraverso gli occhi di un bambino. Quest’opera rappresenta la disgregazione di un mondo, la perdita prematura delle illusioni da parte di un bambino che, col suo silenzio, nel finale esprime una condanna senza appello nei confronti del mondo dei grandi». [Cesare] Zavattini (sceneggiatore del film) a proposito di questo film dichiara: «I bambini ci guardano è stato una tappa importante del mio mestiere di cineasta e anche del mio mestiere di persona umana (…). Attraverso il personaggio del bambino sentiamo per la prima volta la creatura umana, mentre tutti i miei personaggi precedenti avevano qualcosa del manichino».
Alla tragedia di una famiglia che si disgrega sembra che nessuno sia in grado di dare un aiuto concreto: non ci riesce il padre Andrea, che sembra tragicamente incapace di reagire con fermezza contro l’invadenza di Roberto (i due, in tutto il film, non si confronteranno mai direttamente), la cui ossessione per Nina passa sopra ogni cosa pur di averla solo per sé. Né tanto meno ci sono figure amiche, ad eccezione forse della sola governante Agnese (G. Cigoli): sia i vicini di casa, sempre pronti a ficcare il naso in casa altrui per cogliere le ultime novità di cui poter sparlare, sia gli “amici” conosciuti durante il soggiorno al mare ad Alassio, sono figure che sanno solo giudicare Andrea e Nina dall’alto di una loro non meglio giustificata superiorità morale, tanto rimarcata da risultare quasi caricaturale. «Chi è la madre di questo bambino?» chiederà un carabiniere dopo la fuga di Pricò e la tanto pronta, quanto sprezzante e sostanzialmente inutile risposta di una donna lì presente sarà: «Io no!».
«I bambini ci guardano»: Pricò guarda questi adulti che sono incapaci di essere davvero responsabili, li osserva comprendendo cosa succede e, unico perché ancora innocente, alla fine li può severamente giudicare perché traditori di tutte le sue domande e attese. Un atto d’accusa questo che sembra quasi rivolgersi a tutto quel mondo adulto che, con la sua ottusità e il suo egoismo, ha lasciato che l’Italia di quegli anni fosse gettata dentro la bufera del totalitarismo e della guerra, per poi essere abbandonata al proprio tragico destino.
Quello di Pricò è il primo: il cinema italiano successivo sarà costretto a ricominciare a raccontare partendo dallo sguardo curioso e pieno di speranza di bambini come lui.

I bambini ci guardano (IT 1943) di Vittorio De Sica
con Emilio Cigoli, Luciano De Ambrosis, Isa Pola, Adriano Rimoldi, Giovanna Cigoli, Jone Frigerio
DVD: Dolmen HomeVideo