Giovanni Bizzozero.

Giovanni, un amico che ci ha mostrato Cristo

A Varese i funerali di Giovanni Bizzozero, lo studente di Veterinaria morto nella notte tra giovedì e venerdì in un incidente: «Attraverso di lui, il Signore ci chiede: cos'hai di più caro?». L'omelia di don Ambrogio Pisoni

Varese, Basilica di San Vittore, 7 novembre 2011

Ti ringraziamo, Signore Gesù, perché ci hai commossi fin qui oggi. Non è una svista linguistica, ma un giudizio che dice fino in fondo la verità di quello che stiamo vivendo in questo momento assolutamente unico: siamo qui perché un Altro ci ha chiamati, ci sta muovendo, ha così a cuore la nostra vita che ci ha condotti fin qui insieme, cioè ci ha com-mossi. E ha cominciato a commuoverci qualche tempo fa: 23 anni fa per il padre e la madre di Giovanni, qualche tempo dopo (fino a poche ore fa) per ciascuno di noi. Altrimenti non saremmo qui.
Perché è il Signore, è Lui, Colui che non possiamo cercare tra i morti perché è vivo! È resuscitato, cioè è qui adesso. Sta accadendo adesso, nella festa della vita che è la Sua Santa Eucaristia che stiamo celebrando. È questo Signore che un giorno è entrato, discretamente e definitivamente, nella vita di Giovanni: nel giorno del suo Battesimo, il regalo più grande che i suoi genitori hanno fatto alla sua vita. E poi attraverso l’incontro definitivo, affascinante, pieno di bellezza, di musica, di gioia, di letizia: è stato l’incontro con il carisma donato a don Giussani che, a un certo punto, ha affascinato con la sua forza di bellezza irresistibile il cuore, la libertà, la ragione, la carne di Giovanni. Perché noi abbiamo avuto la grazia di incontrarlo così.
Così che oggi, alla radice del nostro cuore, sta balbettando in qualcuno, in altri forse in maniera più chiara, più potente, la domanda dei discepoli di Gesù consegnata per sempre al Santo Vangelo. La domanda che Pietro, Giacomo, Giovanni, Andrea, Bartolomeo, davanti alla persona di Gesù, davanti ai Suoi gesti e alle Sue parole, sentivano prepotente ergersi dentro di loro, fino ad affiorare sulle loro labbra: «Chi sei Tu, cui il mare e il vento obbediscono?». Chi sei Tu, che sei capace ancora oggi di affascinare così la nostra vita? Chi sei Tu, che hai preso fino alla radice il cuore di Giovanni e hai compiuto la sua vita? Perché quando ci si congeda da questo mondo, la ragione è una sola (la Chiesa l’ha ricevuta, questa ragione, la custodisce e l’annuncia al mondo in maniera instancabile): il congedo da questa vita avviene quando il nostro compito si compie, quando abbiamo assolto il nostro compito. A 23 anni, a 16 anni, a 100 anni… La morte, l’ultimo atto di una vita che si è consegnata, è il suggello di questo.
Siamo qui perché noi abbiamo avuto la grazia di incontrare questo amico. Con gli occhi sempre aperti, con il cuore sempre attento, con una generosità senza limiti non dovuta alla bellezza del suo temperamento. Giovanni non ha avuto pudore nel manifestare nella sua vita il segreto che l’animava, la forza che la rendeva giovane ogni giorno, la bellezza che l’affascinava: forza, bellezza, bontà, verità, che hanno il nome e il volto di Gesù Cristo. A questa Presenza, Giovanni ha consegnato la sua vita. E il Signore è stato generoso: attraverso di lui, infatti, ha toccato almeno le vite di noi qui oggi. E chissà quante altre. Così che il Signore, attraverso di lui, ancora una volta ha confermato il metodo con cui sta nella storia, con cui rimane presente, vivo tra i vivi: il metodo è la testimonianza. Così noi possiamo ancora oggi conoscere Cristo, e dopo la vita terrena di Giovanni possiamo dire, e dobbiamo dire: «Signore grazie, perché ti conosciamo di più: Ti sei concesso a noi, attraverso Giovanni». Perché è questo che è veramente accaduto.
Qualcuno, incontrandolo in questa stagione così intensa della sua vita, quando lo vedeva così limpidamente ingenuo di fronte alle cose, faceva fatica a trattenere un sorriso lievemente imbarazzato. Di quell’imbarazzo strano che ci prende sempre, quando siamo davanti ai testimoni del Signore, davanti ai bambini. Perché essere cristiani vuol dire essere chiamati a diventare grandi come un bambino, e Giovanni è diventato così rapidamente grande come un bambino, che il Signore gli ha detto: «Vieni, servo buono e fedele, vieni. Adesso continuerai a lavorare con me dall’altra parte». Cioè più presente di prima. Quel sorriso imbarazzato che ci mette un po’ in difficoltà, perché facciamo ancora fatica ad arrenderci di fronte alla testimonianza disarmante del Mistero. Eppure siamo costretti a renderci ancora conto che veramente si può vivere così, come ha vissuto Giovanni. Cioè lasciando che il Signore diventi realmente il Signore della mia vita. Il Signore dell’istante. Il Signore della libertà. Il Signore del cuore. Il Signore della ragione. Il Signore della carne e del sangue.
Qualcuno tornerà a casa più pensoso, perché il testimone ci inquieta. Come è inquietante la presenza del Signore, quel Signore che - come don Giussani instancabilmente ci ricordava - ama la nostra libertà più della nostra salvezza. Per questo è inquietante. Eppure è così segretamente atteso, così desiderato. Così che quando incontriamo i Suoi amici, i Suoi testimoni, coloro che hanno avuto l’umiltà e il coraggio di rispondere alle domande di Gesù… Come è stato per Giovanni, perché Giovanni ha risposto alle domande di Gesù, alle domande consegnate per sempre alla Sua parola scritta e santa, il Vangelo: «Giovanni, che cosa stai cercando?». È la domanda che fa ad ognuno di noi: prima di morire bisogna rispondere a questa domanda! E non sappiamo quando accadrà. «Che dice la gente di me, Giovanni? E tu cosa dici?». Fino a quel momento drammatico e supremo in cui il Signore ha avuto il coraggio di chiedere a Giovanni, come a noi oggi: «Giovanni, se ne sono andati tutti. Non hanno retto di fronte allo scandalo di un amore così grande che si concede nella carne, perché se tu non mangi la mia carne… Giovanni, vuoi andartene anche tu come gli altri?». E Giovanni è rimasto: se andiamo via da te, Signore, dove andremo? Che ne sarebbe della nostra vita senza di te? Della nostra vita, del nostro piangere e del nostro sorridere, del nostro lavoro e del nostro amore, delle nostre lacrime e della nostra fatica. Fino all’ultimo: «Giovanni, mi ami tu? Ester, mi ami tu? Flavio, mi ami tu?». A ciascuno di noi che siamo qui: «Mi ami tu? Che cosa ti è veramente caro nella vita?». Il Signore attraverso Giovanni ce l’ha detto: «Non c’è nulla di più caro che la mia vita. Perché senza di me non potete vivere».
Per questo, oggi il nostro sentimento deve, almeno una volta (e forse per qualcuno è la prima volta), sottomettersi al giudizio. E il giudizio non è una parola astratta: il giudizio è questa assemblea di noi qui, che stiamo partecipando dell’atto di Cristo che rinnova il Suo sacrificio per la salvezza del mondo, l’Eucaristia. Questa assemblea è il giudizio sul mondo: Egli è vivo, non cercatelo più tra i morti! Egli è vivo ed è qui! E ha riempito di Sé a tal punto la vita di Giovanni, che il cuore di Giovanni a un certo punto sanguinava di amore per Lui. Questa è la verità sulla sua così breve e intensa vita.
Ma la nostra vita non è mai breve, perché il tempo - ci ricordava don Giussani - non è qualcosa che passa: è Cristo che ci viene incontro. Non dimentichiamolo. Questa è la grande risposta alla domanda inesorabile che Agostino ha consegnato a tutta la storia della Chiesa, a tutti gli uomini: che cos’è il tempo? Il tempo è Cristo che mi viene incontro. Il Signore dell’istante, il Re della gloria, dello spazio e del tempo, capace di riempire la vita nostra fino a quel punto. Di renderla piena di ingenua baldanza. L’abbiamo visto coi nostri occhi, cos’è l’ingenuità. E Giovanni era un ingenuo: non come può essere ingenuo un bambino, che paga ancora il debito dell’essere bambino, ma quell’ingenuità voluta che nasce da un amore totale. Da un sì a Cristo senza riserve. Così si sta nel mondo. A 20 anni e a 90 anni, si sta nel mondo così, perché questa è la ragionevolezza suprema cui siamo chiamati: vivere così perché Cristo è tutto, presente qui e ora.
Grazie, Signore, che ci hai permesso di incontrarlo. Perché adesso, tornando alle nostre case, dicendo «arrivederci» a Giovanni, conserviamo la memoria della sua testimonianza come sorgente della nostra speranza. Perché, nella vita della Chiesa, la speranza coincide con la memoria: fiori bellissimi che rinascono continuamente dalla radice della fede, cioè dall’uomo che Lo riconosce presente.
Torneremo alle nostre case più lieti, ne sono certo. La letizia è quella strana posizione del cuore che nasce miracolosamente dalla fede, e che convive anche con il dolore. E solo in quel momento svela il suo volto vero: il dolore, il nome vero dell’amore. Torneremo alle nostre case più certi, più lieti, e perciò più inquieti: «Chi sei Tu, Signore, capace di compiere (oggi, adesso, qui, in questo momento!) questo miracolo? E di convocarci così?». Non abbiamo potuto rimanere a casa, non abbiamo potuto vivere questo lunedì come il lunedì dell’anno passato o come il giorno prima. Non abbiamo potuto farlo. Perché? Chi sei Tu, capace di riempire di questa letizia la nostra vita? Chi sei Tu, capace di rendere così certa la nostra vita, in un mondo che grida tutto il contrario di questo? Eppure il mondo attende questo. Tutto il mondo e tutti gli uomini attendono Cristo, cioè i suoi testimoni. Giovanni non ha mai detto “no”. E, se è stato possibile per lui, è possibile per me ed è possibile per te. Nell’abbraccio di Cristo che è il Battesimo, nel germogliare continuo, nel rinnovarsi instancabile del nostro essere nuova creatura, questa certezza diventa ogni giorno più grande.
Per questo, Giovanni, ti diciamo grazie. E, così come ci hai accompagnato in questi brevi istanti così definitivi della tua vita su questa terra, Giovanni, ti preghiamo: non abbandonarci! Anzi, siamo certi che non ci abbandonerai, perché la memoria della tua storia diventa già adesso sorgente di speranza e di certezza rinnovata. Perché sappiamo (altrimenti non saremmo qui) che si può davvero vivere così. La tua testimonianza porterà alla vera domanda: abbiamo bisogno di Te, Signore Gesù. E basta. In ciò che viviamo abbiamo solo bisogno di Te.
Lasciamo che la nostra vita, come quella di Giovanni, si lasci mendicare da Cristo. La cosa più ardua della nostra vita è accettare di essere amati da Cristo così: «Egli, mendicante del nostro cuore, e il nostro cuore mendicante di Lui». Parole indimenticabili proclamate con voce vibrante di emozione e di certezza da don Giussani davanti al Papa (e perciò davanti al mondo intero), il 30 maggio 1998 in Piazza San Pietro. Questa è la bellezza della vita dell’uomo: Cristo, mendicante del nostro cuore, e il nostro cuore mendicante di Cristo. Questa mendicanza è la nostra ricchezza. Questa mendicanza è la nostra certezza. E, per questo, sia lodato Gesù Cristo.
(Appunti non rivisti dall'autore)