In seimila con una domanda: «Tu, chi sei?»

Sono arrivati da tutta Italia. Tre giorni insieme, a Rimini. Per guardare in faccia, con tutta la loro affezione, «Colui che unico si rivolge al cuore rispondendo al suo desiderio»
Gianni Mereghetti

Una esplosione di domande, questo mi ha commosso del Triduo Pasquale di Gs che si è svolto a Rimini dal 5 al 7 aprile e a cui hanno partecipato 6.500 studenti accompagnati dai loro insegnanti. Una esplosione di domande, scatenate dalla intensità e dalla radicalità con cui don José Medina ha proposto ai giovani che hanno partecipato alla tre giorni di guardare in faccia a Cristo, di stare con la loro intelligenza e la loro affezione davanti a Colui che unico si rivolge al cuore rispondendo al suo desiderio.

Sono state domande di ragazzi e ragazze che hanno accettato la sfida a fare un lavoro, che si sono mossi a partire da un fatto accaduto dentro la loro vita: come hanno detto molti di loro, l’irrompere di uno sguardo in cui la propria umanità è stata pienamente valorizzata, l’imbattersi in una compagnia in cui sentirsi voluti bene, un’esperienza che li ha portati a dire "Tu" a Cristo con una certezza che non viene da nessuna analisi, da nessuna ricerca intellettuale e neppure da una flessione sentimentale, perché è qualcosa che è accaduto a imprimere una direzione nuova della vita, un incontro reale come quello di Giovanni e Andrea, come quello di Pietro, come quello di Nicodemo.

Le domande che alcuni delle migliaia di studenti hanno posto sabato 7 aprile nell’Assemblea che ha concluso il Triduo e che hanno interpretato le domande di tutti hanno documentato in modo impressionante quanto è accaduto nei tre giorni riminesi. Non la celebrazione di un rito cristiano, non la rievocazione del mistero della morte e resurrezione di Cristo, ma qualcosa di più, un incontro, Cristo presente che si è imposto nell’orizzonte di giovani condizionati dalla mentalità che don José Medina ha descritto in modo suggestivo con l’immagine del multi-tasking, fare tante cose ad alta velocità, correndo via dall’una all’altra senza essere mai presenti. Dentro un mondo e una scuola che cospirano affinché si taccia di sé la proposta del Triduo Pasquale non è stata quella di riflettere su di sé, di fare una analisi della propria umanità, come se il capogiro del vivere ad alta velocità si potesse curare con una terapia psicologica, la proposta che don José ha fatto con una particolare vibrazione è stata che c’è un uomo, Gesù, che ha a cuore il destino di ognuno di noi, che è venuto dentro il tempo perché ognuno di noi possa gustarsi la vita. Commuove che dei giovani abituati a correre da una cosa all’altra, da un rapporto all’altro, da un interesse all’altro, si siano fermati a guardare in faccia a quest’uomo, a fissare i suoi tratti, commuove che abbiano iniziato a prendere sul serio il fatto che vi sia Uno che abbia a cuore le loro domande più vere, tanto da iniziare a rischiare tutta la loro vita su di Lui.

L’assemblea che ha concluso il Triduo Pasquale è stata la testimonianza più convincente della resurrezione di Cristo, dei ragazzi e delle ragazze che hanno avvertito l’abbraccio di Cristo alla loro umanità tanto da ridestarla e da lanciarla all’attacco di una promessa di vita piena. Che Lui sia risorto ne sono stato segno i giovani che a don José Medina hanno chiesto con insistenza di sostenere il loro cammino perché sia all’altezza dei nostri desideri.

Il Triduo, che ha avuto come tema “Quello che abbiamo di più caro”, è esploso in un incalzare di domande, in realtà comprese in un’unica e vibrante domanda: «Tu chi sei? Tu che con uno sguardo che nessuno ha ci sei venuto incontro e ci hai fatto provare una tenerezza verso noi stessi di cui non saremmo capaci? Tu chi sei?».

E la forza di questa domanda ha reso ancor più vero l’augurio presente nel messaggio che ha inviato don Julián Carrón, quello di trovare «sempre di più tra di voi amici che, come il decimo lebbroso, non si accontentino di niente di meno della Sua presenza, della Sua amicizia».

Tutto il Triduo è stato segnato da questo cambiamento di direzione dello sguardo a cui ha sfidato don José, fin dal Giovedì Santo nella lezione introduttiva e nella messa in Coena Domini. Non guardare a se stessi, non fermarsi ad una analisi pur puntuale dei tanti problemi che si hanno, ma attaccarsi con la propria intelligenza e affettività al Mistero che si è introdotto nella vita, che ha toccato le corde più profonde del desiderio, che si è rivolto alla nostra libertà valorizzandola pienamente, che ha portato quello che il cuore cerca, la felicità.

Guardare a Lui presente, questo è stato il venerdì santo con la lezione di don José Medina sul mistero della passione e morte di Cristo, sulla sua compagnia all’uomo, con la Via Crucis a San Leo, nel paesaggio ondulato intorno alla rocca fino al Convento di Sant’Igne: e in ognuno di questi gesti la sfida a cambiare metodo, a lasciare il metodo che il potere vorrebbe imporre e che riduce la realtà al proprio angusto orizzonte per abbracciare il metodo che la Sua presenza ha portato, il metodo che valorizza le esigenze di verità, di giustizia, di amore, di bellezza di cui è costituito il cuore e che porta a guardare la realtà nella sua interezza. Questo ha portato Cristo, uno sguardo di positività totale sulla realtà, tanto che diventa un’avventura affascinante il seguirlo, un’avventura perché c’è in gioco la possibilità di gustarsi la vita. Le assemblee che si sono svolte negli alberghi il venerdì sera e che hanno preparato l’Assemblea di sabato mattina con la quale si è concluso il Triduo sono state la documentazione travolgente che il Mistero è all’opera, e ne è segno la mossa di libertà di tanti ragazzi e ragazze che cominciando a verificare la promessa che Cristo è si sono trovati a sorprendere le pieghe della loro umanità e a provarne tenerezza. Questo è commovente, che Cristo oggi muove l’umano.