Chiamati a riconoscere e a compiere qualcosa di grande

Militanza
Cristina Terzaghi

Proponiamo gli appunti degli interventi di Bona Castellotti e Cesana durante l’incontro coi 2600 volontari che hanno permesso la realizzazione del Meeting. Rimini, 23 agosto

Marco Bona Castellotti
« Il fine ultimo dell’uomo fu da sempre un fine soprannaturale e da sempre fu destinato [l’uomo] a pervenire al suo adeguato sviluppo in questa dimensione che si trova al di là della sua natura» (von Balthasar). Ora, questa dimensione soprannaturale, il pensiero del 900 e quello attuale o la negano, molto spesso per indifferenza, riportando tutto a una dimensione immanente, o confondono il soprannaturale con qualcosa di astratto, d’impalpabile e al quale si accede con una forma di spiritualismo. Invece per il cristiano il soprannaturale ha qualcosa di estremamente concreto e inerente la natura dell’uomo. L’uomo, grazie a quella parte di sé che può accedere a una dimensione, “che va al di là della sua natura”, è chiamato a riconoscere e a compiere qualcosa di grande. Come si pone in questa dimensione di grandezza qualcosa di apparentemente piccolo e umile come è, per esempio, un certo tipo di lavoro, come gran parte di quello che si svolge al Meeting: piantare chiodi, pulire per terra, lavorare in cucina, sbucciare le patate?… Che cosa c’entra questa umiltà con la grandezza di cui siamo assetati e di cui saremmo capaci? Perché la tradizione cristiana che passa attraverso la storia monastica e arriva fino a oggi - perché anche nel pensiero di don Giussani il lavoro viene trattato con simile rispetto - ritiene che queste cose umili possano essere grandi? So io soddisfare il mio umano desiderio di grandezza compiendo cose umili? La risposta, che è sì, è inerente al valore supremo del cristianesimo che è quello della povertà. Nella povertà per i cristiani la grandezza di un’opera umile viene assicurata e determinata da due fondamentali fattori: il primo è che la mia persona, il mio io, si realizza nella sua piena unità, di mente perché è cosciente di quello che fa, e di cuore perché prova una grande gioia nel farlo. La seconda condizione è che fare qualcosa di umile diventa tanto più bello a offrirlo, a farlo per. È questo il valore dell’offerta che si stringe, si imparenta con il valore della povertà quanto più io riesco ad avere coscienza di essere servo. Dal servire si sprigiona un senso di grandezza è come se mi venisse tributato un supplemento di personalità e in qualche modo il pensiero laico, il pensiero liberale lo ha compreso, ma ha falsificato questo fascino del poter servire quando ha inventato la figura del filantropo che fa del bene. Cosa distingue la grandezza del filantropo liberale dalla grandezza di noi poveri servi di Cristo e degli uomini? Che la grandezza del filantropo cresce in proporzione allo splendore di quello che sa fare e se ciò che fa non è grande agli occhi del pubblico, non esiste; la grandezza del cristiano non ha bisogno di essere coronata né dal successo né dall’utilità di ciò che è. Il cristianesimo esalta la persona, anche se la persona è servo inutile. Perché la povertà del nostro fare e la sua offerta a Dio ci portano a una essenzialità che ci avvicina di più al vero, alla verità. In tal senso la vicinanza al vero ci rende grandi. Auguro a tutti voi, e mi ci metto anch’io, di cercare instancabilmente la verità. Cerchiamo la verità, siamo sulla strada giusta, ma molto spesso siamo distratti e tradiamo la bellezza della ricerca della verità. Il cercare la verità pone però delle condizioni, una delle quali è riconoscere la grandezza della povertà.

Giancarlo Cesana
Il problema di Dio nasce proprio dall’esigenza di felicità, perché per poter essere felice ho bisogno di scoprire chi mi ha fatto, devo conoscerlo e capire di che cosa sono costituito, il che ha una conseguenza: per essere felici bisogna seguire chi ha le chiavi della felicità; non si può essere felici facendo quello che pare e piace. Frequentemente cerchiamo con insistenza una cosa che ci sembra giusta e alla fine scopriamo che la risposta giusta non è quella che cercavamo noi, ma un’altra, come può succedere a uno che sposa una donna che non prevedeva. La risposta alla nostra vita non è qualcosa che è nelle nostre mani, ma è qualcosa che è nelle mani di un altro, per cui, per trovare la risposta alla nostra vita, bisogna conoscere quel qualcun altro che sa cos’è la nostra vita. Che cos’è la verità di cui parla il cristianesimo? La verità - che è all’origine anche di questo Meeting - non è un’idea, una filosofia, un discorso; ma è un abbraccio, è uno che ti vuole bene. Dio si è fatto uomo per poter abbracciare l’uomo e, per fargli capire che gli vuole bene, è diventato come lui e gli ha dato la vita. Voi siete qui perché avete incontrato qualcuno che vi ha abbracciato, accolto, voluto bene, vi ha fatto sentire non dei casi nel mondo, ma delle persone importanti. Vale la pena seguire questa verità, perché questa verità è un’amicizia, è qualcuno che ci vuol bene. Noi nella vita la cosa che cerchiamo di più è qualcuno che ci vuol bene, e anzi: ci muoviamo, prendiamo iniziativa se c’è qualcuno che ci ha voluto bene, e per questo siamo contenti della vita, di noi stessi, abbiamo rispetto di noi stessi, della nostra dignità. Da qui una conseguenza: per essere felici bisogna lavorare, bisogna mettersi in moto su qualcosa che non abbiamo deciso noi, cioè bisogna far fatica. Non è una cosa che succede da sé. Noi siamo venuti al Meeting per un’amicizia e vogliamo che questa amicizia si dilati attraverso un lavoro povero, perché il lavoro che sostiene la vita, l’amicizia, è un lavoro povero. È la mamma che lava i piatti; è il papà che sta attento quando parli, che si occupa dei tuoi compiti; sei tu che dai una mano in casa, perché per star bene, per essere amici, bisogna fare queste cose. L’amicizia nasce dall’umiltà del lavoro, dall’umiltà dell’attenzione degli uni verso gli altri, e noi siamo venuti in ragione di un’amicizia e per imparare il lavoro che è richiesto dall’amicizia, che è l’attenzione all’altro. Se ci pensate bene, però, è lo stesso problema di quando si va a lavorare, o in università o a scuola: bisogna mettersi all’opera, al lavoro, bisogna cioè impegnare la vita a scuola, al lavoro, all’università, in casa. Poi si capisce che questo diventa il vero lavoro della vita, perché cambia noi, cambia il posto dove siamo, introduce qualcosa di diverso, introduce un bene che prima non c’era. Questo è il lavoro che noi dobbiamo fare gratis, perché non ci paga nessuno per diventare amici, per volerci bene, per migliorare la nostra convivenza. Ti pagheranno per fare le macchine, per fare i bulloni, ma non ti pagano per essere amico del tuo compagno (anche se l’infelicità della fabbrica sta nel fatto che non c’è amicizia con il tuo compagno, con il quale si è lì come da estranei); a volte anzi ti pagano per essere più estraneo. Il Meeting si chiama Meeting per l’amicizia tra i popoli, perché la gente che viene trovi l’umanità che cerca, cioè un’umanità che non sia estranea, ma ti voglia bene. Per questo facciamo i lavori più umili, poi c’è qualcuno che parla, come me, ma anch’io, come tutti noi, sono chiamato al sacrificio di seguire, perché anch’io parlando devo tener d’occhio quello che seguo. Noi abbiamo incontrato nella nostra vita un’occasione che ci dice di che cosa la nostra vita è fatta e quindi ci invita, con la domanda pressante che costituisce il titolo del Meeting, a desiderare la felicità, a prenderla. Ecco, noi siamo qui perché non vogliamo perdere questa occasione di scoprire un po’ di più qual è la verità profonda della vita, qual è quella verità che realizza quello che noi vogliamo più di tutto.