La locandina del film.

Una lezione di Storia, e di realismo

Il grande Spielberg alle prese con l'abolizione della schiavitù in America. Il protagonista? «Un uomo imperfetto, un baro del gioco politico, un profeta tutt'altro che disarmato». E la sua battaglia tra gli intrighi della Washington politica del 1865
Maurizio Crippa

Le grandi rivoluzioni della Storia le fanno gli eroi senza macchia, giovani e belli? Lincoln, il film, che racconta come fu abolita la schiavitù negli Stati Uniti d’America, è una grande lezione di storia e anche, o soprattutto, di realismo politico. Mentre la Guerra di Secessione dilaniava l’America da quattro anni, l’emendamento alla Costituzione (il Tredicesimo) che cambiò il senso della storia, non solo americana, passò per un pugno di voti al Congresso, strappati uno ad uno al partito avversario da lobbisti prezzolati che agivano nell’ombra con profferte di denaro, corruttele, ricatti psicologici.

A tirare i fili di quella che gli schifati moralisti di oggi chiamerebbero “sporca politica”, c’era un uomo grigio e allampanato, un profeta tutt’altro che disarmato - per raggiungere il suo obiettivo non aveva esitato di fronte allo scatenamento della Guerra civile quattro anni prima - un padre affettuoso e imperfetto, un predicatore che persino nelle riunioni di gabinetto parlava con aneddoti e parabole. Un vecchio avvolto in uno scialle, un religiosissimo (ma agnostico) visionario che avrebbe voluto «camminare nella città dove avevano camminato Davide e Salomone». Ma anche un avvocato di astuzia consumata, un baro del gioco politico, uno spregiudicato trattativista. Insomma un uomo complesso, a tratti ambiguo. Certamente un grande uomo. Che Daniel Day-Lewis fa vivere sullo schermo con un’interpretazione strepitosa, “filologica”, ma capace di trasformarlo a poco a poco in una sorta di Capitano Achab sulla nave della Storia.

Esistono due Steven Spielberg. All’insuperabile campione del cinema-effetto speciale se n’è affiancato un altro, fin dai tempi di Schindler's List, che ha deciso di mettere la forza narrativa ed emotiva del cinema al servizio della Storia. Anzi, di più, dell’educazione attraverso la memoria. Chi si aspettasse un film di roboante e spettacolare correttezza politica, o un film pieno di tragedia e pathos come Salvate il soldato Ryan rimarrà però stupito. Lincoln è un film teatrale, quasi interamente girato nel chiuso fumoso degli uffici della Casa Bianca, o tra le facce smunte o dure, feroci o corruttibili dei deputati del Congresso.

È una storia di volti intensi (Tommy Lee Jones nei panni del vecchio radicale antischiavista che alla fine cede, ma con sofferenza, al pragmatico tatticismo di Lincoln) e di dialoghi altrettanto complessi, da cinema d’altri tempi. Persino didattico nel voler spiegare, Spielberg è riuscito però a creare un film coinvolgente, dove il dramma sulla scena della Storia passa nella sua cruda verità attraverso le scelte di uomini a volte mediocri. L’intensità deriva da una scelta coraggiosa: Spielberg ha preso la biografia-sceneggiatura di Tony Kushner, commediografo e Premio Pulitzer, e cammin facendo ha deciso di tagliare tutto il contorno, concentrando la vita e l’essenza di Lincoln e della sua battaglia in poche settimane di nervosismo e intrighi a Washington, all’inizio del 1865. Il contrario della retorica, una lezione di realismo politico. Ma avvincente, come un film “directed by Steven Spielberg”.

Lincoln di Steven Spielberg
Con Daniel Day-Lewis, Tommy Lee Jones, Sally Field, Joseph Gordon-Levitt