Una scena del film "Monsieur Lazhar".

Un maestro che scavalca la barriera

Bachir è algerino e la sua famiglia è stata trucidata dai fondamentalisti. Arriva come supplente in una scuola di Montreal. Lì insegnare equivale a «facilitare». Ma a lui, più dei programmi, stanno a cuore i ragazzi...
Maurizio Crippa

Per prima cosa rimettiamo i banchi in fila, niente più caotico semicerchio democratico; poi facciamo un dettato. «Ma noi non abbiamo mai fatto un dettato!», obietta la saputella della classe. Poi ripassiamo i pronomi possessivi. «Ma i pronomi possessivi non esistono più!», corregge un altro peperino. Pazienza. Uffa, in classe dev’essere arrivato un marziano. Solo che un marziano non è, monsieur Bachir Lazhar. È un supplente e viene dall’Algeria, e al massimo è a lui, serio e un po’ all’antica, che sembra una scuola di marziani questa scuola elementare di Montreal, nel Quebec francofono, che invece a noi spettatori europei sembra così simile a tante scuole che conosciamo. Una scuola dove le «istruzioni per l’uso» sono l’unica cosa che si è autorizzati a trasmettere, dove insegnare è sinonimo di “facilitare” («dia dei dettati più facili», spiega la direttrice al maestro, che aveva osato proporre Balzac). E dove, soprattutto, gli adulti sono terrorizzati dal proprio stesso compito e se ne stanno chiusi dentro la gabbia - protettiva per loro, ma mortifera per i bambini - della correttezza politica e multietnica. Così terrorizzati dalla fobia ideologica che trasforma qualsiasi rapporto affettivo (dunque non formalistico) tra adulto e bambino in sospetto di pedofilia, che nella scuola di Montreal c’è una regola che vieta anche solo di toccare i bambini. E i bambini sono tornati dal campeggio con le spalle ustionate, perché all’accompagnatore era vietato persino spalmare la crema solare.

Non arriva in una classe facile, monsieur Lazhar. La maestra che deve sostituire si è appena suicidata, si è impiccata in aula e alcuni bambini l’hanno vista. Sono ovviamente traumatizzati. Ma anche Bachir, dietro i modi miti e gli occhi malinconici, nasconde una tragedia: sua moglie i suoi figli sono stati uccisi dai fondamentalisti ad Algeri, lui è in Canada a cercare asilo politico. Però - ed è un grande pregio narrativo e psicologico di questo bellissimo film - lo sappiamo noi, ma non lo sanno bambini e colleghi. Così, sono soprattutto gli adulti - la direttrice fedele alla burocrazia multiculturalista, la psicologa vacua, ma unica autorizzata a “parlare con i bambini”, i genitori distratti - a non capire perché questo supplente così strano, così estraneo all’aria pedagogico-culturale che si respira in Canada, si prenda tanto a cuore non solo i programmi, ma soprattutto i bambini: cercando di capire i loro sensi di colpa, di accompagnarli nel loro dolore. Scavalcando, non con proclami, ma con buon senso e occhi per vedere, le barriere costruite “a protezione” di una presunta autonomia.

In un film girato e recitato con grande delicatezza (i colori spenti dell’inverno, gli occhi sbarrati o commossi dei bambini: non è per nulla un “filmino”, è disseminato di sapienti dettagli), c’è una battuta che sembra minore, ma che riassume il senso di tutto: «Si limiti a insegnare, non a educare nostra figlia», dicono al maestro due saccenti genitori. Lui li guarda attonito, non risponde. Come potrebbe rispondere? Per lui insegnare ed educare sono un’unica cosa, un unico gesto che nasce da uno sguardo intiero sulla vita, per quanto spezzata dalla morte. E anche dallo stesso dolore.

Monsieur Lazhar (che è tratto da un lavoro teatrale di Evelyne de la Chenelière) non è «un film che parla di scuola». E nemmeno un film a tesi sull’educazione. È un film che parla dell’umano. O per meglio dire, di quel livello dell’umano in cui ci si accorge di avere in comune con tutti lo stesso desiderio, le stesse domande sul dolore e la morte. E inevitabilmente si diventa capaci di condividerle. Anche se sono solo bambini. E si diventa capaci di abbracciarli, e al diavolo la correttezza pedagogica.

Monsieur Lazhar
di Philippe Falardeau
con Mohamed Said Fellag, Sophie Nelisse, Emilién Neron
Canada, 2011