IO, LORO E LARA Don Carlo e la strada smarrita (e cercata) da Verdone

Jonah Lynch, missionario della Fraternità San Carlo, ha visto per noi l'ultimo film del regista romano. Non una semplice commedia, ma la storia di un sacerdote che, alle prese coi problemi della vita, si rivela prima di tutto uomo
Jonah Lynch

Il dibattito su Io, loro e Lara è già finito da un pezzo. Verdone nichilista o realista speranzoso? Verdone comico comunque divertente, che non aveva la pretesa di fare un film edificante, oppure un ritratto tutto sommato veritiero della nostra società? Non sono più delle domande interessanti. Più interessante è chiedersi cosa rimane del film, ora che se ne può parlare pacatamente senza l’incalzarsi delle reazioni.
È una commedia, e da una commedia al solito non si chiede più di una serata di divertimento. Meglio se non è una commedia stupida, meglio se suscita qualche sentimento di bontà, meglio se l’ironia aiuti a guardare qualche aspetto della nostra vita che solitamente passa sotto silenzio, ma tutto ciò sarebbe secondario. È a questo livello che il film di Verdone mi pare si elevi un poco sopra la mischia.
Verdone dichiarava in una intervista al Corriere: «Io sono laico, ma un senso religioso della vita lo cerco; sempre. Nella vita e nei miei film. Per questo ho un sentimento di immedesimazione con il mio lavoro. Io non scuoto la testa di fronte a quelle situazioni tipiche del nostro modo di vivere occidentale che ti fanno venire l'esaurimento nervoso. Io sono smarrito, ma cerco una strada e non mi voglio perdere».
Infatti, questo non scuotere la testa è un punto di forza. Attraverso gli occhi del simpatico romano Verdone, la società sempre più impazzita può essere guardata con leggerezza e anche con una certa profondità. Non è poi così lontana dalla realtà la sua famiglia fatta di nevrotici, cocainomani, viagra-dipendenti e modaioli. È una caricatura, un condensato di problemi forse eccessivi per una sola famiglia, ma non sono dinamiche inventate.
Certamente ci sono molti problemi di scrittura e di realizzazione: la famiglia di don Carlo, una collezione unica di personaggi complessati, non è molto credibile come la culla che ha dato un figlio alla Chiesa. Poi la recita mediocre di Anna Bonaiuto e Marco Giallini, che sbagliano costantemente il ritmo delle battute, per puro contrasto di bravura attoriale fa risaltare Verdone; e la presenza della Chiatti è spesso giustificata solo per tenere gli spettatori incollati allo schermo e per distogliere l’attenzione dalla storia, a volte lacunosa.
Ma don Carlo è un uomo credibile. È un uomo buono, che reagisce al mondo con semplicità, ogni tanto anche con coraggio, ogni tanto con debolezza, come tutti. A più riprese l’attore insiste su questa sua umanità con vari personaggi, e si spazientisce con coloro che si aspettano dal prete qualcos’altro dall’uomo che è. In questa vena raggiunge alcuni dei punti più simpatici di tutta la pellicola quando goffamente prova a fumare una sigaretta per dimostrare la sua “normalità”, o quando dice, irritato dai luoghi comuni: «Non sono uno di quei preti con la voce flautata che vedi in tv, sono un uomo!».
È un uomo, ma non è ancora sacerdote. Don Carlo non sembra avere una briciola di fede cristiana (da qui le critiche di Messori), e forse non è soltanto una pretesa irragionevole che gli altri si aspettino dal prete “qualcos’altro” della sola umanità. Non è forse proprio per essere segno e strumento del Mistero che ci sono sacerdoti al mondo?
Visto da un missionario a Roma, del film rimane lo scarto struggente tra il livello di queste domande degli uomini, e l’insufficienza di una risposta puramente umana. Anche san Pietro non scuoteva la testa per i peccati altrui; anzi, era lui stesso bisognoso di perdono. «Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo», e diceva questo appena dopo aver tradito Gesù.
Giussani ce lo ha insegnato: «Simone, mi vuoi bene tu? Questa è l’alleanza, perché l’alleanza non è misurata dai peccati o dai non peccati: è sempre una caduta moralistica quella che deprime la grandezza del rapporto che Dio è venuto a stabilire come uomo vicino a me. Nonostante quel che sono, desidero questo: desidero che tutto il mondo Ti conosca».
Per contrasto con il don Carlo di Verdone, si percepisce che l’unica forza capace di far fronte ai problemi immensi del mondo è un cuore ardente, cambiato da un incontro reale e appassionato con Cristo. «Che tutto il mondo Ti conosca».