La locandina del film.

FANTASTIC MR. FOX Un mondo dove niente è "normale"

Simone Fortunato

Piccolo grande film girato dall’estroso, geniale Wes Anderson, davvero uno dei registi contemporanei dallo stile più riconoscibile. Anderson (attenzione alle omonimie: Paul Thomas è un grandissimo, autore di Magnolia e Il Petroliere; Paul W.S. Anderson è un discreto regista di genere) ha alle spalle opere non sempre perfette ma decisamente bizzarre. Rushmore era il racconto stralunato di formazione di un quindicenne; I Tenenbaum, la vicenda coloratissima e surreale di una famiglia un po’ folle; Le avventure acquatiche di Steve Zissou e Il treno per il Darjeeling, altre avventure all’insegna della bizzarria, meno compatte dal punto di vista narrativo. Con Fantastic Mr. Fox, Anderson mette in scena un racconto di Roald Dahl nel quale inserisce tutti gli elementi tipici del proprio cinema, quasi delle vere e proprie ossessioni. E il risultato, assai poetico e leggero, è la creazione di un vero e proprio altro mondo, tecnicamente realizzato in modo impeccabile, dove a dominare è il segno della diversità. Una diversità innanzitutto fisica e in questo senso il figlio di Mr. Fox non è così lontano dai fratelli de Il treno per il Darjeeling o dai figli di Tenenbaum; una diversità che viene vista come disagio ma anche come risorsa: anche perché, davvero, nel mondo di Anderson non c’è nessuno e niente di “normale”. Così Fantastic Mr. Fox è un racconto di formazione, dagli accenti malinconici e autobiografici, in cui il regista americano non nasconde tutte le proprie paure, fragilità, incertezze di fronte a una realtà in cui si sente come un corpo estraneo. Anzi: amplifica tutte le difficoltà e le condensa in personaggi unici e irripetibili in cerca di legami certi, di un centro di gravità permanente a cui affidare la propria esistenza in un mondo caotico. Esemplare in questo senso la caratterizzazione della volpe protagonista, divisa tra le responsabilità dettate dalla famiglia (e da una bella moglie, paradigma della concretezza sapienza femminile) e un istinto selvaggio che la porterebbe a rapine e a una libertà avventurosa e solitaria; così come è interessante e ben centrato il rapporto intenso e contraddittorio tra la volpe e il figlio con il complesso di inferiorità, certo di essere sempre un passo indietro nei confronti dell’impavido padre. Si diventa grandi in un rapporto, sembra dirci Anderson assieme al suo sceneggiatore di fiducia, Noah Baumbach, e in una casa, anche se la famiglia non è proprio un modello e gli adulti spesso hanno più da imparare dai figli che viceversa. Si diventa grandi affrontando le proprie paure, conoscendo i propri limiti, tanto più se questi difetti sono accettati e amati dagli altri, dai “grandi”, dagli adulti. Davvero una bella storia, coloratissima, positiva, caratterizzata da una perizia tecnica davvero inconsueta, sia dal punto di vista registico, sia dal punto di vista della sceneggiatura, ricca di svolte e di sorprese e carica di un umorismo mai pesante. Del resto l’umorismo, quello vero, non la battuta di grana grossa, si addice a grandi autori. E Wes Anderson è un grande umorista.