La locandina del film.

L'imprevisto che rompe la gabbia

Bertolucci torna al cinema con un altro film sui giovani. Lorenzo è un ragazzo con difficoltà relazionali e dal carattere difficile. Vuole isolarsi dal mondo e un giorno, fingendo di partire per una gita, si rifugia nella cantina del suo palazzo
Maurizio Crippa

Lorenzo ha 14 anni, occhi azzurro-ghiaccio tra ricci e brufoli, un rapporto doloroso (agli altri sembra pessimo) con se stesso e il mondo, con sua madre anche di più. Si fa fatica a tenergli gli occhi addosso per tutto il film, si prova un dolore aspro, perché quanti ne conosciamo di ragazzi così, insopportabili e belli? Che chiedono notizia di noi, adulti o compagni di scuola, e il massimo che trovano è un terapeuta che sentenzia: «Disturbo narcisistico della personalità».
Lorenzo vuole essere lasciato nel suo buco, spia il mondo da sotto in su. Ci si infila letteralmente, nel buco. Finge di iscriversi a una settimana bianca, la mamma ci tiene tanto - perché in fondo non è cattiva la mamma, e le sembra che sia il primo passo buono del figlio - e invece si nasconde nella grande cantina di casa, un condominio di una Roma borghese e anonima, pieno di mobili e cianfrusaglie. Si è attrezzato per sopravviverci una settimana: merendine computer e iPod. Si è comprato pure un formicaio sotto vetro: una settimana con sguardo da entomologo a osservare le formiche, proprio come gli altri là sopra guardano sempre lui, come un animale strano. Ma poi arriva Olivia. È la sorellastra più grande che quasi non conosce. Anche lei nel buco. Ha bisogno di una tana in cui stare per uscire dal suo buco non metaforico, quello dell’eroina. È doloroso stare a guardare anche lei, nella sua “rota” di strazio e vomito e pianti e desideri. A poco a poco quel rapporto non voluto, fatto di due solitudini estranee, diventa uno strano dono inatteso. Alla fine li fa uscire insieme dalla cantina, lui verso casa lei verso chissà. La musica che li accompagna nell’alba un po’ livida è Space Oddity di David Bowie (l’avevamo già sentita giù in cantina, nella versione italiana Ragazzo solo, ragazza sola, con le parole di Mogol).

Space Oddity è una canzone del 1969. Lorenzo e Olivia non erano ancora nati - come Jacopo Olmo Antinori e Tea Falco, gli attori debuttanti che li incarnano. Erano gli anni dei loro nonni, ormai: nonni come quello che li osserva da dietro la macchina da presa: un Bernardo 72enne e da anni sulla sedia a rotelle. I ragazzi sono di oggi, la canzone è degli anni suoi. Che un filo colleghi l’allora a l’oggi è innegabile. Bowie, di Space Oddity, disse che parla solamente «del sentirsi soli». Non è il primo film che Bertolucci dedica ai giovani. Per lui, sono i suoi eterni coetanei: l’umano preso nel momento della vita in cui o è tutto o è niente. Il regista di Ultimo Tango a Parigi, il regista più ideologicamente nichilista della sua generazione, quello che ha fotografato la Rivolta come un desiderio estetico, ma votato al nulla, a 72 anni ritrova l’occhio giusto per guardare dal vivo due ragazzi. Anche qui, in fondo, ci sono un uomo e una donna chiusi volontariamente in un buco. La differenza è che vogliono uscirne. Forse è poco per dire che Bertolucci abbia voluto rifare al contrario il suo morente tango parigino, per quanto il regista di Parma sia l’emblema stesso dell’Autore con la maiuscola, sempre perfettamente consapevole di ogni suo fotogramma. Ma non è male notare che il film, ispirato con molte libertà al romanzo di Niccolò Ammaniti, se ne discosta proprio nel finale: Olivia nel romanzo morirà di overdose. Qui esce in una timida alba di vita.

Ma in fondo il problema non è quel che abbia voluto fare o dire il regista. È piuttosto di mettersi davanti al suo film. Al fastidio e dolore che dà, e a quel tanto di commozione. E alla domanda che fa. Il suo stile da vecchio cinéphile, per una volta sincero, sa guardare nella loro verità il disagio dei ragazzi e soprattutto sa metterci dalla parte della nostra responsabilità. L’immagine che forse più ferisce è quando Lorenzo, in un negozio, guarda dei rettili in una gabbia di vetro, immaginando se stesso guardato dagli altri con l’identica curiosità fredda e senza amore. Noi lo vediamo attraverso la stessa gabbia, dietro lo stesso vetro. L’unico giudizio che conta è se ci viene voglia di rompere quella gabbia, o no.

Io e te
di Bernardo Bertolucci
con Tea Falco e Jacopo Olmo Antinori
dal romanzo di Niccolò Ammaniti