Una scena del film.

Hannah Arendt tra i fantocci e il male

Lunedì 27 e martedì 28 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria, arriva la pellicola sulla filosofa ebrea in un centinaio di sale italiane. Il racconto dei quattro anni del processo di Eichmann. E quella nuova coscienza sulla malvagità
Pina Baglioni

Una volta, in occasione di un congresso, qualcuno chiese ad Hannah Arendt: «Chi è lei? Una conservatrice, o fa parte dei liberali? Dove si colloca nell’ambito delle attuali possibilità?». E Hannah Arendt, citando una poesia di Friedrich Schiller, aveva risposto: «Non lo so. Non lo so veramente e non l’ho mai saputo. Mi sento quello che oramai sono, la fanciulla straniera».
La risposta della Arendt potrebbe essere intesa allora come una delle chiavi di lettura del bellissimo Hannah Arendt, il film diretto dalla regista tedesca Margarethe Von Trotta, dedicato ad un particolare periodo della vita di una delle più grandi filosofe del Novecento, autrice di opere capitali quali Le origini del totalitarismo e La banalità del male. Forse si sentiva straniera nel senso di aver elaborato pensieri così originali e indipendenti da un certo mainstream intellettuale da renderla spesso estranea ai suoi interlocutori. Come nel caso della fondamentale scoperta che il male non sempre ha un aspetto orripilante, mostruoso. Ma può assumere i connotati di uomini banali, insignificanti. Fantocci incapaci di intelletto e di umana pietà che si sono lasciati sedurre da un meccanismo deciso da altri senza suscitare in loro il minimo sussulto della coscienza. E in quel meccanismo potevano rimanere per anni, magari a massacrare milioni di individui inermi accampando la scusa di aver semplicemente obbedito a ordini superiori. Come nel caso di Adolf Heichmann, il funzionario nazista considerato uno dei maggiori responsabili dello sterminio degli ebrei. E di cui la Arendt aveva seguito il processo dal 1961 al 1964 come reporter del New Yorker a Gerusalemme. Reportage da cui sarebbe poi nato il volume La banalità del male.

Sono proprio i quattro anni che ruotano attorno al processo Eichmann quelli raccontanti dalla pellicola della Von Trotta, che sarà proiettata in un centinaio di sale italiane del circuito Nexo Digital, come evento unico, lunedì 27 e martedì 28 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria. Attraverso la casa di distribuzione Ripley’s l’opera continuerà il suo percorso attraverso le associazioni che lo hanno richiesto e il sistema scolastico, per approdare infine in dvd abbinato al volume La banalità del male. Negli Stati Uniti, il New York Times lo ha inserito nella top ten dell’anno appena trascorso per la capacità di unire cinema e pensiero. E anche in Israele, dove il volume La banalità del male è stato pubblicato solo nel 2002 per il divieto del Primo Ministro israeliano Ben Gurion, il film è stato accolto molto bene.

«Dopo aver studiato per otto anni questa donna straordinaria attraverso libri, documenti, interviste con chi l’aveva conosciuta, ho deciso, insieme alla sceneggiatrice Pam Katz, di concentrarmi sui quattro anni in cui la Arendt tanto ha scritto e raccontato su Eichmann», ha detto Margarethe Von Trotta, giunta a Roma per presentare il suo film. «Perché mi sembrava che fosse il modo migliore di mostrare sia la donna che il suo lavoro», spiega: «Il film vuole mostrare Hannah Arendt come una teorica politica e una pensatrice indipendente che viene messa di fronte al suo esatto contrario: il burocrate sottomesso che non ragiona e che sceglie di essere un sottoposto entusiasta. Talmente coraggiosa e indipendente da aver pubblicato anche parti dei resoconti del processo relative ad alcuni comitati ebraici che, pensando di aiutare gli ebrei in pericolo, fornirono informazioni, liste di nomi e beni ai gerarchi nazisti con la speranza di mettere un freno alle loro pretese».

Dopo le figure di Rosa Luxemburg, Hildegard von Bingen e le sorelle Ensslin (le terroriste del gruppo armato della Rote Armee Fraktion), la Von Trotta - Leone d’oro a Venezia nel 1981 con Anni di piombo - ha dunque deciso di misurarsi con un’altra complessa figura femminile, riuscendo a dosare in un perfetto mix la Arendt, pensatrice dalla mente affilatissima, a volte arrogante. E Hannah, la donna appassionata, profondamente innamorata del marito e affettuosissima con gli amici, in particolar modo con la scrittrice americana Mary McCarthy, tanto da essere definita un «genio dell’amicizia». Film sorprendentemente avvincente, visto l’argomento, anche grazie all’attrice Barbara Sukowa che riesce a calarsi perfettamente nei panni di questa ebreo-tedesca di Hannover, allieva a Marburg di mostri sacri del pensiero filosofico quali Karl Jaspers, Edmund Husserl e Martin Heidegger, con il quale ebbe una discussa ma mai rinnegata relazione sentimentale.

Scappata dagli orrori della Germania nazista, la Arendt, nel 1940, aveva trovato rifugio insieme al marito e alla madre negli Stati Uniti, grazie all’aiuto del giornalista americano Varian Fry. Qui, dopo aver lavorato come tutor universitario ed essere divenuta attivista della comunità ebraica di New York, aveva cominciato a collaborare con alcune testate giornalistiche. Fino ai cinque articoli sul processo Eichmann redatti a Gerusalemme per il New Yorker che avrebbero scatenato accese reazioni negli Stati Uniti e in Europa. Reazioni davanti alle quali la Arendt non arretrerà mai di un millimetro. E il motivo di tanto sconcerto, soprattutto da parte di numerose comunità ebraiche che interpretarono il pensiero della Arendt come una sorta di giustificazione del boia, era stato proprio quello di aver mostrato Eichmann esattamente come le era apparso: un omino ripiegato su se stesso, all’interno di una gabbia di vetro. La sciatta mediocrità di quell’uomo non coincideva con la profonda malvagità delle sue azioni. La studiosa aveva intuito rapidamente che quel contrasto era proprio l’enigma che bisogna risolvere. «Quando la pensatrice originale e priva di compromessi si ritrova davanti al burocrate assassino, sia la Arendt che il discorso sull’Olocausto cambiano per sempre. Avversato ferocemente negli anni Sessanta, oggi questo concetto è diventato una componente essenziale di qualsiasi discussione che tenta di giudicare i crimini nazisti» ha aggiunto la regista.

Alla domanda sul perché non abbia dato spazio alla relazione giovanile della Arendt con Martin Heidegger, il grande filosofo dell’Essere pesantemente coinvolto con il Nazionalsocialismo, la regista tedesca ha risposto: «Non ho voluto cadere nel cliché della relazione tra l’ebrea e il nazista. Ma secondo me il rapporto con Heidegger tocca un punto importante: se è vero che Eichmann è definito da Hannah come colui che non sa pensare e che quindi perde la sua umanità; se è vero che Heidegger, maestro riconosciuto del pensiero, è caduto nella trappola del nazismo, forse, allora Hannah Arendt è un’utopista: cercava di spiegare i tempi oscuri con l’utopismo della filosofia che non riesce a concepire che il pensiero possa fare il male. E invece sì, a volte il pensiero fa il male».



Martedì 28 gennaio, alle ore 21, presso il cinema Palestrina, in via Palestrina 7, a Milano (MM1 e MM2, Loreto), ci sarà la proiezione del film "Hanna Arendt" di Margarethe Von Trotta, a cura dell'Associazione Sentieri del Cinema e del Centro Culturale di Milano. Introduce il film Sante Maletta, docente di Filosofia politica presso l'Università di Calabria.

Lunedì 27 gennaio, alle ore 20.30, presso il cinema Super8, nella Contrada di Campiglione di Fermo, a Fermo, ci sarà la proiezione del film, a cura del Centro Culturale Il Portico di Fermo.

Lunedì 27 e martedì 28 gennaio, alle ore 17 e alle 21.15, presso il cinema Stella c/o dopolavoro ferroviario, in via Mameli 24, a Grosseto, ci sarà la proiezione del film.

Lunedì 27 e martedì 28 gennaio, alle ore 20.30, presso il cinema Multiplex 2000, in via Velluti, a Macerata, ci sarà la proiezione del film, a cura del Centro Nuova Cultura Macerata.

Lunedì 27 e martedì 28 gennaio, alle ore 18.30 e alle 21.10, presso il cinema Multisala Pio X, in via Bonporti 22, a Padova, ci sarà la proiezione del film, a cura dell'Associazione Culturale Antonio Rosmini di Padova.

Lunedì 27 gennaio, alle ore 21, presso il cinema Multisala Metropolis, in largo Volontari del sangue, a Pesaro, ci sarà la proiezione del film, a cura del Centro Culturale Città Ideale di Pesaro.

Lunedì 27, alle ore 17.30, e martedì 28 gennaio, alle ore 21.10, presso il cinema Mignon, in via Martiri della liberazione 131, a Chiavari (Ge), ci sarà la proiezione del film, a cura del Centro Culturale Il ponte sul mare di Chiavari. La seconda proiezione sarà introdotta da Stefano Rivara, filosofo.


Per informazioni: www.centriculturali.org