L'Università di San Paolo (Brasile).

«E non ho ancora visto il meglio...»

L'anno scorso, Alexandre e tre suoi studenti hanno cominciato insieme la Scuola di comunità. Oggi, sono in undici. E dal Fondo comune ai nuovi incontri, tutto diventa occasione per una scoperta: «Ecco perché posso dire di essere preferito»

Un mese fa, stavo pregando l’Ora Media e la lettura, la Prima Lettera di san Giovanni, diceva: «Fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato». Quando ho sentito questo, ho pensato: «Sono già figlio di don Giussani, sono già figlio del movimento, però non si è ancora rivelato quello per cui Egli ha fatto in modo che Lo incontrassi». Non ho ancora visto il meglio. Dico così perché il movimento oggi sta vivendo un periodo privilegiato e la cosa mi colpisce profondamente, ma io, che sono figlio di questa esperienza, non ho ancora capito quello che c’è in essa di più bello.

L’anno scorso ho cominciato a trovarmi con tre miei studenti della facoltà. Mi avevano chiesto loro che ci trovassimo, io non avevo fatto nessuna proposta. In seguito ho scoperto che venivano da esperienze molto distanti dalla Chiesa e perfino anticattoliche. Dopo alcuni mesi, questi studenti hanno cominciato a capire cos’è il movimento e hanno chiesto di iniziare a fare Scuola di comunitá; ad oggi, sono in undici.

A marzo ho spiegato loro cosa fosse il Fondo comune, ma il mese dopo mi sono dimenticato io di pagarlo. In quell’occasione, ho detto al ragazzo a cui ho chiesto di fare il segretario di ricordarmi la scadenza a inizio mese, visto che faccio un sacco di cose e me ne dimentico. Lui mi ha risposto di no: non l’avrebbe fatto, perché gli avevo spiegato che il Fondo comune è un esercizio di libertá in cui si riconosce il valore della propria vita: «Se ti ricordo di pagare, ti evito questo lavoro». Allora ho pensato che quest’ultimo arrivato, che non è cattolico, che è fedelissimo - non ha mai saltato una Scuola di comunità in tutto l’anno, come anche gli altri - ha capito meglio di me cos’è il Fondo comune, cioè un esercizio di libertà. I ragazzi sono undici perché si sono invitati a vicenda.

Durante questo cammino, una collega mi ha chiesto se ero religioso; lei aveva un enorme bisogno di credere in Dio, perché non era credente. Ho cominciato a trovarmi con lei e con un’altra collega, ed è venuta anche un’amica del movimento. Tutto ciò ha generato e risvegliato il mio desiderio. Negli incontri fatti finora, ho scoperto che un desiderio riesce a sopravvivere, un "io" riesce a inserirsi nella realtà, se si sente oggetto di una preferenza. Se non percepisco che, in modo misterioso, sono voluto in questo istante, non sono libero, perché dipendo da ciò che gli altri pensano di me, dai risultati sul lavoro, dalla persona che amo e che aspetto che mi ricambi, dal dire cose interessanti a Scuola di comunità, quindi non sono libero. Invece lo divento, se faccio esperienza di una preferenza. E nessuno di noi si può inventare una cosa così: è una scoperta.

I fatti di quest’anno che ho raccontato, la bellezza che rappresenta don Carrón per noi oggi, l’esperienza di preferenza che faccio mi hanno fatto pensare che in questo istante la cosa più evidente è che non mi faccio da solo e che non sono io a decidere della mia vita. Il fatto più evidente è che un Altro vuole che io esista. Mi sembra che sia questa l’esperienza della preferenza, altrimenti si continua a pensare che essa consista nella chiamata ad assumere una responsabilitá nel movimento, o che la donna che ci piace si accorga di noi e ci mandi tanti messaggi su whatsapp.

L’esperienza della preferenza è qualcosa che devo trovare nella mia realtà. Vedo che senza di essa non capiamo il nostro desiderio e finiamo per aver paura di prenderlo sul serio. Non capiamo nemmeno la grandezza che il movimento sta vivendo.

Alexandre, San Paolo (Brasile)