Una gita durante la vacanza.

Il bello di San Vito

Un "campionario umano" molto assortito. Per una convivenza «non programmabile» sulle Dolomiti: la casalinga e il seminarista, il liceale e la nonna, l'italiano, lo spagnolo... Ma perché nessuno si sente estraneo? «La "colla" si chiama desiderio»

Cos'hanno in comune un brianzolo e un calabrese, uno spagnolo, un toscano e un veneto, un liceale e una nonna in pensione, un imprenditore e una maestra, una madre di sette figli e un seminarista, uno che progetta telescopi e una casalinga? Curiosando nel campionario umano della vacanza fatta con amici molto "assortiti" a San Vito di Cadore, nel cuore delle Dolomiti bellunesi, si scopre di tutto. E c’è di che restare stupiti.
Chi ha respirato il clima che si è sprigionato da questo caleidoscopio di umanità non può non essere rimasto colpito dalla positività, dal desiderio di stare insieme, dalla vivacità e creatività di quella convivenza. Escursioni a piedi in mezzo alla neve che è scesa puntuale e copiosa poche ore dopo l’inizio della vacanza (anche questo non è scontato, quando siamo arrivati le montagne erano pelate…), sciate su piste di prim’ordine, una superciaspolata ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo, visite ad alcuni gioielli artistici nei dintorni (San Candido, tanto per citarne uno). E poi le serate in albergo in cui alcuni di noi hanno aiutato a capire di più e a giudicare la Primavera araba con le sue speranze e le sue contraddizioni, le meraviglie del firmamento e gli strumenti per ammirarle da lontano, la musica come espressione della Bellezza. Serate che hanno lasciato il segno, un segno infinitamente più decisivo di quelle che molti avrebbero altrimenti passato… davanti alla televisione.
Un segno che ha rilanciato la domanda: cosa ha messo insieme e cosa tiene insieme gente così diversa per età, gusti, condizione sociale e lavorativa, e chissà quante altre diversità? È una “colla” che si chiama desiderio. Desiderio di felicità, di godersi la vita in tutte le sue sfaccettature, di vivere alla grande, di camminare insieme verso il compimento del proprio destino. E il segreto di una convivenza non programmata (e non programmabile) eppure così riuscita sta nel fascino che viene da Gesù e dalla compagnia che da Lui è cominciata duemila anni fa. Qualcosa che oggi continua ad affascinare uomini e donne, genitori e figli, nonni e nipoti, poveri e ricchi, altruisti ed egoisti, estroversi e timidi, esuberanti e pigri. Nessuno si sente estraneo, ognuno si sente provocato da quel fascino. Nessuno, se è sincero con se stesso, è autorizzato a dichiararsi inadeguato, incapace, inadatto. Perché in gioco non c’è anzitutto la coerenza, le capacità o le virtù.
In gioco c’è il desiderio di felicità che abita nel cuore di ognuno, c’è la disponibilità a dire sì alla proposta semplice che ti fa tua moglie, tuo marito, tuo figlio, tuo padre, l’amico, il collega. «Vado quattro giorni in montagna con i miei amici, vieni anche tu?». Rispondendo «sì» a una domanda tanto semplice e concreta, può capitare di rimanere coinvolti in un’avventura umana dalla quale non si vuole più uscire, e nella quale si vuole coinvolgere un altro amico, un altro collega, un altro e un altro ancora…
In fondo, è cominciata così, duemila anni fa, l’avventura del cristianesimo, quando un uomo ha detto a un altro uomo: «Vieni anche tu?». E così è continuata nei secoli, e così continua anche oggi, facendo del cristianesimo non un devoto ricordo o una pratica pia, ma un fatto che continua ad avvenire. Un avvenimento, appunto.
A Betlemme, come in Brianza, a Madrid, a Venezia, Pisa, Bolzano, Prato, a San Vito di Cadore.
Giorgio, Milano