Parigi dopo gli attentati.

Così combattiamo il Nulla che avanza

Francesca vive in appartamento con alcune amiche. Dopo gli attentati, dominano paura e ragionamenti politici. Ma non basta. Serve l'incontro inaspettato con un prete, e con una ragazza. «Ecco il modo concreto che abbiamo di sconfiggere l'Isis»

Dopo i fatti di Parigi, io e le mie compagne d'appartamento eravamo sconvolte. Io, che sono la più grande, mi ero accorta di questo clima di paura e apprensione, tanto che una sera, io e un'altra ragazza di Scienze politiche, abbiamo provato a spiegare alle altre quello che stava succedendo in Medioriente, improvvisandoci persino "strateghe militari", per capire come poter combattere concretamente contro i terroristi. Ma si capiva che tutto ciò non bastava: andavo a letto e non ero contenta. Mi dicevo: basta parlarne? Cosa risolviamo? Il mio compagno più grande era il silenzio.

Giovedì sera è successo un fatto che ha chiarificato tutto: stavamo cenando, e a un certo punto bussano alla porta. Abitiamo al quarto piano, senza ascensore, e non aspettavamo nessuno: la domanda su chi potesse cercarci è sorta spontanea. Una di noi va ad aprire e compare un prete, venuto per benedire la casa. Siamo scattate in piedi lasciando cadere le forchette e correndogli incontro. Lui ci ha guardate, e si è commosso. Ci ha detto che dopo un intero palazzo di porte chiuse e gente che lo rifiutava, ricevere una accoglienza come la nostra era un regalo di Dio. Ha iniziato a farci mille domande: «Chi siete? Da dove venite? Cosa studiate?... ah tu fai la tesi? Su cosa?». E ad ogni risposta si esaltava, ci chiedeva ancora di più. E ci raccontava di lui.

C'era con lui una ragazza, che lo accompagnava nel giro delle case. È entrata in silenzio, e inizialmente stava in disparte. Poi ha cominciato anche lei a farci domande. A un certo punto il prete ci ha chiesto se appartenessimo a qualche movimento, e quando noi abbiamo risposto che eravamo di Comunione e Liberazione si è sorpresa. Ci ha spiegato che lei studia in Cattolica e che non nutre una grande simpatia per il movimento. Ma nonostante i pregiudizi e le esperienze passate si è seduta a tavola con noi per una mezz'oretta, insieme al prete che, continuando a ripeterci che doveva andare da sua mamma a mangiare, rimaneva comunque incollato alla sedia. Quando sono andati via, hanno chiesto i nostri numeri, per tornare a cena. E lei ci ha invitate ad andare a messa con lei e a pranzare insieme.

Mentre lavavo i piatti ho preso in disparte l'altra ragazza che studia Scienze politiche e le ho detto: «Elena, è questo il modo concreto che abbiamo noi di sconfiggere l'Isis. Quello che noi possiamo fare non è capire se mandare i missili, ma vivere. E, vivendo, incontrare quelli che il buon Dio ci mette davanti». In quel momento, in quell'appartamento di Milano, noi stavamo contrastando l'avanzata del "nulla" e del "male" di cui è impregnato questo mondo. Senza chiacchere, senza paroloni, ma andando incontro col cuore aperto e curioso a coloro che il buon Dio ci stava mettendo davanti. E quanto ne ha bisogno questo mondo, quanto cerca il mondo questo modo di vivere, quanto lo desidera, eppure non lo sa. Sei ragazze di vent'anni che vivono così sono «una cosa dell'altro mondo, in questo mondo».

Francesca, Milano