Il popolo della Macerata-Loreto in cammino.

Il trasumanar non è da supereroi

Lettera di un "reduce" del pellegrinaggio marchigiano. Secondo lui "fisiologicamente" impossibile. Ma dentro la fatica, lo spettacolo di chi gli cammina accanto. Fino a dire: «Il limite si spacca solo accogliendo l'altro nella definizione di sé»

Caro direttore,
sono reduce dal pellegrinaggio Macerata Loreto, per la prima volta, a quasi 50 anni: solo le dita hanno conservata intatta la loro funzionalità, perciò ho deciso di scrivere.

In realtà, il fenomeno più difficilmente confutabile di questa esperienza è proprio l’effetto direi quasi propriamente “fisiologico”, che essa produce in chi vi partecipa: lo definirei, in prima battuta, un effetto “esponenziale”, quasi una “mutazione”, simile a quelle che si vedono solo nei fumetti. È incredibile vedere persone che sfiorano l’obesità o gli 80 anni, persone che spingono passeggini o carrozzine letteralmente trasformarsi, andando a stanare energie che nessuno potrebbe precedentemente profetare: perché si tratta, oggettivamente, di un’esperienza ai limiti dei limiti umani. E mentre parti, verso le 22, ti viene da squadrare i compagni di cammino pensando “Questo, sicuro, non ce la fa”. Poi passa il tempo, e alle 3 del mattino cominci a sentire prepotentemente i tuoi di limiti; ti guardi intorno e cerchi i volti stravolti di quelle persone “inabili”: perché, se non ce la fai tu, loro… Auguri! E invece lì; Avanti! E alle 5, sorge il sole. E loro lì, di fianco a te, a stupirsi dello spettacolo unico; e alle 7, lì, in piazza, puntuali, dalla Madonna.

Questo impressiona: perché il supereroe americano è una balla, lo sappiamo tutti. Questi invece sono lì, uno spettacolo. E anche tu diventi spettacolo. Perché, diciamolo: nessuno, in condizioni diverse, non solo non si cimenterebbe con un’impresa del genere; ma, se anche lo facesse, non sarebbe in grado di portare a termine l’opera. Succede qualcosa che eccede: Dante, penso, lo avrebbe definito trasumanar: lui dice che è un’esperienza paradisiaca. Ma, dal punto di vista puramente “fisiologico”, questo è quanto è successo, anche a me. Oltrepassare (trans) i limiti dell’umano, i limiti psicofisici.

Ho cercato, allora, osservando, mentre continuavo a camminare, di individuare le origini di un fenomeno così strano e incontestabile: e, a questo livello, non c’entra aver fede. Basta osservare e prendere atto di un dato che non è riducibile a dialettica (ci credo, non ci credo) e neppure a narrazione (trasumanar significar per verba non si porria). E si tratta, per di più, di un dato estremamente affascinante: se quel superamento accadesse non solo nella notte di un pellegrinaggio eccezionale, ma durante le tappe di una vita quotidianamente in salita…

Non trovo parole migliori per spiegare il fenomeno, di quelle contenute nell’intuizione elementare (come tutte le cose più geniali) con la quale don Giussani spiegava com’è possibile affrontare problemi razionalmente risolvibili ma esperienzialmente inaffrontabili, come quello di percorrere una cengia, un sentiero di montagna scavato in una roccia a strapiombo: razionalmente si può oltrepassare, ci sono tutte le garanzie teoriche per farlo, mentre “di fatto” mancano le energie morali per muovere i passi. C’è un metodo, lui dice, di cui la natura ci dota per affrontare il rischio, per camminare: è il metodo comunitario. Nessuno di noi (meglio, nessuna di quelle migliaia di persone), da solo, camminerebbe di notte per dieci ore senza sosta, a meno che non si tratti di una sfida o di stranezze personali. Il metodo comunitario è un fatto “naturale”: è così per tutti.

E penso sia esattamente su questa struttura naturale che Cristo ha voluto concedere agli uomini la strada a quello che è il loro desiderio ultimo, in tutto quello che fanno: non essere soffocati dai limiti, che il limite non sia l’ultima parola; trasumanar. Non si spacca il limite impegnandosi (via morale), non si spacca il limite conoscendo o riflettendo (via gnostica): si spacca solo accogliendo l’altro nella definizione di sé. E il Battesimo è l’intervento divino che permette di liberare questa dinamica dalle secche del sentimento o della convenienza strumentale: la rende definitiva, anche nei momenti di solitudine fisica.

Mentre pensavo queste cose e osservavo le migliaia di persone che salivano gli ultimi strappi sovrumani verso la Casa Santa, mi prendeva uno strano “struggimento”: dobbiamo aiutarci a prendere sempre più coscienza di questo sconquassamento delle leggi naturali che si chiama comunione, a educarci a questo, a farlo fiorire fin nelle sue più remote potenzialità umane, estetiche, creative, sociali. Se sarete quello che dovete essere, metterete a fuoco l’Italia: potremmo davvero rispolverare il coraggio della santa ragazzina Caterina di fronte al papa.

Questa fede semplice può mettere a fuoco l’Italia. Perché la semplicità, quando non è stupida, è un diamante.
Pierpaolo Bellini, Bologna