Luís Enrique Marius.

«Contento, Signore, contento»

Il 3 ottobre è morto a Caracas, in Venezuela, Luís Enrique Marius. Leader sociale e dirigente sindacale che fino alla fine ha mostrato che «dolore e morte non significano disperazione» e che «l'identità del cristiano è la croce». Il ricordo del figlio

Te ne sei andato dopo tre settimane di dolore a seguito di una polmonite e di un tumore al fegato. Come tuoi figli, ciò che possiamo dire è che sei stato un vero padre e un grande uomo. Figlio di un costruttore italiano, ti sei trasformato in un costruttore di opportunità affinché i diritti, la libertà e la giustizia di tutti gli uomini della grande patria latinoamericana fossero rispettati in tutto il mondo. Questa passione ti ha spinto a trasferire la famiglia dall’Uruguay al Venezuela, alla fine degli anni Settanta, e ti ha portato ad aiutare ognuno di noi a crescere con la stessa passione.

Abbiamo perso il conto dei tuoi viaggi e delle storie da tutto il mondo che ci hanno aperto orizzonti inimmaginabili. Quando non viaggiavi o lavoravi, il tuo passatempo era l’attività manuale, e ci hai educato a lavorare. Così abbiamo costruito la nostra casa, ci hai insegnato ad apprezzare ogni cosa perché ci ripetevi sempre: «Chi non lavora non mangia».

Ma in queste ultime tre settimane della tua vita, a noi che abbiamo ricevuto la grazia di stare con te hai offerto una testimonianza nuova. Non eri più solamente il dirigente sindacale o il leader sociale mentre lottavi per conservare la salute, per aggirare le prescrizioni dei medici e mangiare quello che ti piaceva.

In queste settimane abbiamo visto il grande oratore stare in silenzio, il padre e uomo forte dipendere dagli altri quasi completamente. Abbiamo visto un uomo di fede, che offriva il suo dolore e ci mostrava che il sacrificio, il dolore e persino la morte non significano disperazione e non dicono l’ultima parola sulla vita.

Grazie a te, papà, abbiamo conosciuto l’esperienza del movimento di Comunione e Liberazione che ha continuato l’opera educativa da te iniziata con noi, e che oggi ci aiuta a vedere meglio ciò che Cristo ci ha insegnato con la tua malattia. La realtà bisogna seguirla e guardarla in faccia. Con la tua malattia non abbiamo potuto fare molti programmi, si doveva vivere giorno per giorno. Stare attenti ai segni della tua tosse, dei tuoi dolori, dei sintomi, e non fidarci delle idee che ci potevamo fare noi, o i medici.

Vedere un uomo così capace, potente e autosufficiente, a letto, prostrato e dipendente ci ha ricordato la nostra dipendenza originale. Ossia che anche noi che siamo “sani” dipendiamo ogni istante da Lui per respirare. Tutto è accaduto con una tempistica perfetta. Dio non forza il tempo di nessuno, né la nostra libertà. Li ha usati a nostro favore perché potessimo comprendere ogni dettaglio, ogni tuo gesto quando non potevi più parlare, ogni sguardo o accenno di sorriso.

La tua malattia ha generato un’unità che si è trasformata in un fatto comunitario. I nostri amici facevano a turno per aiutarti, è arrivata un’amica dalla zona più interna del Paese per sostenerti durante la notte. Gli amici ci aiutavano a cercare tante delle cose che scarseggiano nel nostro Paese: medicine, pannoloni...

Ed era affascinate vedere che il cammino che abbiamo percorso in quei giorni serve per tutto. Il metodo che Dio ha usato per raggiungerci attraverso di te serve per comprendere come affrontare qualsiasi difficoltà, dolore o problema, personale, comunitario o di un Paese come il Venezuela. Siamo riconoscenti perché ci è stato permesso di vivere queste circostanze per crescere, per essere più Suoi, guardando un uomo autentico come te, un uomo integro sino alla fine.

Aveva ragione don Giussani quando diceva: «Qual è la cosa più importante nella vita? Che siate uomini. Che sentiate quello che è proprio dell’uomo, esigenze e problemi tipici dell’uomo». Durante le ultime settimane siamo stati testimoni della pienezza della tua vita e questo ci ha aiutato a comprendere quel che recentemente ha detto papa Francesco, che l’identità del cristiano è la croce, che il dolore e il sacrificio hanno un valore e un significato che ci portano alla redenzione.

In una delle tue ultime frasi, alzando gli occhi e sorridendo, hai citato il tuo caro sant’Alberto Hurtado, e ci hai detto: «Contento, Signore, contento». Che consapevolezza del buon Destino che ti aspettava! È un chiaro segno del cristiano: la gioia. Che qualcuno possa dire qualcosa del genere poche ore prima di morire illumina tutta l’esistenza e ci accompagna per sempre.

Alejandro Marius, Caracas