Ragazzi al Meeting di Rimini.

Quel volontario che non voleva riposare mai

Irene racconta di suo fratello, 18 anni e con limiti cognitivi per una malattia, che quest'anno ha lavorato per la prima volta al Meeting. Dall'entusiasmo del primo giorno, fino alle sere in stanza quando non voleva togliersi la divisa neanche per dormire

Il Meeting è una grande cosa: coinvolge ministri, intellettuali, capi di stato, vescovi e cardinali e poi tanta gente di tutti i tipi e, sempre di più, anche di tutte le nazioni. Di fronte a questo spettacolo di umanità, come ci siamo detti tante volte quest’anno (e poi anche con particolare intensità all’Assemblea Responsabili di La Thuile) non ho potuto non chiedermi: Chi sei Tu, o Cristo, che muovi la vita e il cuore di tanti verso di Te, verso questa compagnia che solo in Te si fonda e solo in Te consiste? Questa grande domanda sorge e dà respiro ad ogni circostanza, anche a quelle in cui la Sua Presenza potrebbe sembrare un po’ oscurata dal limite, dalla malattia, dalle difficoltà materiali, e fa vedere cose altrettanto grandi dello spettacolo mirabile del popolo del Meeting.
Inizio così, un po’ alla grande, per parlare in verità di un particolare tra le 800 mila presenze e tutti gli altri grandi numeri del Meeting. Questo particolare si chiama Gabriele ed è mio fratello; ha 18 anni e molti limiti, soprattutto cognitivi, per una grave malattia che lo ha accompagnato nei primi anni di vita. Ora sta meglio dopo tanta riabilitazione, ma per lui costruire rapporti, conoscere il mondo, partecipare della vita di tutti – come facciamo noi – comporta un lavoro ben più intenso e, in apparenza, con risultati assai meno soddisfacenti di quanto non accada di solito, per la gente cosiddetta normale. Eppure al Meeting è stato contentissimo; era uno dei tanti volontari ma anche un po’ diverso dagli altri. Dovevi vedere con che impazienza è entrato il sabato per accreditarsi e con che forza di partecipazione si è preso la sua targhetta e la maglietta blu; una era più che sufficiente per lui (per lui era già tutto) ed è stato faticoso convincerlo che poteva (doveva, gli spettava) prendersene una seconda e, naturalmente, è stata durissimo poi convincerlo che se la doveva togliere la sera per lavarla. Forse nessuno dei tanti volontari ha fatto questo semplice gesto con tanta intensità e certamente non io: come ho dato per scontato in tanti momenti la possibilità di servire col mio lavoro un’opera come quella del Meeting! Togliere la divisa la sera era raggiungere finalmente il “meritato” riposo; ma non per Gabriele.
«Io lavoro al meeting». Quante volte nella settimana ha detto questa frase, a tutti quelli che incontrava. E in effetti, strano a dirsi, pare che lavorasse davvero (o almeno così dicono quelle della sua squadra). Al mattino lo portavo all’entrata est per aggregarlo al gruppo di universitari addetti all’allestimento delle sale, capitanato da Alberto. E tutte le mattine mi chiedevo – io che ogni tanto penso a Gabri con un po’ di insofferenza – come mai questi ragazzi giovani, forti e belli, occhiali da sole e sigaretta in bocca, avessero interesse e accoglienza per Gabri, così poco all’altezza dei loro discorsi e forse anche dei loro desideri materiali, così limitato nelle sue espressioni verbali, spesso solo ripetitive e stereotipe, così impegnativo da gestire per la nostra famiglia, segnata dalla sua presenza in modo forte.
Questa domanda ha la stessa risposta nella domanda iniziale: Chi sei Tu che mi fai oggi iniziare così la mia giornata riminese? Chi sei Tu che generi una compagnia così grande e vera che rende contento e utile questo mio fratello che il mondo, forse, non avrebbe neppure lasciato nascere? Chi sei Tu che prendi il limite di tutti, il nostro limite e lo salvi, lo trasformi come stai trasformando la faccia di solito un po’ assente, assonnata e intontita di Gabriele e la rendi lieta ed intensamente presente? E infine Chi sei Tu che attraverso la presenza di Gabriele mi inviti a non dare per scontato nulla e mi fai riscoprire preferita e abbracciata totalmente?
Irene, Milano