Jérôme Lejeune.

«La santità è meglio di un Nobel»

"La vita come sfida" è l'incontro che c'è stato nella capitale svedese sulla figura di Jérôme Lejeune. Le relatrici non l'hanno mai conosciuto in vita. Eppure una di loro ha precisato subito: «Sono qui per un'amicizia con voi e con Lejeune»

Life as a Challenge è il titolo dell'incontro che recentemente abbiamo organizzato in una delle due parrocchie cattoliche di Stoccolma. A tema la vita del genetista francese Jérôme Lejeune, scopritore della connessione tra la trisomia 21 e la sindrome di Down. La Chiesa l'ha proclamato servo di Dio da qualche anno.

L'idea dell'incontro è nata da una circostanza molto semplice: l’amicizia tra Antonella, in Svezia da 20 anni, e Rosi, docente universitario di Neurobiologia all'Università di Pavia. Rosi ha conosciuto la grande umanità e il modo di fare ricerca del professor Lejeune tramite alcuni amici con cui poi è stata a Parigi per la messa di apertura della causa di beatificazione.
Con Ombretta, una sua ex-studentessa, ora testimone della causa di beatificazione, Rosi ha conosciuto la vedova Lejeune, Birthe, con cui hanno organizzato la mostra al Meeting di Rimini.

Rosi è venuta a Stoccolma insieme a Chiara, studentessa di genetica a Pavia. Durante l’incontro hanno raccontato chi era Jérôme Lejeune, come l’hanno conosciuto, e come quest'uomo abbia cambiato il loro modo di studiare e fare ricerca. Presenti una quarantina di persone tra studenti e ricercatori.

Le nostre attese di un normale incontro di presentazione di un buon cattolico e scienziato sono subito state spazzate via da Rosi: «Sono qui per un'amicizia con alcuni di voi e con Lejeune, che non ho mai conosciuto di persona ma che è per me come un amico». La serata è infatti diventata la sorprendente conoscenza di una figura che ha qualcosa da dire e da insegnare a noi adesso, al nostro modo di lavorare, di stare nel mondo e di fronte a tutte le sfide che la ricerca scientifica pone. Tutto grazie al paragone serrato di Rosi e Chiara, che traspariva dall'incontro, con le scoperte e l’umanità di Lejeune.

Stoccolma è la città del premio Nobel. Lejeune, dopo la sua scoperta più importante, aveva vinto tutti i premi che solitamente precedono il Nobel. In una delle ultime conferenze prese però una posizione decisa, dicendo che la sua scoperta andava utilizzata per aiutare i pazienti (gli embrioni con trisomia 21) e non per eliminarli. La conferenza si chiuse senza un applauso e Lejeune quella sera telefonò alla moglie dicendo: «Oggi ho perso il premio Nobel». Non solo non vinse mai il Nobel, ma da quel momento perse amici, soldi per la ricerca, fama e reputazione. La frase con cui Rosi ha chiuso l’incontro è una provocazione che anche ora ci portiamo dietro al lavoro: «Lejeune ha perso tutto quello che aveva nella vita. Ma ora hanno aperto la sua causa di beatificazione. Non so voi, ma per me la santità è meglio di un premio Nobel!».

Nei giorni successivi parlando con alcuni amici presenti è subito emerso come l’incontro su (e con) Lejoune abbia risvegliato tutto il nostro desiderio di vivere le circostanze che ci sono date come le ha vissute lui. Bessy, un’amica presente ha detto: «Lejeune ha seguito il suo cuore e Rosi ci ha invitato a fare lo stesso». Sofia, studentessa di infermieristica in erasmus in Norvegia ha scritto: «Lejeune non solo mi ha cambiato il modo di studiare e lavorare, ma la sua passione e dedizione al Mistero mi hanno fatto sentire la nostalgia e il desiderio di avere la stessa tensione per la vita che aveva lui».
Andrea, Stoccolma