Lo sciopero dei taxi a Milano dell'11 giugno.

Taxi, ovvero al servizio (della realtà)

Dopo lo sciopero che ha coinvolto molti tassisti milanesi, un gruppetto di loro si ritrova per commentare l'accaduto. La rabbia e lo smarrimento dominano, fino a quando qualcuno li richiama al vero cuore del problema. E ne nasce un volantino

Faccio il tassista a Milano da quattro anni. Mi sono unito a un gruppetto di colleghi che già da tempo si ritrova periodicamente, vivendo un'amicizia e con il desiderio di condividere l'esperienza cristiana che alcuni di noi hanno incontrato.

Ci siamo ritrovati un sabato mattina di qualche settimana fa, subito dopo lo "sciopero spontaneo" che aveva bloccato il servizio taxi per diversi giorni, come protesta contro una iniziativa privata che stava introducendo un servizio alternativo in città. Eravamo in una decina e ciascuno di noi ha subito espresso opinioni e idee su quello che stava succedendo. Eravamo coscienti del rischio serio che il nostro lavoro stava correndo, e dominati da un senso di smarrimento e di forte preoccupazione per il nostro futuro. Io ero il più confuso e non avevo per niente le idee chiare.

Quando mi hanno chiesto se avevo qualcosa da dire, non ho trovato di meglio che leggere a tutti il brano degli Esercizi, tratto dalla lezione del sabato mattina, che inizia citando il verso della canzone Razón de vivir, dove si parla della «sensazione di perdere tutto». Immediatamente il clima è cambiato: tutti hanno percepito che si stava parlando proprio di noi e si è creato un silenzio profondo. Sono andato avanti a leggere, lì dove Carrón cita: «ho bisogno soltanto che tu stia qui con i tuoi occhi chiari», e poi parla dell'«angelo della nostalgia», chiedendosi se una presenza così è possibile. Poi, finalmente, dice «aconteceu»: è accaduto un fatto nella storia che ha introdotto questo sguardo per sempre.

Sono rimasti profondamente impressi nella mia mente sia il silenzio che c'era mentre leggevo, sia gli occhi delle persone, aperti e stupiti. Riflettendo in seguito su questo piccolo episodio mi sono reso conto che nel momento in cui si è palesata la risposta è stato subito evidente che non stavamo cercando una semplice soluzione ai problemi che ci pressavano, ma molto di più. In quel momento il nostro cuore non era più ridotto, come nella precedente mezz'ora. Abbiamo udito con stupore che la risposta era quel «aconteceu», e che questo accadere non era illusione. Era vero, perché corrispondeva in modo imprevedibile ma evidente alla nostra attesa appena risvegliata. Sento di essere al mondo per approfondire e per “documentare” questo fatto che mi è accaduto e mi riaccade anche nel presente.

Nel resto dell'incontro e nei giorni successivi abbiamo discusso di come l'esperienza che avevamo fatto insieme in quel momento e durante i mesi precedenti potesse arrivare a giudicare la situazione del nostro lavoro. Ne è uscito un volantino, firmato da tutti.
Ernesto, Sesto San Giovanni


Ecco il testo del volantino:

«La lotta che c'è al fondo delle cose»

Stiamo vivendo giorni di preoccupazione, di contrasto, di lotta; siamo arrabbiati, confusi, sempre più preoccupati per il futuro nostro e delle nostre famiglie. Quello che accade è surreale. Quattro giorni di blocco del servizio e l'intervento di un ministro per arrivare a dire che Uberpop contrasta con la legge vigente!? Inoltre, è davvero sufficiente il richiamo alla “legalità”? Il giorno che cambieranno la legge a nostro sfavore a cosa ci appelleremo?

E allora, come non lasciarsi andare alla rabbia e alla protesta?

Ancora una volta ci rendiamo conto che il nostro disagio di questi giorni è segno di un bisogno più profondo. Normalmente non ci pensiamo, e lasciamo che la vita diventi un circo in cui dimenticare; perfino “la lotta” può servire a distrarci per un po' da quel grido drammatico: «Come si fa a vivere? Cosa ci stiamo a fare al mondo? Ci sarà mai pace per la nostra vita?».

In questi giorni abbiamo ripensato spesso alla esortazione di Gesù: «Che vale all'uomo possedere il mondo se poi perde sé stesso?» Nella nostra esperienza è l'incontro con Cristo, l'Altro che si è messo totalmente al nostro servizio fino a morire per noi, che ci fa amare ancora il nostro lavoro, non solo perché ci dà da vivere ma perché quasi per definizione, ci “mette al servizio” e ci dà l'occasione per aprirci e per incontrare la realtà.

Porre la questione di quale è il valore della persona e riportare in evidenza il valore e la qualità del nostro lavoro come servizio dato alla persona non è un “pensiero spirituale”; ha una rilevanza pubblica che dobbiamo rigiocarci, per non lasciare tutto il campo al “muro contro muro” dove inevitabilmente vince chi detiene il potere, che oggi è il potere finanziario.

Noi siamo certi che senza Gesù e il riconoscimento dell’altro come opportunità per sé non ci sarà mai giustizia, solo prevaricazione, e al massimo vittorie momentanee, apparenti e precarie. Senza questo resta l’amarezza o, peggio, il cinismo.

Per questo abbiamo condiviso le ragioni della protesta dei giorni scorsi ma non siamo stati d'accordo con la modalità dello “sciopero selvaggio”, perché non c’è giustizia se innanzitutto non la si vive. Se la si chiede per sé mentre si fa del male ai più deboli. Chiediamo a Dio che ci aiuti ad abbandonare la rabbia, che ci aiuti ad aprire gli occhi e trasformi questa battaglia in una battaglia civile, fatta con gli argomenti e con la costruzione di rapporti (anche con la politica e l’economia).

Il nostro ritrovarci è occasione per ricordare che siamo liberi perché siamo di Dio, e per accettare la sfida che in questa dipendenza liberante possiamo meglio cogliere i segni dei tempi e, forse, meglio capire cosa dobbiamo fare.
Ciro, Beppe, Alberto, Ernesto, Giorgio, Davide, Nino, Michele, Luigi