Come la spallata di un amico (fedele)

La Thuile. Una vacanza insolita, difficile da spiegare ai nuovi amici, ma che diventa il simbolo di quell'«abbraccio liberante» per la vita. Tra cene, passeggini e incontri, una domanda a scandire quei giorni: «Che cosa cercate?»

Mancano pochi giorni alla vacanza della comunità di Claudio Bottini. Meta di quest’anno: La Thuile. Con alcuni amici incontro Francesco, che del movimento sa molto poco. Chiacchierando del più e del meno, gli raccontiamo che saremmo andati tutti insieme in Val d’Aosta: una vacanza insolita, con tante persone, dove si fanno gite, giochi, incontri... Non proprio quel che ci si immagina per una settimana di ferie e di riposo.

Quello delle vacanze, sembra essere un tema come tanti altri che si susseguono nella conversazione, e infatti continuiamo parlando di altro. Ma Francesco torna sull’argomento: «Cos’è questa vacanza a cui andate tutti? Voglio capire». Provo, come sono capace, a raccontargli come è organizzata, cosa facciamo e perché ogni anno passiamo una settimana delle nostre ferie con 750 persone di ogni età: famiglie e giovanissimi, genitori e nonni, amanti della montagna e nostalgici del mare... Mentre gli racconto, rimango stupita io stessa perché, agli occhi del mondo, quello che sto dicendo sembra un'assurdità, sorge in me una gigantesca nostalgia, un desiderio incontenibile di arrivare a La Thuile.

È la nostalgia dell’abbraccio liberante alla mia vita, l'incontro con Cristo attraverso il movimento, che in quella settimana di vacanza si è sempre mostrato in modo quasi prepotente. Proprio come quegli amici che ti si avvicinano di soppiatto e poi, per farsi notare, ti danno una spallata. Un abbraccio che, negli ultimi mesi, avevo lasciato un po’ da parte, presa da altre preoccupazioni più o meno importanti. Tornano alla mente le parole di Carròn agli Esercizi della Fraternità: «Ma Cristo dov’è? Cristo diventa presente attraverso la compagnia di coloro che Lo riconoscono».

Così, la prima sera di questa vacanza, sento come le parole di Andrea, che su invito di Bottini ha introdotto la settimana, mi corrispondano: «"Che cosa cercate?" È una domanda che implica che io stia davvero cercando. Giovanni e Andrea si sono accorti che il Battista indicava Gesù perché erano già attenti. Non gli bastava già più il profeta».

«Che cosa cercate?». Ogni giorno passato a La Thuile è stato scandito da questa domanda e dalle testimonianze di tanti amici che raccontavano della loro ricerca e di cosa, o chi, hanno visto rispondere. Alcuni sono stati chiamati a raccontare pubblicamente per essere ascoltati da tutti, anche dalle mamme e dai papà con i bamibini piccoli, per i quali era stata preparata una saletta apposita in collegamento video. Altri incontri (tantissimi) si sono svolti nella familiarità di una cena o chiacchierando durante una passeggiata, riscoprendoci capaci di condividere la propria storia con sconosciuti e sorprendendoci nel rivedere come ogni attimo della propria vita fosse teneramente preparato da un Altro.

In quello che è successo è stato possibile vedere ancora una volta, come mi scrive un amico tornando dalla vacanza, che «l’incontro col Mistero deve necessariamente passare attraverso la carne, dei volti, una compagnia di amici». Passa dalla carne di chi ci è guida e maestro, come lo sono stati Pavel Florenskij o il metropolita Antonio di Sourozh per Aleksandr Filonenko, che, in collegamento con noi dall’Ucraina, ci ha ricordato che per seguire occorre mettersi in moto senza perdere tempo e che «l’amicizia è il segno più evidente della presenza di Cristo ed ha bisogno della nostra cura».

Passa anche dalle pagine di un libro, la Vita di don Giussani, presentato pubblicamente dal Vescovo di Aosta, monsignor Franco Lovignana, e dal sindaco di La Thuile, Carlo Orlandi, sinceramente colpiti da una storia che ha mosso in loro la nostalgia di Cristo. Passa da Claudio Bottini, visibilmente commosso nel leggere quelle pagine che parlano alla sua vita. E ancora da Alice, mamma di due bambini gravemente malati, che ci racconta di come i suoi figli le insegnano la gioia che nasce da una delle cose per noi più difficili: lasciarsi amare.

Ma la cosa più sconcertante è che quella carne è innanzitutto la nostra. Come ci ha testimoniato Rose, infermiera ugandese che lavora a Kampala con le donne malate di Aids: «Io sono la prima dimora in cui il Mistero abita, questa è la mia identità», dice con lo sguardo pieno di gioia: «Perché Cristo è venuto e muore in ogni istante perché il mio niente non venga perso». Solo allora puoi guardare quelle donne o i ragazzi della scuola che hanno messo in piedi a Kampala. E solo allora puoi guardare il compagno di stanza appena conosciuto o i tuoi figli: attraverso uno sguardo nuovo, che è diretta conseguenza della tua vocazione. Perché ciò che dai agli altri è la sovrabbondanza della tua personale e tenera affezione a Cristo che per primo ti cerca, perché tu possa continuamente cercarLo.

Luciana