Genova dopo l'alluvione.

La Mirella e quella nuova, illogica allegria

Un portone sfondato e l'acqua a un metro e mezzo di altezza. La portinaia si è salvata per miracolo, e quello che prevale è una grande gratitudine. Ma cosa vale più delle cose? Una lettera dal cuore dell'alluvione

L’atrio del palazzo dove lavoro, così come tutti, tutti, tutti i negozi della via, sono stati pesantemente colpiti dall’alluvione di Genova: il nostro portone nella notte tra il 9 e 10 ottobre è stato sfondato dalla pressione dell’acqua, che è arrivata a più di un metro e mezzo di altezza. La portineria e la casa della portinaia sono stati distrutti totalmente. La portinaia si è salvata per miracolo.

Torno a lavorare il lunedì mattina e mi sorprendo subito di questo: nella strada principale di Genova, anche se piena di gente che spalava, puliva o andava a lavorare, c’era silenzio. La strada dell’ufficio è stata chiusa al traffico e ci sono dei containers "parcheggiati" che via via si riempiono di tutta la roba da buttare. Incrocio nel portone la portinaia e mi viene subito una battuta infelicissima: «Allora Mirella, abbiamo finito di nuotare?». Lei mi guarda con occhi che avevano già pianto tutte le loro lacrime e non mi dice nulla.

Lavoro avendo sempre davanti quel volto provato e il dispiacere della mia battuta così infelice. Quando esco la sera la ritrovo nel portone, la mia portinaia, e l’abbraccio ancora prima di dire qualsiasi altra parola. Lei mi sorride e mi dice: «Guardi sono contenta di essere qui a raccontarlo. L'altra notte io non mi ero accorta di nulla. Se non era per mia figlia che insistentemente mi cercava al cellulare, io non so dove sarei ora. Quando finalmente ho riposto al telefono, mi sono resa conto che avevo già l’acqua in tutta la casa. Ho fatto appena in tempo ad afferrare il cane e scappare verso le scale che ho sentito un boato, il portone ha ceduto, e tutta l’acqua impetuosa è entrata. Pensi che la scrivania della portineria è stata letteralmente ribaltata. Non ho più una casa, ma sono viva».

Ho sentito in me "scricchiolare" qualcosa: urca! Allora c’è qualcosa che vale di più delle "cose", la vita. Ma non è bastato neppure questo a placare l’inquietudine della giornata.

La Mirella va avanti nel suo racconto: «Il giorno dopo l’alluvione, dopo aver chiamato i vigili del fuoco, ho iniziato a riordinare, ma nessuno veniva ad aiutarmi. Poi è bastato l’appello di una radio locale venuta ad intervistarci che dopo circa dieci minuti, solo dieci minuti, avevo dieci persone qui a darmi una mano! Che gratitudine!». Urca di nuovo! Per la Mirella era evidente questo: lei era viva e non era sola, e questa evidenza ha riempito il suo cuore di gratitudine.

Ma anche io ho il cuore pieno di gratitudine: qualcuno ha voluto la Mirella viva e si è fatto compagno del suo cammino umano. Qualcuno ha scelto, ha voluto e vuole me. E prima ancora di spalare fango, prima ancora del mio "fare", mi sfida a riconoscere cosa è essenziale per vivere, cosa risponde davvero al bisogno mio e del mondo: è qualcosa innanzitutto da accogliere, da guardare e riconoscere con gratitudine.

E stamani entrando nel portone mi sono fermata a guardare la Mirella; si avvicina una signora del palazzo che, con aria triste, le dice: «Mirella non ho parole». «Ed io non ho più niente!» risponde lei iniziando a ridere. Sono scoppiata anche io a ridere di gusto, mentre la signora ci guardava come se fossimo impazzite. Una nuova illogica allegria.

Teresa, Genova