La mostra di Avsi al Meeting di Rimini.

«Julieta e la mia realtà»

Tutto ha inizio al Meeting di Rimini: la mostra di Avsi, la provocazione di un collaboratore, e la proposta di sostenere una bambina a distanza. Fino a quella deviazione, durante un viaggio di lavoro, alla periferia di Buenos Aires...

Tutto nasce quest'anno, al Meeting di Rimini. Rimango molto colpito dalla mostra di Avsi, non tanto per i contenuti, quanto per il metodo che emerge dalle testimonianze: un modo di affrontare la realtà e le situazioni che non parte da un progetto "preconfezionato", anche buono, bensì da un'attenzione all'altro, ai suoi bisogni più concreti.

Al termine della mostra, mosso dal desiderio di contribuire a quest'opera, lascio i miei dati per iniziare l'esperienza del sostegno a distanza. Da un bel dialogo con un collaboratore di Avsi emerge che, di tanto in tanto, mi capita di andare, per lavoro, in Argentina. Anzi, un viaggio era già organizzato: sarei partito per Buenos Aires dopo neanche due mesi. Mentre il collaboratore scrive tutte queste informazioni nel modulo, gli dico che non voglio che sia una cosa schematica: se c'è bisogno del mio aiuto in qualche altra parte del mondo per me va bene, ma lui mi risponde: «L'importante è partire dalla realtà. Lei parta dalla sua».

Nel giro di poche settimane ricevo tutte le informazioni su Julieta, la bambina di 11 anni che mi è stata affidata, ed entro subito in contatto con l'Opera di Padre Pantaleo, il partner locale di Avsi, per organizzare l'incontro con la bambina.
Arrivo a Buenos Aires e, come d'accordo, dopo poche ore incontro Patricia, una signora che lavora presso l'opera e ha il compito di farmi da guida. Il viaggio è piuttosto lungo: González Catán, la località verso cui siamo diretti, si trova fuori Buenos Aires, a circa 45 minuti di macchina. Il tempo passa rapidamente: Patricia mi racconta dell'Opera e di come è nata l'amicizia con Avsi. Preso dalla conversazione, non mi accorgo neppure di come cambia il paesaggio attorno a noi.

Quando arriviamo, Julieta è ancora a scuola. Patricia ne approfitta per farmi conoscere l'opera: ho la possibilità di vedere il lavoro che viene fatto con i bambini disabili, le scuole professionali, l'avviamento al lavoro. Ma quello che mi colpisce di più è che padre Pantaleo, il fondatore, proprio come Avsi, non partiva da un suo progetto, seppur buono e giusto, ma dai bisogni concreti delle persone. All'inizio aprì l'asilo, perché le mamme avevano bisogno di aiuto per l'educazione dei figli. Poi, sono nati gli altri gradi della scuola, per dare continuità all'educazione. Infine, l'avviamento al lavoro, per aiutare l'inserimento sociale dei ragazzi. Don Giussani disse che «il metodo è imposto dall'oggetto», l'opera di Padre Pantaleo, come quella di Avsi, mi rende queste parole chiare e concrete.

Finalmente Julieta e la madre arrivano. Noi andiamo verso la sala, per incontrarle. Mentre sto per entrare, mi tornano alla mente le parole di una amica, che prima di partire mi aveva detto: «Chiedi al Signore il dono di vivere questo incontro senza preconcetti o aspettative. Ti perderesti il meglio».

Quando entriamo, la madre di Julieta mi viene incontro con un grande sorriso, mi abbraccia e mi presenta la figlia, che saluta molto educatamente. Ci sediamo attorno ad un tavolo e ad un bel piatto di empanadas, e chiacchieriamo a lungo con la madre e la responsabile locale del sostegno a distanza. Julieta ci osserva, ma non parla molto. Mi viene in mente che ho una nipote della sua età: una gran chiacchierona, ma in presenza di sconosciuti si imbarazza e non apre bocca. Lo racconto a Julieta, ma faccio una gaffe linguistica, dicendo nieta (nipote di nonno) anziché sobrina (nipote di zio). Suscito l'ilarità generale, visto che io ho poco più di trent'anni. In questo clima, Julieta prende coraggio e inizia a raccontarmi qualcosina di sé: la scuola, la sua passione per il disegno, e poco altro.

Rimaniamo più di un'ora a chiacchierare, soprattutto con la madre, che, con gli occhi colmi di gratitudine, mi regala due piccoli manufatti in terracotta dipinti a mano da loro. Un dono semplice, che mi commuove. Ricambio con un'immagine della Madonna di Loreto, la patrona degli aviatori, a cui ho imparato ad affidarmi nei miei lunghi viaggi in aereo.

Dopo aver salutato Julieta e la madre, la responsabile mi racconta che l'Opera di Padre Pantaleo ha attivato anche una forma di sostegno a distanza nazionale, e che i bambini ricevono spesso visite dai loro "padrini" locali. Quasi sempre però, durante queste visite, i bambini rimangono in silenzio, lasciando i visitatori delusi e preoccupati. Mi rendo conto che io, invece, non sono affatto deluso: non faccio tutto questo perché Julieta mi parli e mi racconti di sé, e nemmeno perché mi dica che mi vuole bene. È piuttosto il contrario: io sono già voluto bene, qui e ora. È proprio a partire dalla gratitudine per tutto ciò che mi è stato donato, che è nato in me un gesto di gratuità come il sostegno a distanza. Io, peraltro, vivo una condizione lavorativa precaria. Per questo motivo non sono in grado di prevedere se, come e per quanto tempo potrò continuare questa esperienza. Ma ho capito una cosa: la gratuità di cui parlo mi porta anche a dire "sì" adesso, e lasciare che il Signore faccia il resto.

Per tornare a Buenos Aires prenoto un taxi. E ho modo di accorgermi del paesaggio che mi circonda: vedo case fatiscenti, baracche, sporcizia. Vedo una povertà a cui non sono abituato, e questo mi mette a disagio. Poi mi viene in mente che il Signore ha scelto come vicario di Cristo proprio «el papa Francisco», uno che viene da qui, dalla "fine del mondo" e che, instancabilmente, ci richiama all'«essenziale del cristianesimo».

Torno a casa pensando a quanta strada ho da fare per la mia conversione, ma ringrazio il Signore per avermi messo davanti al cammino un Papa che viene "dalla fine del mondo". E ringrazio gli amici di Avsi e dell'Opera di Padre Pantaleo, perché con l'esperienza del sostegno a distanza inizio a capire le parole di Papa Francesco: «Il bene che appare come bello porta in sé la ragione per cui deve essere compiuto».
Michele