La visita del Papa a Guayaquil, Ecuador.

Il nostro piccolo popolo davanti al Papa

La visita di Francesco in Ecuador. L'accoglienza della gente e la notte trascorsa assieme, prima della messa al Parco del Bicentenario, tra l'entusiasmo dei più giovani e la pioggia. Con la certezza di aver ricevuto un grande dono

Da subito è stato impressionante vedere la capacità di quest’uomo di muovere la gente di ogni tipo, razza e religione. Lunedì mattina, a Guayaquil - l’altra grande città che è stata visitata dal Papa, oltre a Quito -, ad ogni angolo ci si preparava per il grande evento e si respirava che qualcosa di grande stava per accadere, ma molto più grande di un concerto, persino più dell’ultimo colpo di Stato, quando poche ore prima la città era in subbuglio. Poi il suo arrivo, e i discorsi: una sorprendente capacità di comprendere tutto, dalla società all’educazione, dalla politica all’ambiente, alla storia di questo Paese, dalla famiglia ai rapporti sociali. E per ultimo, grandioso, il discorso ai religiosi, sulla preferenza del Signore per ciascuno di noi.

Tante sono le cose che ci hanno colpito dei suoi interventi, ma per me la più grande è stata vedere con i miei occhi che esiste un uomo così. Così umano e in qualche modo divino allo stesso tempo. Non era solo quello che diceva, ma i suoi gesti, il suo modo di accogliere ed abbracciare tutti e ciascuno (nella moltitudine, tutti si sono sentiti abbracciati dal Papa, anche chi per diversi motivi non ha potuto vederlo da vicino), la letizia nel suo volto. E insieme la sua umiltà nel chiederci ogni volta di pregare per lui e il suo farsi interrogare e spostare. Come l’ultimo giorno, quando ci ha detto di essersi chiesto, pensando e pregando, da dove venisse la religiosità di questo popolo e ha abbandonato il discorso che aveva preparato. O il suo non avere paura di mettere davanti a tutti le tante tentazioni e decentramenti che viviamo. Una vera presenza, umana e divina, che ti faceva domandare l’origine di un uomo così e desiderare di essere come lui.

Poi c’è quello che è successo tra noi della comunità in quei giorni. In una trentina, tra giovani e adulti, abbiamo trascorso la notte prima della messa al Parco del Bicentenario, dormendo nei sacchi a pelo sotto la pioggia. Dall’entusiasmo, soprattutto dei più giovani, di avventurarsi in questa attesa notturna, in cui era evidente il desiderio di dare tutto per il Papa presente tra noi, all’oggettiva difficoltà per il temporale (avevamo solo due tende), per me è stato impressionante vedere la cura e l’attenzione tra noi per ripararci, per riuscire a dormire un po’ di più, condividendo il cibo e tutto, ma anche cantando e pregando. Fino alla voglia di ritrovarsi di nuovo, la sera dopo, anche con chi non aveva partecipato alla veglia, per raccontarci quanto vissuto. Ho visto una nuova e strana unità che mi ha fatto ricordare quanto stiamo studiando nella Scuola di comunità sui primi discepoli, che stavano insieme e condividevano la vita per Lui che continuava a essere presente. E ho pensato a quello che lo stesso Papa ci ha detto al suo arrivo, riferendosi al Chimborazo (il vulcano più alto dell’Ecuador e il punto più vicino al cielo): la Chiesa è come la luna che non ha luce in sé, ma gode del riflesso della luce del sole che è Cristo. Ecco, questo è quello che ho visto: un piccolo popolo che si è trovato insieme in un modo diverso e più umano solo per il riflesso della presenza di colui che il Signore ha scelto come suo successore.

Ci eravamo preparati per questi giorni con la lettera di don Julián Carrón per l’Udienza del 7 marzo. Dal suo arrivo in Ecuador, ero tutta tesa a cogliere il significato delle sue parole: «Che semplicità occorre per accettare che la vita di ciascuno di noi dipende dal legame con un uomo in cui Cristo testimonia la sua perenne verità nell’oggi di ogni momento storico...». E ciò che mi porto a casa di questi giorni vissuti alla presenza del Papa è che, come per i primi che lo seguivano, anche per noi oggi è possibile la stessa esperienza, vivere il legame con un uomo in cui Cristo si fa presente più che in ogni altro, perché la vita sia più vita.

Ieri alcuni giornali, riferendosi alla situazione politica del Paese, che è un po’ in subbuglio, commentavano più o meno così: «Dopo questo sogno della visita di papa Francesco si torna alla realtà». Io capisco sempre di più che la vera realtà è quella vissuta con il Papa, senza la quale l’altra farebbe solo soffocare e non desterebbe interesse e passione. Lo dicevamo ieri sera con alcuni amici: non si tratta tanto di mettere in pratica le parole del Papa e tanto meno di considerarla una parentesi, ma di seguirlo e seguire chi il Papa ce lo ha fatto amare. Tanti andavano ad ascoltarlo, ma pochi sono rimasti con Lui. Che dono misterioso ci è stato dato e che gratitudine!

Stefania, Quito (Ecuador)