La manifestazione per la famiglia del 20 giugno.

«Il mio cambiamento: da manifestante a pellegrino»

Cosa mi è rimasto? Come ha inciso nella mia vita in questo periodo? Avevo bisogno di andare a Roma per capire tutto ciò? Un lettore racconta la sua partecipazione alla manifestazione del 20 giugno. E tutto il lavoro che ne è nato

Caro don Julián, ti scrivo riguardo al recente raduno delle famiglie del 20 giugno a Roma, in piazza San Giovanni. Cosa mi è rimasto di questo evento? Come ha inciso nella mia vita in questo periodo? Queste sono infatti le domande a cui mi ero ripromesso di rispondere, seguendo il metodo che il movimento, anche nel comunicato relativo alla manifestazione di Roma, da sempre mi ha trasmesso, nell’aderire alle varie iniziative attraverso "un sì carico di ragioni!".

Ciò che ho visto accadere a Roma è stata una serie di piccoli grandi miracoli, a cominciare dal modo in cui è nato il pullman partito da Pavia. Cinque giorni prima della partenza eravamo una quindicina... Poi hanno iniziato ad aderire altri amici, alcuni conosciuti e altri no, anche disposti a fare un viaggio fin da Sondrio o Novara, non proprio dietro l’angolo, pur di trovare un mezzo che li portasse a Roma. Alla fine, a partire da Pavia, oltre a due pullman dei neocatecumenali, c’era anche questo terzo pullman con una cinquantina di persone.

Io ho fatto il viaggio di andata e ritorno accanto a Teresa, vicina agli scout e desiderosa di partecipare all’evento per una questione di "buon senso" rispetto alle idee strampalate contenute nel ddl Cirinnà. Mi ha colpito la sua semplicità nell’aderire a una proposta fatta da persone che neppure conosceva e la lucidità con cui descriveva la nostra presenza pur numerosa in piazza: «Anche se in tanti, siamo stati comunque pochi rispetto al bisogno di testimonianza che la famiglia, oggi più che mai, è chiamata a dare. Pochi agli occhi degli uomini, ma dobbiamo essere come i cinque pani e due pesci!».

Durante il viaggio di andata, tra gli amici di CL presenti si è ripercorso tutto l’iter di ragioni che ci hanno portato ad aderire a quell’iniziativa, mentre sapevamo che altri, rimasti a casa, avrebbero recitato il Rosario per il buon esito della manifestazione, per l’unità della Chiesa e per la fede di noi cristiani. Arrivati in piazza San Giovanni non ci aspettavamo di trovarci davanti a un simile spettacolo. In realtà, alcuni segnali di questo "miracolo" erano già presenti in alcuni dettagli organizzativi, come l’ordine all’arrivo dei pullman o la presenza di diversi ragazzi volontari, che hanno permesso a un milione di persone di giungere in piazza San Giovanni senza particolari problemi.

All’arrivo in piazza siamo stati quasi subito accolti dai canti del cammino neocatecumenale. C’erano semplicemente tante "belle facce", persone non identificabili in particolari sigle o parrocchie. Persone che avevano fatto dei sacrifici sia fisici che economici per essere presenti. Più volte mi sono ripetuto che la fede è questione di ragione: andare a Roma, faticare e pagarsi il viaggio sono gesti che non si compiono a cuor leggero. La piazza era gioiosa, desiderosa di comunicare tra realtà diverse, di comprendere. Era una piazza traboccante anche dal punto di vista numerico, segno che proprio tanti aspettavano un invito del genere. Non è possibile che sia accaduto tutto ciò solo grazie alla capacità umana messa in campo, tra l’altro, in appena due settimane… Penso che il Cielo abbia aiutato questo gesto, anche nella "qualità della piazza".

Ho apprezzato tutto questo nel momento in cui si è trattato di ascoltare le testimonianze di Kiko Arguello, di Costanza Miriano, di Mario Adinolfi, di Gianfranco Amato, dei responsabili della moschea di Centocelle e della comunità degli Evangelici. Sono stati proposti i video di papa Francesco, le testimonianze di alcune famiglie numerose che stanno affrontando l’ideologia del gender in alcune scuole, una lettera di genitori con figli omosessuali…

Sono state tre ore di testimonianze e di fatti, che la folla ha applaudito e ascoltato. Nessun urlo, nessun insulto. Solo un popolo desideroso di farsi compagnia e capire come vivere questo momento di profonda "crisi delle evidenze". Il comune denominatore di ogni testimonianza è sempre stato il medesimo: «Siamo in questa situazione drammatica perché non abbiamo avuto abbastanza fede. È solamente vivendo una fede cristiana, cioè pienamente umana, che potremo non solo uscire da questo pantano, ma vivere appieno il valore della famiglia».

La domanda che ora mi si apre è la seguente: «Avevi bisogno di andare a Roma per capire tutto ciò?». La risposta è certamente: «Sì!». Ancora una volta mi è parso più chiaro come non esistano dei metodi “standard” per dare e ricevere testimonianza, ma ciascuno di noi è attratto dal Mistero in una modalità del tutto personale. Per me l’andare a Roma ha significato fare anzitutto un lavoro: prendere sul serio la parte finale del giudizio del movimento sulle ragioni riguardo all’adesione, documentarmi, sentire gli amici e confrontarmi con loro... Una bella fatica. Che però mi ha fatto scoprire molte cose e cambiare anche il mio atteggiamento iniziale: da manifestante a pellegrino. Quest’ultima non è stata una teoria, ma un cambiamento, arrivato dopo essermi confessato dal sacerdote della mia parrocchia, che mi ha ricordato che potevo fare tutte le iniziative che volevo, ma se fossero mancate la mia preghiera e le preghiere di chi fosse rimasto a casa, niente sarebbe servito. Nemmeno un’Italia intera al raduno delle famiglie in piazza San Giovanni.

Documentarsi, cercare la compagnia e il confronto con gli amici, riflettere su quanto mi sia accaduto, chiedere il perché di tante cose che non mi “tornavano” ha fatto alzare ancora di più il livello della mia domanda: «Se queste leggi improvvisamente si fermassero, sarei più felice? ». Certamente sì, perché questa compagnia e tutta la mia storia mi hanno messo nel cuore una sete di giustizia e verità di cui ringrazio il Signore e che a Lui chiedo di alimentare continuamente.

Lo scenario più probabile è che, però, queste leggi passino magari in maniera subdola. Voglio credere, tuttavia, che se dovremo affrontare una croce del genere, sarà per una nostra maturazione. Anche se, di certo, per il bene mio e della mia famiglia (io e mia moglie siamo appena diventati genitori di Pietro), non mi auguro di passare dalla palude delle teorie gender. Se il Signore chiederà questo alla mia famiglia, mi affiderò a Lui e a questa compagnia.
Concludo con un’opinione personale sul dibattito che ha animato la vita del movimento su questi temi. Solamente il tempo potrà dare ragione di una posizione piuttosto che di un’altra. O magari di entrambe, accumunate dal desiderio di “dare testimonianza”. Anche “in famiglia” capita di avere, perfino per lungo tempo, visioni differenti sulle questioni che la realtà pone. Ma non possono essere la causa di una separazione.

Io rifarei completamente tutto il percorso che ho cercato di descrivere, senza per questo sentirmi fuori dal cammino del movimento, che anzi ringrazio per il modo in cui mi insegna a seguire e vivere il cristianesimo in ogni particolare della realtà.
Giulio, Pavia