Bahia e l'«assedio di Dio alla mia vita»

Figli sepolti dalle madri, la povertà, il pericolo dietro l'angolo. Nella realtà delle favelas, l'idea di un oratorio feriale, l'amicizia con un musicista, il desiderio di donare cibo a chi serve. La seconda parte del racconto di un missionario a Salvador
Emilio Bellani

Una domenica come le altre, con le mie quattro messe fisse e, a volte, una quinta. La prima è alle sette e trenta in una comunità, la seconda è quella per tutti, in parrocchia, alle nove. Ma quella mattina, leggendo il Vangelo, sono rimasto fulminato: era la pagina della vedova di Naim, che Gesù incrocia mentre porta a sepoltura il suo unico figlio. Man mano che leggevo, mi passavano davanti agli occhi volti di altre madri che avevano accompagnato il proprio figlio nella tomba. Ce ne sono tante, qua da noi, come ho raccontato molte volte. Sepolture frettolose, senza la chiesa e senza neppure il funerale, con la gente che aspetta sotto il sole o la pioggia, davanti al camposanto, il corpo di un amico assassinato, di un figlio morto, di un vicino che «però era un buon ragazzo».

Quella domenica, terminata la messa, mi sono venute in mente tutte le madri che avevo visto piangere. Dalle dieci del mattino fino alle quattro del pomeriggio ho continuato a bussare a tante, troppe, porte. Uscire da una casa e dover entrare in un'altra, lontana solo pochi metri, è impressionante. Dire a tutte quelle povere madri: «Donna non piangere»? Non se ne parla proprio: chi sono io? Come posso? Persino le parole di consolazione mi mancavano, e non solo a causa del mio portoghese stentato. L'unica cosa che potevo offrire era un abbraccio, dopo aver spiegato loro perchè mi trovavo là di domenica. E a volte raccontavo cos'era accaduto alla donna che aveva incontrato Gesù.

La realtà qua spesso è difficile. Ed è successo anche stasera. Avevo organizzato di passare una serata con una trentina di giovani, in casa, e avevo chiesto a due di loro, Suco e Valter, di passare a prendere le pizze. Li abbiamo aspettati per più di un'ora, cantando. Quando finalmente sono arrivati, sollevando una pila di pizze ci spiegano il perché del loro ritardo: «Hanno ucciso due giovani proprio di fronte alla pizzeria! Uno lo conosciamo!». Mi sono arrivate subito dopo un paio di telefonate a confermare l'accaduto. Era un sabato sera, sembrava molto tranquillo, con la gente che camminava sui marciapiedi, tra gli odori della carne arrostita. Eppure è una guerra tra fazioni che non finisce mai. Dopo la pizza abbiamo continuato a cantare, ma il canto era più sincero: parlava alle nostre vite, le voci si fondevano in una sola senza sforzo.


Due nuove idee
Ho pensato a due cose. Tra gennaio e febbraio, quando qua è estate, mi piacerebbe fare un oratorio feriale, proprio come quelli che si fanno in Italia. Ma non vorrei farlo proprio così, come quello: vorrei farlo un pochino meno grande. Sto già cercando la storia di un santo da raccontare ai ragazzi, giorno per giorno, che possa fargli vedere come la vita, per gli amici di Gesù, è più interessante. Sto immaginando di portarli anch'io in piscina (pardon, sull'isola!) e fare delle battaglie. Sto sognando di organizzare dei gioconi non solo qua nello spazio della chiesa, ma anche in altri angoli del quartiere, dove i bambini e i ragazzi sono abituati a giocare da soli esposti a mille pericoli... Chissà che in qualcuno si accenda poi il desiderio di cominciare il cammino con noi. Io ci spero tanto.

La seconda idea: vorrei formare un piccolo coro che accompagni le celebrazioni liturgiche e i momenti della comunità, e che, aperto a tutti, diventi un posto dove vedere la bellezza della musica. L'ho confessato alcune settimane fa ad un musicista della mia favela: «Ci stai a darmi una mano in questa cosa? So che insegni musica in varie scuole e che hai molti impegni, ma io ci provo». Il suo nome di battesimo è Laécio, ma si fa chiamare Beethoven. È un amico, nato davvero con la musica nel sangue.

Tantissimi dei miei ragazzini hanno un talento per la musica, la maggior parte afro-discendenti. Basta mettergli davanti una lattina ed è subito spettacolo! Anche il canto piace, un poco cantilenato e con molte acrobazie e dissonanze. Quando si cimentano con l'inglese "delle cuffie", cioè dei cantanti moderni... Allora è meglio tapparsi le orecchie! Perché con la pronuncia non ci siamo proprio. È evidente che delle passioni così sono donate per essere educate! E per dar lode a Dio, o chiedergli perdono, non basta buttarsi nel ritmo, ancheggiando e alzando al cielo le braccia: ci vuole qualcosa di più.

E Beethoven mi sembra la persona giusta, perché al rigore della musica aggiunge un'umanità bella e viva. Sa suonare tutti gli strumenti del mondo e, se cade una biro, sa perfino dirti che nota musicale fa. In più, ci sa fare coi ragazzini. Sa interpretare gli spirituals e sa tutto della musica popolare brasiliana. Canta in inglese e perfino qualcosina in italiano. Si è cimentato, nel passato, persino con la musica polifonica religiosa. E da qualche mese, ha qualche ora libera. Insomma: adesso o mai più. Mi piace questa nuova sfida: dopo calcio, balletto, corsi di informatica, ora proviamo con la musica!


Assediato
Sotto Natale vorremmo portare nelle case un paniere, o un qualcosa che somigli a quel che fanno le San Vincenzo di tutto il mondo, perché non manchi da mangiare ai più poveri. Pasta, riso, legumi, farine, zucchero, latte in polvere, biscotti, olio, burro... Una ditta cittadina me ne ha donate una marea, qualche mese fa: sono evangelici che si fidano dei cattolici, a rispetto della carità. Non ho distribuito nulla ad occhi chiusi: con la parrocchia abbiamo voluto aiutare famiglie bisognose che frequentiamo. Ne ho messe nella lista più di sessanta, mentre attendo nuovi aiuti - anche dall'Italia - per far fronte alle emergenze. Abbiamo raggiunto le famiglie una per una con l'aiuto di alcune persone. Per me è stata una vera "visita pastorale", una benedizione delle case.

Ne son nati dei rapporti, delle amicizie. Tre persone che poi ho battezzato sono state incontrate attraverso quello strumento di carità. Se il balletto classico, il calcio, i corsi di computer posso considerarli aiuti continui alla mia gente, quello della cesta degli alimenti rimane ad oggi una forma di aiuto occasionale, ma molto interessante. Innanzitutto perchè cominciano a muoversi insieme a me persone che mi sono care, e poi perchè sono gesti che nascono dalla nostra persona. Non abbiamo (ancora) un progetto sistematico su come distribuire gli alimenti: per ora abbiamo - ed è già tantissimo! - la gioia di chi, abbracciato, desidera abbracciare.

In effetti, in questo anno della Misericordia mi sono visto abbracciato da tutti i lati. Ci sono cose che non si vogliono o non si possono dire, ma tra quelle che si possono rivelare ho tantissimi esempi di misericordia. La bellissima visita, in gennaio, degli amici Carlo e Paola di Concorezzo. E, in maggio, quella di Francesco, e degli amici Michele e Antonella di Abbiategrasso. Quando sono tornato per poco nell'estate di quest'anno, l'accoglienza che molti amici del Collegio della Guastalla di Monza mi hanno riservato, con una serata nel parco della scuola. Senza l'aiuto di tanti italiani, a partire dai miei familiari e loro amici, parenti, di associazioni di Castelleone (il borgo dove sono nato), amici di Cremona, di Milano e Brianza non avrei iniziato, e non potrei continuare, almeno la metà delle nostre attività.

È passato di qua, inaspettatamente, anche Matteo Renzi, con moglie e figli. Era sulla strada per Rio alla vigilia delle Olimpiadi. Passava a Salvador per far visita ad un grande progetto dei fiorentini in un'altra favela molto povera. Informato della presenza di altre opere italiane, ha improvvisato una visita al Centro Educativo Giovanni Paolo II che c'è nella nostra parrocchia, sostenuto dalla famiglia milanese degli Abbondio. Ne parlo perché mi ha stupito la commozione che gli ho letto sul volto quando gli ho ricordato un comune amico malato, e l'interesse sincero della moglie nel voler conoscere, in dieci minuti, una montagna di cose sulla condizione dei giovani di qua.

Avrei ancora tanto da raccontare - un vero e proprio assedio del buon Dio alla mia vita - ma per questo, forse, vi basta dare un occhio al mio profilo Facebook, dove ormai sono abituato a caricare foto che descrivono i fatti che accadono qua. La realtà mi ha anche riservato delle grandi sberle, venendomi a volte incontro in modo totalmente diverso da come io aspettavo e speravo: ma sto imparando, nel tempo, che ciò fa parte di quella carezza del Nazareno che anche Enzo Jannacci si augurava poter incontrare.