I soccorsi all'Hotel Rigopiano.

Quegli elicotteri e il bisogno che siamo

La tragedia ai piedi del Gran Sasso, i giorni e le ore tra l'attesa, il dolore e le speranze. E lo sguardo che si alza in cielo al rumore dei rotori: «Chi o che cosa può dare speranza?»

Sono grata a Dio che dentro tutte le circostanze, spesso dolorosamente misteriose, non ci lascia mai soli e rilancia sul nostro umano! Sono preside a Pescara. Una mia collega dirigente scolastica mi ha segnalato un brano di Ennio Flaiano che ho letto stamane al Collegio dei docenti della mia scuola, praticamente chiusa dal 5 gennaio. Quelle parole rilanciano una domanda, innanzitutto a me: chi o che cosa ci può dare speranza e, quindi, chi o cosa indicare ai ragazzi lunedì al rientro a scuola? Serve qualcosa che sia all'altezza delle domande (una su tutte: “Perché tutto questo dolore?”) di cui davanti a quello che è accaduto e sta accadendo, sono pieni. Al Collegio i professori presenti hanno raccontato ciò che hanno visto accadere quando siamo andati a Pescara del Tronto, distrutta dal terremoto, a fare il Presepe vivente coi ragazzi: intorno a quella capanna, fatta dai nostri studenti e quindi da nessuna “istituzione o potere costituito”, l'intera Regione si era mossa per abbracciare quei “fratelli”: senza distinguo, barriere, polemiche... Ed era un urlo di cui avevano e hanno bisogno ora, e di cui abbiamo bisogno noi: ricostruire l'umano che c’è in ognuno di noi! Com'è vero che abbiamo bisogno non solo del Suo aiuto, ma che Lui accada sempre. In questi giorni, dopo il miracolo della vita che continua a "resistere" e a chiedere aiuto per “essere”, sono più certa e più tesa verso gli altri! Certa che nulla è più prezioso del dono della vita stessa, e tesa a domandare, sperare, pregare per la salvezza di quella di tutti! Questo è evidente nelle facce di tutti noi, nei discorsi al lavoro o al mercato, per strada, al bar o dal macellaio... Una tensione ridestata ogni volta dal rumore degli elicotteri che sorvolano la città verso l’ospedale: ovunque siamo, tutti alziamo lo sguardo e ci ritroviamo a mendicare la speranza, a supplicare la salvezza di una vita. Della vita!
Antonella, Pescara

Ecco il brano di Flaiano
Adesso che mi ci fai pensare, mi domando anch’io che cosa ho conservato di abruzzese e debbo dire, ahimè, tutto; cioè l'orgoglio di esserlo che mi riviene in gola quando meno me l’aspetto. (...) Tra i dati positivi della mia eredità abruzzese metto anche la tolleranza, la pietà cristiana (nelle campagne un uomo è ancora 'nu cristiane), - la benevolenza dell’umore, la semplicità, la franchezza nelle amicizie; e cioè quel sempre fermarmi alla prima impressione e non cambiare poi il giudizio sulle persone, accettandole come sono, riconoscendo i loro difetti come miei, anzi nei loro difetti i miei. Quel senso ospitale che è in noi, un po' dovuto alla conformazione di una terra isolata, diciamo addirittura un’isola (nel Decamerone, Boccaccio cita una sola volta l'Abruzzo, come regione remota: «Gli è più lontano che Abruzzi»); un’isola schiacciata tra un mare esemplare e due montagne che non è possibile ignorare, monumentali e libere: se ci pensi bene, il Gran Sasso e la Majella son le nostre basiliche, che si fronteggiano in un dialogo molto riuscito e complementare. Tra i dati negativi della stessa eredità: il sentimento che tutto è vanità, ed è quindi inutile portare a termine le cose, inutile far valere i propri diritti; e tutto ciò misto ad una disapprovazione muta, antica, a una sensualità disarmante, a un senso profondo della giustizia e della grazia, a un’accettazione della vita come preludio alla sola cosa certa, la morte: e da qui il disordine quotidiano, l’indecisione, la disattenzione a quello che ci succede attorno. Bisogna prenderci come siamo, gente rimasta di confine (a quale stato o nazione? O, forse, a quale tempo?), con una sola morale: il lavoro. E con le nostre Madonne vestite a lutto e le sette spade dei sette dolori ben confitte nel seno. Amico, dell'Abruzzo conosco poco, quel poco che ho nel sangue. Questa lettera che mi hai cavato con la tua dolce pazienza non volevo scriverla, per un altro difetto abruzzese, il più grave, quello del pudore dei propri sentimenti.
Ennio Flaiano, lettera a Pasquale Scarpitti

PS: Un’amica, Donatella, ha scritto: «A Serramonacesca abbiamo avuto tre giorni un po’ difficili, senza luce, senza acqua e bloccati dalla neve. Il telefono è tornato attivo da poco. Tutta la comunità più giovane è stata impegnata a liberare almeno le entrate delle case dalla neve; abbiamo organizzato dei gruppi di lavoro per aiutare i più anziani e soprattutto le persone che abitano nelle contrade. Sono molto stanca. Tuttavia è bello sapere che qui stiamo tutti bene. Ho pregato tanto per tutte le persone che sono state e sono ancora in situazioni difficili. Mi ha molto colpito l'editoriale di Tracce di gennaio e mi ha aiutato molto in questi due giorni il senso di un “inizio coraggioso”».