La presentazione della biografia di don Giussani <br>a Bologna.

Con lui, la speranza di una vita felice

In Piazza Maggiore, duemila persone per la presentazione della biografia di don Giussani. Dal palco, il sindaco Virginio Merola racconta il fascino dell'incontro tra il prete milanese e Leopardi. Un annuncio senza precedenti nel cuore della città
Stefano Andrini

«A nove anni dalla morte del fondatore di Cl c’è la percezione di una storia che cammina e che continua a camminare». Questo il commento a caldo di monsignor Giovanni Silvagni, vicario generale dell’Arcidiocesi di Bologna, sulla presentazione in Piazza Maggiore della Vita di don Giussani scritta da Alberto Savorana.
La serata, alla quale hanno partecipato duemila persone, è introdotta da Luigi Benatti, responsabile bolognese di Cl. E inizia a sorpresa con le note di Lucio Dalla, La casa in riva al mare. Ma non è un caso o un fatto scontato. Lo rimarca lo stesso autore: «Che di un carcerato si possa cantare “e sognò la libertà” lo avrebbe sottoscritto anche don Giussani. Perché c’è una cosa che domina tutta la sua vita. Ovvero la natura indistruttibile del cuore di un uomo che neanche la galera può spegnere».

Taglio molto personale, quello scelto dal sindaco Virginio Merola, che il volume l’ha letto dalla prima all’ultima pagina. Colpito, prima di tutto, dal disagio espresso da don Giussani in una conferenza sull’educazione a Bologna, per una cultura che nega la categoria della possibilità. «Nella mia esperienza di amministratore pubblico», spiega «sono sempre più portato a vedere con infinita pazienza che la democrazia è un’esperienza, una possibilità che può arricchire la vita delle persone o può anche danneggiarla. Io credo nel progresso scritto nelle leggi della storia, ritengo che il progresso sia una possibilità, non una certezza. Dipende. E dipende da cosa? Da come l’uomo utilizza la sua libertà. E quindi prima di tutto dalle domande che si pone e dalle risposte che cerca a queste domande». Leggendo il libro, il sindaco confida di essere stato colpito dall’incontro tra Giussani e Leopardi. «Leopardi è un critico feroce dell’ideologia delle magnifiche sorti e progressive propagandate dalla ragione illuminista che si pretende autonoma, unica depositaria del progresso e della verità. Don Giussani gli testimonia la sua amicizia convenendo che si pongono la stessa domanda. La domanda di infinito e di felicità del cuore umano. Giussani crede, vede la fede come un atto concreto. Leopardi prende le distanze dalla ragione illuministica e vede la ragione come strumento principale di rapporto con la realtà. Don Giussani, e qui fa il grande salto, io invidio chi riesce a farlo, vede la fede come metodo di conoscenza. Uno con la fede, don Giussani, e l’altro con la ragione disincantata arrivano a proporre un’idea simile con parole diverse. Un’idea di fraternità e di solidarietà tra gli uomini». Per questo, conclude Merola, «don Giussani dobbiamo tenerlo nel cuore per non negarci quella categoria della possibilità. Ovvero che è possibile la speranza di una vita felice».

Monsignor Novello Pederzini, parroco bolognese, racconta della sua esperienza di studio al Seminario di Venegono. «Mi appoggiai ai giovani sacerdoti che frequentavano la facoltà teologica. In questo gruppo familiarizzai con Giacomo Biffi, Giussani ed Enrico Manfredini. Evidentemente già allora ci univa un feeling. Gaetano Corti è il professore che più di altri ha formato don Giussani con la sua convinzione che il Vangelo potesse riassumersi nella frase “Il Verbo si è fatto carne e abita in mezzo a noi”».

Il giornalista Antonio Ramenghi, direttore de Il Mattino di Padova, ricorda l’incontro tra Giussani e Dossetti avvenuto a Bologna su invito del cardinale Biffi in occasione del Congresso eucaristico diocesano del 1987. «I due», chiosa Ramenghi, «sono stati chiusi in una stanza a Montesole per tre ore. Una conversazione importante per entrambi».

Conclude l’autore, Alberto Savorana: «È un sogno parlare in Piazza Maggiore di don Giussani. Il libro è stato un mio tentativo di prendere per mano i lettori per ripercorrere la sua vita, una vita d’uomo che ha attraversato le circostanze e i momenti con cui ogni uomo ha a che fare. Per Giussani il cristianesimo diventa incomprensibile e quindi inutile se l’uomo non prende sul serio le sue domande».

Monsignor Silvagni, al termine della serata, definisce «intelligente» la scelta di far parlare persone non interne al movimento. «Questo ha consentito di raccogliere testimonianze non sospette», spiega. «Di gente che ha accostato la storia di Giussani e ne ha in qualche modo percepito un riverbero. Lasciando intravedere un frutto che ogni esperienza seria produce non solo per chi la vive ma anche per chi semplicemente l’accosta». Il vicario generale plaude, infine, all’intervento di Savorana. «Una bellissima testimonianza per tutta la città. Caratterizzata da un grande coinvolgimento personale. Come quando ha raccontato che gli pare di averlo conosciuto più adesso di quando mangiava a tavola con lui. È bello quando accade questo. Perché si intuisce che c’è una crescita della conoscenza che poi diventa approfondimento del dono della fede».

In prima fila, l’economista Stefano Zamagni: «È stato un evento il cui successo nessuno poteva prevedere. Non solo in termini di affluenza, che di per sé è già un dato significativo. Ma soprattutto per la partecipazione dei relatori. Del fondatore di Cl oggi rimane molto. Archiviato il periodo degli accidenti storici, come gli Anni di piombo e la fine della Dc, che hanno costretto il movimento a giocare in difesa, il messaggio centrale di don Giussani risplende in tutta la sua purezza. In un’epoca di dissolvimento degli apparati politici e di vuoto culturale mi aspetto che il movimento, alla vigilia di un nuovo rinascimento, conosca una seconda giovinezza, con il carisma di don Giussani ancora più capace di attrarre».

Tra i tanti in piazza c’è anche Fernando Lanzi, ciellino bolognese della prima ora, che, a metà degli anni Sessanta, don Giussani l’ha conosciuto bene. Anche perché ha celebrato il suo matrimonio e battezzato la sua prima figlia. «Un doveroso omaggio a don Giussani. Ma soprattutto un annuncio al cuore della città che con queste dimensioni non c’era mai stato», è il suo commento.