«Il mondo è un carro in fiamme. Cosa puoi fare tu?»

La vendita della rivista nel centro di Milano. L'incontro tra una liceale e un signore su una panchina. «Era tanto grande il dolore che esprimeva che mi sono commossa. E gli ho raccontato che a scuola…»

Sabato scorso ho partecipato insieme ad alcuni amici ed insegnanti alla vendita straordinaria di Tracce nei giardini di porta Venezia, a Milano.
Una mia prof si è avvicinata ad un signore seduto su una panchina e gli ha proposto la rivista. Lui ha risposto subito che non era interessato e, alla domanda sul perché, ci ha detto: «È inutile che mi proponiate qualsiasi cosa. Il mondo non è che un carro in fiamme che sta precipitando e che non può essere fermato fino a che non si schianterà. Non ci sono soluzioni. In questo mondo c’è troppo dolore, è tutto sbagliato; il male ha vinto sul bene. Bisogna aspettare che succeda un disastro che azzeri tutto e che permetta di rincominciare da capo. Così come la mia mamma mi raccontò che è accaduto nelle due guerre mondiali».

Alla proposta della mia insegnate di provare a leggere le testimonianze dei cristiani perseguitati, sereni e fiduciosi nella fatica e nel dolore che devono patire, Gianfranco - così si è presentato - si rifiutava di ascoltare, dicendo che le cose che essi affermano sono dettate dalla disperazione. A questo punto, vincendo la mia timidezza, non ho potuto non rivolgermi a lui: «Ma lei dicendo così, che tutto è male, è felice? Ora, in questo momento, è contento? Questo è l’importante!».
Non mi rispondeva, continuava a ripetere con gli occhi pieni di arrabbiatura che niente e nessuno fermerà il male del mondo. Ma nel suo viso io, in quel momento, ho visto che questo non bastava: i suoi occhi erano troppo tristi.
Era tanto grande il dolore che esprimeva, che mi sono commossa e ho iniziato a raccontargli del laboratorio di teatro svolto all’inizio dell’anno con la mia classe sulla vicenda dei ragazzi della Rosa Bianca, che è stata per me un’esperienza straordinaria. Gli ho detto: «Vede, sotto il regime nazista questo gruppo di amici ha avuto il coraggio di fare resistenza passiva. Non si sono rassegnati di fronte al male del mondo. Hanno affermato che una speranza c’è e che il male non è l’ultima parola».
Di fronte al suo scetticismo che affermava che essi avessero agito solo perché erano stati costretti dalle circostanze subito ho risposto: «Questo non è vero! Loro hanno resistito al regime perché erano innamorati della vita; amavano tutto, la musica, lo studio, i rapporti tra loro, le gite in montagna… Io per meno di questo amore per la vita non voglio vivere; sarei disperata a credere anche solo per un secondo che non c’è una speranza per il mondo».
La sua risposta è stata spiazzante: «Sono aghi in un pagliaio, non hanno potuto fare nulla, infatti sono morti. Tu sei giovane, credi troppo in quello dici e sei sincera. Vedrai che andando avanti ti accorgerai che le cose non sono così. Cosa puoi fare tu? Metterti di fronte al carro incendiato e farti travolgere?».

Sono rimasta profondamente scossa; Gianfranco aveva riaperto in me la grande domanda di bene che mi sorge di fronte alla realtà delle mie piccole fatiche quotidiane. Gianfranco esprimeva inconsapevolmente e ridestava in me il bisogno di sperimentare la speranza che sostiene i miei fratelli cristiani.
Così in quell’istante ho deciso che l’unica cosa davvero coerente con la domanda mia e di Gianfranco fosse leggere insieme le testimonianze dei cristiani.

Vincendo con fatica le sue resistenze, mi sono seduta vicino a lui e gli ho letto degli stralci dell’intervista a padre Douglas. Mi sono commossa nell’accorgermi che entrambi stavamo cercando la stessa cosa, eravamo compagni e amici come lui stesso ha affermato dicendo una cosa che mi ha molto intenerita: «Ti ascolto solo perché potresti essere mia figlia», e ha ascoltato rimanendo molto colpito.
Poi è arrivato un altro insegnante con cui abbiamo parlato di arte e di cucina. Gianfranco si è interessato molto e ci ha raccontato la sua vita e le sue origini piacentine. Mentre parlava era interessato, era eccezionale vedere come pur con tutto lo scetticismo e la tristezza nel volto, egli fosse attaccato alle cose belle e semplici della vita.

Alla fine, dopo un’ora di dialogo insieme gli ho fatto la dedica sul Tracce che avevamo aperto e gliel’ho regalato. Gli ho detto: «Ora non può buttarlo! Può non leggerlo, ma lo tenga perché così si ricorderà del nostro incontro a cui noi saremo sempre grati al Signore». Poi gli abbiamo proposto di fare insieme una serata per trovarci a mangiare il gnocco fritto. Lui, sempre col suo accento un po’ polemico, ha accettato.

Quello che mi è accaduto durante la vendita è un incontro molto semplice ma che per me costituisce il momento culminante di quest’anno di intenso lavoro e crescita. Sia io che Gianfranco desideriamo incontrare la Speranza che sostiene i cristiani perseguitati. Il mondo in cui vivo, me ne accorgo guardando le facce delle persone in metropolitana per andare a scuola, ha fame di quello che padre Douglas ci testimonia. Io desidero ogni istante incontrare e essere testimone della positività che la realtà è.
Leggere la testimonianza, per quei pochi minuti di fianco al mio nuovo amico, era il modo più vero di stare di fronte a questa domanda e sono certa che in quel momento eravamo compagni e vicini ai nostri fratelli cristiani. Sarò sempre piena di gratitudine per questo grande regalo che ho ricevuto.
Teresa, Milano