Marta Cartabia e Susanna Mantovani all'incontro.

Un uomo che si incontra, e che si segue

La biografia di don Giussani all'Università Bicocca. Un incontro che ha ripercorso la genialità educativa del fondatore di Cl. Come quella volta in cui fece riappassionare un'allieva ebrea, non più praticante, alla sua tradizione...
Giorgio Vittadini

La presentazione di Vita di don Giussani di Alberto Savorana, avvenuta il pomeriggio di mercoledì 2 aprile all’Università di Milano Bicocca, per iniziativa dell’associazione studentesca Help Point, è stata molto interessante per il taglio particolare e unitario scelto dagli organizzatori. Il titolo, “Don Giussani, una esperienza educativa”, mostra il filo rosso seguito dai relatori: cosa significa che Giussani sia stato e sia un educatore eccezionale, capace di mobilitare le coscienze di migliaia di giovani e, oggi, anche non più giovani.

Lorenzo Strik Lievers, docente di Scienza della formazione, negli anni in cui insegnava Giussani era studente di matrice radical socialista al liceo Berchet e andava alle lezioni di religione del sacerdote milanese per contestarlo, contrapponendosi ai giessini. Tuttavia don Giussani era ben diverso dall’immagine di prete tipica di quell’Italia dove dominava un oppressivo potere clericale. Anzi, riteneva che quella ricerca del potere nascondesse una gravissima mancanza di ragioni e un vuoto di esperienza reale. Lui proponeva piuttosto a tutti, cattolici e non, di mettersi in gioco, di risvegliare il loro personale senso religioso. La questione educativa che Giussani poneva era l’educazione alla libertà, di cui l’incontro con Cristo era il culmine. Per questo, anche dopo il successo politico-organizzativo pubblico del Palalido (1973), richiamò pesantemente i suoi seguaci al fatto che la strada non era la ricerca di una egemonia politico sociale, ma la presa di coscienza della propria identità, del rapporto con Cristo come avvenimento di vita che cambia la storia per il bene di tutti. È la radice di quella battaglia per la libertà di educazione, punto imprescindibile e condiviso anche da laici del suo movimento.

Questa attenzione alla persona in tutti i suoi aspetti è anche per Susanna Mantovani, docente di Pedagogia alla Bicocca, la ragione per cui don Giussani ha mobilitato tante persone giovani dagli anni Cinquanta fino ad oggi. La Mantovani, che pur ha affermato di non avere le stesse certezze di Giussani, trova come chiave della sua proposta educativa proprio la concezione unitaria dell’uomo, così rara visto che di solito si tende a dividere l’aspetto socio emotivo e quello cognitivo dell’io. Concepirsi così e guardare ai ragazzi senza dividere la loro intelligenza e il loro desiderio ha dato origine a una enorme energia comunicativa, fiduciosa nella potenzialità dei giovani che incontrava e desiderosa di valorizzarla. Ognuno era importante per lui; perciò anche quelli che non si sono identificati nel suo movimento trovano l’incontro con lui come decisivo. È il caso di Emanuela Cantoni, allieva ebrea di tradizione, ma non praticante, che proprio per l’esortazione di don Giussani, suo insegnante al Berchet, torna alla tradizione dei padri e ne fa la sua ragione di vita. La conclusione della Mantovani è quindi simile a quella di Strik Livers: don Giussani ha affascinato i giovani per quella sua generosa profonda sfida alla libertà di chiunque incontrasse.

È il cuore dell’umano: ragion per cui, come ha detto don Marco Cianci, direttore del centro pastorale della Bicocca, don Giussani, interrogato su cosa fosse più importante per i preti, rispondeva: «Essere uomini». Di fronte a una teologia negativa che consigliava di rifugiarsi in Dio per la delusione del mondo, Giussani guardava e faceva guardare la Bellezza di cui il mondo è segno, quella che la poesia Alla mia donna di Leopardi gli richiamava. Il regno di Dio è qui e ora, per questo Giussani ha voluto implicarsi con il tutto e valorizzare anche l’infinitesimo apporto positivo di chiunque. Il cristianesimo è un uomo che si incontra e si segue perché risponde a questo desiderio di bellezza. Tutto può aiutare a questo: soprattutto quella tristezza che il potere vuole eliminare, come diceva Giussani commentando la nota canzone Ho visto un re di Jannacci, quella tristezza che ci rende insaziabili di significato e di affezione.

Il suo apporto alla vita sociale, ha osservato Marta Cartabia, giudice alla Corte Costituzionale, non può che essere innanzitutto un’educazione senza sconti del soggetto di questa azione. Come avvenne nel 1987 ad Assago, all’assemblea culturale della Dc. In quel momento, dopo la fine del terrorismo, tutti erano molto appagati sotto il profilo economico, politico e sociale. Giussani riprese il tema del potere che vuole dominare il desiderio dell’uomo per appiattirlo e induce lo smarrimento giovani e il cinismo degli adulti. Giussani ripropose sempre una essenzialità evangelica, una passione perché la gente avesse risposte vere alle esigenze della vita. Non è la proposta di un progetto politico alternativo, ma piuttosto la scoperta della pertinenza della fede vissuta come risposta alle esigenze dell’uomo. Questa è la chiave della sua straordinaria capacità di leggere il suo tempo e le grandi trasformazioni in corso. Perché, come ha concluso Marta Cartabia ricordando una frase di Giussani nel 1969 che può essere la sintesi di tutto l’incontro, «le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice».