Da sinistra: Savorana, Bertagna, padre Gheddo <br>e Campiotti

Basta lasciarsi prendere per mano

Continuano le presentazioni del libro Vita di don Giussani di Alberto Savorana. Sul palco di una sala congressi gremita di persone: l'autore del libro, Giuseppe Bertagna e padre Piero Gheddo. Per raccontare una fede che non va conosciuta, ma vissuta
Ettore Ongis

L’ultima volta che i ciellini di Bergamo si erano radunati al Centro Congressi, nel salone dove si svolgono tutti i convegni importanti della città, era in ottobre per la celebrazione del quarantennale di presenza di Cl nella terra di Papa Giovanni. Don Julián Carrón sul palco e un migliaio di persone a seguire l’incontro. Per farcele stare vennero occupate anche altre sale. Carrón parlò di sé e del movimento con semplicità e umiltà: «Stasera festeggiamo la fedeltà di Dio», esordì. Il gesto fu coinvolgente.

Sono passati quattro mesi ed eccoli di nuovo, i ciellini. Stesso salone, stavolta per presentare la Vita di don Giussani di Alberto Savorana. Sul palco l’autore, il pedagogista Giuseppe Bertagna, padre Piero Gheddo e Michele Campiotti, responsabile della comunità di Bergamo. Salone pieno: 500 presenti, più o meno. Ho l’occasione di salutare i relatori che conosco e stimo. «Quando vi muovete voi, siete sempre una forza incredibile», osserva il professor Bertagna prima di salire sul palco. Gli rispondo: «È così: più ci danno in testa e più ci rialziamo. È la Chiesa, professore». Savorana è qualche passo più in là: «Dì una preghiera per stasera». Balbetto un tentativo di Ave Maria e vado a sedermi fra i due amici che ho invitato.

Il primo è un “vecchio ciellino”, uno della prima ora. Un professore, intellettuale di livello che andando al fondo delle cose avverte in modo acuto la fatica di vivere. Appartenere a Cl e aver conosciuto da vicino il don Gius, come lo chiama lui, non lo ha messo al riparo dalle tempeste, al contrario ne ha amplificato il grido e il dolore di una risposta tardiva. A Pasqua dell’anno scorso mi aveva mandato un sms: «Risorgeremo. Ma quando?». Di norma evita manifestazioni, assemblee e scuole di comunità. Quando arriva lo prendo in giro: «Dimmi la verità, non vedevi l’ora di venire alla presentazione del libro sul Gius». Lui, ironico, abbozza: «Guarda, se non mi chiamavi tu, ci sarei andato da solo…».

L’altro è un “vecchio imprenditore”, possiede una bellissima azienda e ha cominciato a volerci bene quando siamo caduti in disgrazia. Ha trascorso un venerdì faticoso, con annesso consiglio di amministrazione. Di Cl non sa quasi niente ma apprezza, divertito, il fatto che fra i ciellini che ha conosciuto nessuno è d’accordo con un altro. Un mese fa gli avevo regalato il libro di Savorana e finora ne aveva letto una pagina: «Però è scritto molto bene». È un uomo buono e acuto, un cristiano della parrocchia, direbbe Péguy, generoso come pochi: per tenersi in disparte, affida ad altri i contributi da mandare ai bambini della Rose in Uganda. «Quanto durerà stasera, un’ora?», chiede fiducioso o forse un po' preoccupato.

L’incontro dura un’ora e mezza, qualcosa di più. Campiotti esordisce con un trionfante: «Questo è un grande libro», subito corretto dall’autore: «Un grosso libro, è grosso!». Si comincia. Padre Gheddo è simpatico e coinvolgente, ricorda gli anni di Gs, l’impeto missionario, la caritativa nella Bassa milanese, la crisi del Sessantotto, la nascita di Cl. Ricorda, soprattutto, il modo in cui Giussani parlava di Cristo: «Io, laureato in teologia missionaria, pensavo di sapere tutto di Cristo, eppure lui parlava di Gesù in un modo che ti trascinava veramente: “Non basta studiarlo, dobbiamo innamorarci di Gesù!”, gridava. Avevo studiato anche l’omiletica, ma nessuno aveva mai detto una cosa così. E i ragazzi lo seguivano, a centinaia. Nella sede del Pime che ospitò Giussani e Cl dal ’73 al ’93 gli incontri del sabato con a tema Cristo e la Chiesa erano una cosa stupefacente». Sorride divertito e fa sorridere, Piero Gheddo, figlio di due quasi beati.

Bertagna “concettualizza” in sei punti le 1200 pagine del libro. Interessante è la dimostrazione, citazioni alla mano, della sintonia intellettuale fra Giussani e Paolo VI. Insiste sulla libertà di Giussani («un uomo che la libertà l’ha presa sul serio») e sulla sua obbedienza alla Chiesa; la sua è una lettura seria e approfondita del fondatore di Cl. Solo quando il linguaggio si inerpica in frasi ardite: «La fede innalza il dispositivo; è un moltiplicatore, non un addizionatore; consente un’esperienza nuova della ragione», l’amico imprenditore accusa un leggero cedimento. Ma è proprio un momento.

Tocca a Savorana, uno che si è sempre dato senza chiedere per sé, e non si risparmia neppure in questa occasione. Ricostruisce la genesi del libro («dal desiderio di andare a vedere come è cominciato tutto»), e i cinque anni e mezzo di lavoro per “mettere in fila” documenti, lettere, testimonianze, ricordi, «lasciandomi prendere per mano da Giussani stesso, che per tutta la vita ha raccontato di sé, perché tutto quello che gli è capitato, in lui diventava cosciente. Giussani ha imparato tutto dalla storia». Come i grani di un Rosario, l’autore snocciola le principali tappe di quella straordinaria vicenda umana: «Tutta la vita di don Giussani è stata obbedire alla realtà, perché per lui la realtà era il modo in cui il mistero gli andava incontro: un uomo totalmente dipendente dal mistero. Vi auguro, se avrete la pazienza di leggere il libro, di provare lo stesso entusiasmo che ho sperimentato io nello scriverlo». Applausi scroscianti.

Allora, amici miei, com’è andata? Quello che segue è il resoconto del dialogo, tornando a casa, fra il professore, l’imprenditore e un terzo.
Imprenditore. Devo dire che chi ha scritto il libro è incredibilmente vero. Vero come lo racconta: si vede che viene dal profondo e che ha vissuto un’esperienza non comune. Ha dentro una forza di verità sorprendente. E poi ha il dono della chiarezza.

Professore. Io sono sempre molto incerto su queste cose. È giusto, per noi che ci siamo passati, ricordarle, dirle con verità. Mi sembra giusto. Però ultimamente non ne vedo la grande utilità. Può essere che mi sbagli, ed è grave. È un po’ come un bellissimo articolo che scrisse Socci quando morì il don Gius nel quale diceva: «Mi piacerebbe riuscire a dire ai miei ragazzi come don Giussani ti guardava». Io mi sono sempre detto: «Non c’è che un modo per dirlo, li devi guardare te». Non è che puoi pensare di vivere la tua vita raccontando di come è stato grande un altro. Io non ritengo così decisiva questa cosa. Certo, oggi viviamo in una società in cui bisogna condividere, far conoscere, ma mi sembra sempre l’affermazione di una distanza ultima, di uno iato che non so come identificare bene. Wittgenstein, grandissimo filosofo, dice questa cosa: «Ma voi come fate a spiegare a uno che non l’ha mai sentito il profumo del caffé? Dovete dargli il caffè».

Imprenditore. Eppure ci vuole qualcuno che ci mostri le cose grandi: l’esempio ci aiuta a scoprirle. Ci sono uomini che sono riusciti col loro esempio a costruire altre persone, un popolo, ed è bene che poi qualche testimone renda ragione di una vita straordinaria. Quel contatto può venire anche leggendo un libro. Io sono molto povero di capacità, ma quell’unica pagina che ho letto mi ha preso. Stasera per esempio l’entusiasmo del sacerdote del Pime e il racconto appassionato dell’autore sono stati coinvolgenti.

Terzo. Io penso che la cosa più importante non sia tanto spiegare Giussani, ma vivere dentro le cose con almeno un briciolo della passione, dell'entusiasmo e della capacità di giudizio che lui aveva e ci ha insegnato. Scrivere di lui, leggere di lui, farlo conoscere a tutti è un modo per domandare Gesù ora. Noi siamo stati conquistati da una passione, da un’attrattiva per Cristo e per la realtà, prima che da una conoscenza. Prendevamo appunti in maniera forsennata perché era bello essere lì e sentirlo parlare, non per studiare a casa le sue argomentazioni. Peraltro erano cose difficili quelle che diceva. Leggevamo e rileggevamo gli appunti per poterlo sentire ancora vicino, conquistati da una cosa che non si poteva pensare che ci fosse. Una cosa nemmeno comprensibile.

Professore. Era evidente che la sua era una presenza in cui agiva il Signore, quasi indipendentemente da cosa dicesse o facesse. Io se devo pensare a un miracolo, penso alla persona del Gius. Non si capiva granché, eppure si aveva la sensazione di essere nel punto giusto. Questo è il miracolo.

Imprenditore. Non ho mai vissuto nella mia vita un’esperienza di questo genere. Neanche un giorno, non una settimana, neanche un giorno, quindi non saprei cosa dire. Il mio è tutto un fai da te che mi sono costruito, però credo che sia stupendo quello che raccontate, perché quell’uomo ha messo nel cuore di tanta gente una cosa bella, entusiasmante. Eccoci, siamo arrivati. Vi ringrazio per questa serata che oserei definire nobile. È stata una serata nobile. Vediamoci presto.