La mostra nel centro commerciale di Cuneo.

Se la paternità finisce in vetrina

A Cuneo, tra i negozi di un centro commerciale, la mostra "Nessuno genera se non è generato" curata dalla Fraternità San Carlo. E davanti ai pannelli il dialogo nato tra alcuni visitatori capitati lì per caso e chi la presentava
Davide Ori

Achille, Ulisse, Dante, Virgilio e Gandalf. Tutti sui pannelli dietro le vetrine di un Centro commerciale, tra una lavanderia e una farmacia. Non si tratta di un negozio, e lo shopping non c'entra. Sono lì per un altro motivo: la figura del padre, in una mostra curata dalla Fraternità San Carlo. Figura, quella paterna, sempre più snobbata e dimenticata dalla mentalità moderna, alla quale però, nella mostra, viene restituita tutta la sua originaria importanza andando ad interpellare i grandi della letteratura. Partendo da Omero fino ad arrivare a Tolkien. È successo tra il 15 marzo e l’11 aprile nel quartiere di San Paolo, nella periferia di Cuneo. Proprio tra quei palazzi che rischiano di diventare solo un "dormitorio" per chi ci vive.

L’idea di allestire la mostra “Nessuno genera se non è generato. La figura del padre in Omero, Dante e Tolkien” è venuta a Francesco, un cinquantenne cuneese, che ha proposto l’idea al Comitato del suo quartiere lo scorso ottobre. «Volevo portare nella mia zona qualcosa di bello», spiega: «Chi non va in parrocchia certe cose non le vive, così ho lanciato la cosa in occasione della festa del papà». Il Comune mette a disposizione alcune vetrine di un negozio sfitto del centro commerciale. Così, dalle otto e mezzo alle venti la mostra rimane visitabile per chiunque passi. Molti dei visitatori ci capitano lì per caso, come molti papà mentre aspettano le mogli che fanno la spesa.

Il 15 marzo all’inaugurazione ci sono una sessantina di persone da tutto il quartiere. Con due guide d’esperienza, Maria Giulia, cuneese al terzo anno di Ingegneria elettrica, e Manuela, studentessa di Architettura, entrambe al Politecnico di Torino. D'esperienza, sì perché la mostra l’avevano già portata nelle loro facoltà (vai all'articolo), ma la spiegazione, dicono, è sempre nuova. «Una signora, una di quelle che conosce tutto il quartiere, e mai te la saresti immaginata lì ad ascoltare, mi tempestava di domande», racconta Maria Giulia. Perché due studentesse del Politecnico spiegano una mostra letteraria? Perché i curatori l’hanno voluta fare? Perché non ci si è concentrati anche sulla figura materna? Come siete diventati amici? «È rimasta così colpita che voleva sapere tutto di noi e della mostra», dice Maria Giulia: «Ha voluto conoscere gli altri che spiegavano, dicendo: “Dovrebbero fare degli opuscoli di questa mostra da dare in giro, dirò a mio marito di passare”».

Tanti alla fine della spiegazione si fermano a parlare dei loro figli, dei problemi nell’educarli, delle difficoltà quotidiane, ritrovandosi nei personaggi letterari esposti. Ma anche alcuni ragazzi di terza media si fermano alla fine della mostra. «Un ragazzo non sapeva cosa decidere per le superiori e non aveva mai considerato quello che gli suggerivano a casa. Si sentiva obbligato a scegliere la scuola in funzione al lavoro nell'azienda di famiglia. Non sentiva da parte di nessuno il desiderio di aiutarlo a crescere» .

Poi i pannelli su Il Signore degli Anelli e le parole di Gandalf ai piccoli hobbit: «Sono con voi per il momento, ma presto non lo sarò più. Non vengo con voi nella Contea. Dovete sistemare da soli le vostre faccende; è per questo che siete stati allenati. Non avete ancora capito?». Il ragazzzo ha un'intuizione e dice: «Forse quello che mi dicono i miei genitori è per me. È una fortuna se qualcuno mi guida, anche se alla fine sono io a dover scegliere». Oppure la storia di Stefano, che a casa sua non ha mai avuto una situazione pacifica a causa della separazione dei suoi genitori. Dopo la spiegazione della mostra, riapre la partita con suo papà: «Non avevo mai pensato che fosse necessario perdonare il proprio padre, ma è proprio così. Per volergli bene devo iniziare a perdonarlo, cioè comprendere che è fragile come me».

La sfida aperta dalla mostra non si è fermata solo al piazzale del centro commerciale. Il 29 marzo l’incontro con don Vincent Nagle, sacerdote della Fraternità San Carlo, che ha affrontato il tema della paternità, partendo da una provocazione: «Perché mettiamo al mondo i figli?». Il prete americano si è soffermato sui sensi di colpa che affliggono i genitori d’oggi: «Noi siamo peccatori ma possiamo continuare a educare». L’importante non è che i figli stiano bene, o che soffrano il meno possibile, incalza Nagle: «La vita è una lotta all’ultimo sangue e, se si ha chiaro Chi ci ha mandato e con quale missione, tutto ha un gusto diverso e ne vale la pena. Io ho scoperto questo grazie alla paternità di don Massimo Camisasca e per me questo è la Fraternità San Carlo».

La paternità non si esaurisce in un fatto biologico. Questo è chiaro per Francesco: «Non ho figli. Mia moglie ne ha persi due». E proprio lui ha insistito a portare quei pannelli nel suo quartiere: «Ciò che mi è successo non mi toglie la possibilità di essere padre a mia volta, proprio con mio padre. Questo l'ho capito solo seguendo don Giussani. Mio papà vive a Benevento, quando vado a trovarlo si affida a me, ha bisogno di me, a partire dal suo bisogno di essere accompagnato nella malattia».