Dennis Oryem.

«Nemmeno mio padre mi ha mai parlato così...»

Dennis ha 22 anni. Orfano di entrambi i genitori, incontra il Meeting Point di Kampala. E dall'amicizia con Rose cambia tutta la sua vita. Ora frequenta l'università e sa chi è, «perché c'è chi mi ama e mi aspetta»

Quando mio padre è morto non avevo speranza. Finché non ho incontrato Rose, ero solo un bambino, non pensavo di potere andare avanti a studiare, ma lei mi ha guardato e mi ha detto: «Dennis, lo sai che hai un valore? Puoi fare ciò che vuoi!». Nemmeno mio padre mi ha mai parlato così, non mi ha mai detto che avevo un valore, che la mia vita aveva un significato.
Ogni volta che venivo promosso al livello successivo della scuola secondaria andavo da lei e le dicevo che volevo continuare a studiare, perché mi avrebbe reso felice. Lei mi chiedeva: «Davvero?». Non capivo il perché di quella domanda, ma andavo avanti a studiare. Poi le ho detto che volevo andare all’università. Tutto ciò che volevo Rose me lo dava. E mi chiedevo: chi è lei? Nemmeno mio padre mi dava queste cose... Lei non era interessata ai miei risultati, ma a me come persona. A me.
Sono stato ammesso all’università, e le ho detto che questo mi avrebbe reso veramente felice. Mi ha chiesto se credevo davvero che lì stesse la mia felicità. Le ho chiesto cosa significasse quella domanda... Lei mi ha riposto che i nostri desideri sono infiniti. Questo mi ha spalancato gli occhi! Mi ha ricordato che a ogni livello successivo della scuola le dicevo che sarei stato felice. Ora, però, sono all’università e comunque non sono veramente felice. Vorrò sempre qualcosa di più.
Adesso appartengo a una bella famiglia, sono contento di avere incontrato queste persone e non cerco altro, perché ho visto qua, in questa famiglia, Cristo all’opera, concretamente. Qui c’è sempre qualcuno che mi aspetta e che è disponibile a parlare con me! Non ho mai sperimentato una cosa simile nemmeno con i miei genitori. Quando ho incontrato Rose ho realizzato che Cristo è nelle persone. Perché incontrare qualcuno che è sempre ad aspettarti, con cui puoi parlare di tutto, in piena libertà... e non ti dice che questo è sbagliato o che quest’altro non va... sei libero di fare ciò che vuoi, lei poi ti dice come farebbe le cose.
Quando Rose mi ha invitato alla Scuola di comunità, all’inizio non capivo nulla ma non glielo dicevo. Poi le ho detto la verità e le ho chiesto di aiutarmi. Lei mi ha chiesto come mai ci avevo messo tanto a dirle che non capivo: «Ti ho detto che sono sempre disponibile per te, sentiti libero, non avere paura». Mi sono vergognato: qualcuno mi dice che è sempre disponibile per me... Ho detto al mio cuore: «Questo è davvero troppo! Mi dà del tempo e per di più lo fa sorridendo». Molti di noi che ora frequentiamo il Meeting Point avevamo una stima di noi stessi che era davvero a terra, nessuna speranza, pensavamo di non farcela. Ma lei ci ha guardati, ci ha detto che abbiamo un valore. Qualcuno che ti dice questo... era davvero troppo! Mi sono detto che qualcun altro parlava per lei, doveva per forza essere Cristo, Cristo che mi parla in questo momento. Un giorno Rose mi ha detto di essere me stesso, di vivere la mia vita e non indossare maschere, di essere libero. Non avevo bisogno che mi dicesse di essere libero: io sono già libero! Poi mi ha chiesto: «Tu sai chi sei?». Io pensavo di sapere chi sono, ma in realtà... chi sono io? So come mi chiamo, so che vado a scuola ma... a quel punto mi ha ricordato ancora di andare alla radice delle cose, di guardare in profondità dentro me stesso: «E, quando hai scoperto chi sei, torna da me». Ma non mi ha lasciato solo, mi ha preso per mano.
C’è un’altra cosa che mi colpisce nell’amicizia con zia Rose: a lei non interessa di che tribù sei. In Uganda siamo tribalisti e tutti fanno le cose solo per un ritorno economico. I miei famigliari mi hanno rifiutato, mio padre era Acholi, mia madre Runyankole, e siccome non assomiglio agli Acholi a molti di loro non piaccio. A Rose tutto questo non interessa, non vuole nemmeno sapere di che tribù sei. Dice che la cultura è il cuore, non c’entra nulla l’appartenenza tribale.
Un giorno arrivo in classe, in ritardo, il professore sta già spiegando. Interrompe la lezione e mi dice: «Hey bello, ci mostri la sua ragazza, ce la faccia conoscere ora!». Tutti gli studenti mi guardano. Gli rispondo: «Non ho una ragazza qua». «Guarda queste bellissime ragazze, possibile che non ci sia una che può renderti felice?». «Se parliamo di felicità, penso che nessuna di queste ragazze potrà mai rendermi felice». «Allora ascoltiamolo, sentiamo cosa lo rende felice». «Solo Cristo mi può rendere felice!», rispondo. Lui mi dice: «Sei giovane, non hai ancora visto il mondo! Sei forse un prete? Parli come un prete!». «No, non ho bisogno di essere un prete, ma so chi sono, so qual è il significato della mia vita. Lei insegna all’università, ma sa chi è?». Lui mi guarda e mi dice che un giovincello come me non può chiedere certe cose. «È molto facile dire che sono giovane, ma lei sa veramente chi è? Lei è qui, sta facendo un sacco di soldi...». Poi vedo l'anello al dito: «Presumo che lei sia sposato, ma è felice? Ora che è sposato, è felice? Immagino che debba essere davvero felice, ha una moglie, un ottimo lavoro...». A quel punto, prosegue con la lezione dicendomi di andare nel suo ufficio più tardi.
Pensavo volesse cacciarmi dall’università. Invece mi fa accomodare e mi chiede quanti anni ho (22), e se sto con i miei genitori. Pensa che sia tutta una montatura e vuole sapere chi mi paga le tasse scolastiche. Gli spiego che ho perso entrambi i genitori. Mi chiede se sono felice e gli dico di sì, perché ho scoperto qualcosa di grande. La presenza di Cristo. Lui guarda in basso e mi chiede quando l'ho scoperto: capisce subito che questa scoperta ha a che fare con i miei amici, e mi chiede di nuovo delle tasse. Gli dico che me le paga la zia Rose. «Ma chi è?». «Qualcuno che mi ama e ama le persone». «Ma cosa significa amare le persone? Io amo i miei studenti!». Gli rispondo che deve capire il significato vero della parola amore e cosa significa essere veramente amato. E che in Rose vedo veramente Cristo. Mi dice: «Dennis, Cristo non è qua: è in Paradiso, non hai letto la Bibbia? Siede alla destra del Padre... Non farti fregare». Gli rispondo che nessuno mi sta fregando, io so chi sono e gli chiedo di nuovo se lui sa chi è: «Non mi riferisco al suo nome o ai suoi titoli, ma al suo più profondo io». Gli dico anche di guardare nel suo cuore, perché non siamo al mondo per errore o per caso. Siamo qua per uno scopo. Lui mi dice: «Giovanotto, questo andrà bene per te». «No, questo vale per tutti, tutti dobbiamo sapere chi siamo perché non ha nulla a che vedere coi soldi o col lavoro». Alla fine, mi lascia chiedendomi di fargli avere qualche libro del don Gius...
Abbiamo parlato per quasi un’ora e mi sono reso conto che non avevo detto nulla che venisse da una conoscenza mia: tutto quanto gli avevo detto veniva dal don Gius.
«Con le nostre mani, ma con la Sua forza», ho letto questa frase da qualche parte nella nostra biblioteca, ne ho parlato con Rose che mi da detto di «amare, amare le persone, imparare ad amarle. È questa la base della vita. Se non hai iniziato ad amare qualcuno, non hai ancora iniziato a vivere. Una volta che hai iniziato ad amare, hai iniziato a vivere, una vita vera. Inizia ad amare qualcuno e saprai cosa vuol dire vivere!».

Dennis Oryem