La presentazione del libro ad Ascoli Piceno.

La fede che serve per vivere

A Monticelli, nella scuola pubblica dedicata a Luigi Giussani, la presentazione del libro di Savorana. L'incontro vivo con un uomo che «ci dice ancora oggi qualcosa, perché non ha mai legato a sé, ma ci introduce a qualcosa d'altro»
Adolfo Leoni

Monticelli era un quartiere dormitorio di Ascoli Piceno: una new town.
Lo costruirono dopo il drammatico terremoto del 1976. Oggi è uno dei luoghi migliori della città. C’è vita, c’è comunità. Ci sono relazioni, si è costituita una comunità solidale. Grazie soprattutto ad un istituto scolastico comprensivo statale e alla filosofia educativa che lo sottende. Nel 2006 la scuola è stata intitolata a don Luigi Giussani. Lo ha voluto con determinazione Agnese Ivana Sandrin, dirigente scolastico e organizzatrice della presentazione del volume sulla vita di don Giussani.

È stato il valore dato all’educazione dal fondatore di Cl che ha aiutato la crescita di quest’area cittadina. Don Giussani era un “ascolano”. Con queste parole l’avvocato Guido Castelli, sindaco della città, ha iniziato il suo intervento giovedì 20 marzo, nell’Istituto scolastico che porta il nome del sacerdote di Desio. Castelli ha letto il libro e ha capito ancora meglio la proposta di Giussani vedendola all’opera in una scuola pubblica. Un paragone. Trecento persone hanno applaudito il primo cittadino il cui intervento è stato preceduto da un video che ha colto i momenti salienti della vita di Giussani e da un canto.
Anche il presidente della Provincia, Pietro Celani, è sulla stessa lunghezza d’onda. Valeva la pena intitolare la scuola al grande educatore, valeva la pena chiedere una deroga, vale la pena intervenire alla presentazione del libro che racconta la sua storia.

Monsignor Luigi Conti è arcivescovo metropolita di Fermo. Da qualche mese, dopo la morte del vescovo Silvano Montevecchi, è anche amministratore della Diocesi ascolana. Il libro lo ha letto a fondo, le pagine hanno post-it gialli a richiamare le parti che più l’hanno colpito. Conti parte dall’immagine del video già colta da Castelli: la pietra della tomba al Cimitero Monumentale di Milano. È granito. «Come granitica era la fede di don Giussani», scandisce l’arcivescovo. L’uomo, la sua opera, il libro che lo racconta ripetono la domanda più significativa e importante: «Come si fa a vivere?». Perché «la fede o serve per vivere, oppure non ha significato alcuno». La fede trasmessa in famiglia al piccolo “Gigetto” dal padre e dalla madre è un esempio da riprendere. È la base di tutto. È la recita del Rosario in casa, continua l’arcivescovo, è la narrazione e la testimonianza di una adesione a qualcosa di più grande.

«Qui sta il punto e la debolezza attuale», ha continuato: «S’è interrotta la narrazione della fede come utilità per la vita». L’Arcivescovo porta l’esempio del territorio della Marca: gli anni settanta sono stati quelli dell’esplosione del manifatturiero, le colline e le montagne si sono spopolate, la gente è scesa a valle, c’era tanto lavoro da fare. Ma anche troppo tempo è stato sottratto alla famiglia, che è andata in crisi e la testimonianza è venuta meno. «Il libro di Alberto Savorana spiega bene, invece, dove la solidità e la ragionevolezza del cristianesimo avevano origine: in casa, tra i genitori, guardando alle cose essenziali».

L’Arcivescovo racconta anche di sé, di quando era aiuto parroco a Centocelle, quando insegnava a giovani, alcuni dei quali sarebbero diventati terroristi. C’era un’ansia buona di cambiamento e di verità. «Ma non si può cambiare la struttura ricorrendo al terrorismo, o pensando di trasformare le strutture: non si cambia nulla se non cambia il cuore dell’uomo». E questo Giussani lo ha detto e ripetuto sempre e nel libro emerge con potenza.

Monsignor Conti ripete una domanda chiave di T.S. Eliot, che Giussani molto ha amato: «È l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?». L’Arcivescovo conclude con l’urgenza di ricreare un incontro tra Chiesa e umanità.
«Vedo giovani spersi, isolati, appiattiti, dimentichi del passato, senza memoria, vedo una tradizione calpestata, una cultura totalitaria incalzante». Sono queste le prime parole del professor Antonio D’Isidoro, docente all’Università di Macerata, letterato. Ha divorato il libro di Savorana, ne ha colto i passaggi sull’educazione, sulla libertà, sul paragone, sulla critica: una ricetta per rendere gli uomini veramente liberi. Ne ha ricavato appunti su appunti: dal valore dell’autorevolezza al rapporto “amicale” e coinvolgente degli insegnanti e degli educatori in genere con i loro ragazzi.
Quelle vibrazioni che un grande poeta come Franco Loi percepiva in Giussani e che si propagavano in ognuno debbono esser oggi un esempio e un “rischio” per i docenti, a cui D’Isidoro lancia un appello: «Mettetevi in gioco», «provatevi», «date le ragioni e non i test ai ragazzi».

Un incontro che colpisce emerge da una vecchia lettera che Luigi Amicone, direttore del settimanale Tempi, ha proposto all’incontro ascolano. Una ragazza che nulla aveva a che fare con Giussani, lo incontra, e ne rimane affascinata perché sorpresa da una forza che non viene dal sacerdote, ma che, attraversandolo, lui esprime. «Dio sceglie un punto, per riprendere la strada, sceglie magari un beduino come Abramo», così, ieri come oggi è «l’imbattersi in un volto, che cambia la vita, e non un’analisi, è un’esperienza che colpisce».

Giorgia Coppari è insegnante e scrittrice. Lo dice chiaramente: è stato l’incontro con don Giussani a farmi «prendere sul serio la mia passione di scrivere, la mia voglia di insegnare. È stato seguire il suo metodo: andare al fondo delle cose, a cambiare la mia vita, a farmi rischiare e scommettere sulla libertà dei miei figli e dei miei allievi». Un insegnamento valido per sempre.
«Giussani dice ancora qualcosa a ognuno di noi. E questo perché non ha mai legato a sé, ma ha introdotto e introduce a qualcosa d’altro. Ha giocato tutto sul cuore dell’uomo, ha imparato tutto dall’esperienza, ha ridestato il cuore, si è fatto compagno». Sono le parole dell’autore del libro, Alberto Savorana.
Il coro della scuola “Giussani” di Ascoli Piceno conclude un densissimo pomeriggio con la “prima” canzone del movimento di Cl, Povera voce. Una domanda incessante.