La presentazione in Sala Dante, a La Spezia.

«Una memoria viva, che agisce nel presente»

Dall'insegnante cattolico all'intellettuale di sinistra. Fino all'ingegnere che ha perso la moglie e scopre nel fondatore di Cl un compagno. Continuano le presentazioni di "Vita di don Giussani". Per scoprire «una paternità che riaccade, come stasera»
Bruno Pivetta

Un evento straordinario, una grazia: lo leggevi sul volto delle persone che hanno riempito la Sala Dante dove sabato 29 marzo, a La Spezia, c’è stata la presentazione del libro Vita di don Giussani, organizzata dal “Centro culturale don Alberto Zanini”. Tra gli invitati, persone in gran parte non del movimento. Che cosa ci ha mosso ad organizzare l’incontro? La coscienza di una occasione unica, non per commemorare un fatto del passato, ma, come ha sottolineato il vescovo monsignor Luigi Palletti, per «una memoria viva che agisce nel presente». Il silenzio in sala, alla fine dell’incontro, ha testimoniato che si parlava proprio di esperienza, di vita-vita.
Tra i presenti, diverse autorità locali tra cui il prefetto Giuseppe Forlani e l’assessore alla cultura Luca Basile, in rappresentanza del sindaco, in sala per ascoltare gli interventi e le domande rivolte ad Alberto Savorana, autore del libro.

L’ingegnere Massimo Gualco, un amico incontrato al lavoro, ha riletto nella biografia la storia del suo passato, dei suoi genitori, del Paese, e vi ha trovato un paragone utile al suo doloroso momento presente: la morte della moglie. Anche lei - come don Giussani - aveva “l’ossessione” che la vita non fosse inutile. Non si è mai lamentata, ha pregato e lavorato per gli altri. «Ora è sempre con noi, sentiamo la sua presenza e la sua guida. Si è compiuto un disegno. Perché Dio permette cose terribili? Giussani provvede a dare una risposta, io la mia», racconta: «Il libro mi ha dato chiavi di lettura e un percorso di speranza: Cristo si manifesta nelle circostanze, un miracolo più grande della guarigione. Un Mistero che, ora mi rendo conto, Donatella aveva ben compreso, al punto di affidarsi all’intercessione della Madonna e pregare perché noi potessimo affrontare quello che ci stava preparando, piuttosto che chiedere per sé la grazia di guarire». Così Giussani è diventato un compagno. Savorana ha rievocato la dolorosa malattia di quest'ultimo, un periodo in cui è emerso che l’utilità non coincide con un “fare” secondo i propri progetti, ma con lo stare nella realtà permessa dal Mistero. «So che ogni istante in questa cura di me può essere atto d’amore più di un mio esteriore ardore».

È stata la volta di Diego Del Prato, storico di origine milanese, ex assessore alla cultura, che ha voluto sottolineare di non essere cattolico, bensì un intellettuale di sinistra. Gli è capitato di incontrare diverse volte il movimento, non solo a Milano, anche in luoghi impensati come Londra, Madrid, Memphis, nel Tennessee. Fino a quando, appena arrivato a La Spezia, ha scoperto che la prima amica è ciellina. Questo, da laico, lo chiama destino. Non solo, ma si trova bene negli incontri con queste persone con cui, per ragioni di appartenenza ideologica, dovrebbe scontrarsi. «Forse perché il dialogo, a differenza di quanto capita oggi, è autentico tra persone che hanno veramente a cuore l’uomo». Di Giussani l’ha affascinato l’accettazione continua della sfida della realtà: anche nei momenti di attacco più duro all’esperienza cristiana, il movimento non si è tirato indietro, non ha rinunciato alla sua identità. «Ma la sfida di oggi, il relativismo, non è più insidiosa di quelle ideologiche, terribili, del passato?». «C’è qualcosa peggiore del relativismo», ha risposto Savorana: «Il nichilismo, che Giussani aveva colto da tempo: la riduzione del desiderio, la negazione della realtà. È la sfida più radicale all’incarnazione».

Il senatore Egidio Banti ha rievocato la sua esperienza di insegnante cattolico con il problema di comunicare sé attraverso la letteratura. Tanti autori, come Leopardi, non sono inquadrabili nei propri schemi; non sa come fare, è inquieto. Leggendo il testo di Giussani su Leopardi ha capito che questa inquietudine non va censurata, anzi va comunicata, perché costituisce il cuore di ogni uomo. «Non si può togliere Leopardi dalla vita di Giussani», ha detto Savorana, ne è un fattore decisivo: compagno durante la crisi adolescenziale, perché sentito come l’unico all’altezza delle domande umane, scoperto poi profeta di Cristo. Il livello delle esigenze del cuore non sarà più abbandonato da Giussani e lo renderà capace di incontrare chiunque.
Nel suo intervento il Vescovo ha descritto Giussani come un uomo che ha segnato la storia, testimoniando la fede, dialogando con gli uomini senza perdere la sua identità, testimone di un’antropologia autentica, premuto dall’ansia di educare.

«Scrivere il libro è stata l’occasione per rivivere l’esperienza di Giussani e lasciarsi prendere da lui nell’affrontare le circostanze della vita», ha concluso Savorana: «Testimone di Cristo, ha introdotto migliaia di persone, ad una ad una, in un’esperienza di umanità migliore. Non ha istruito, ma offerto un metodo di verifica della fede attraverso l’esperienza. Nel dialogo don Giussani ha sempre rifiutato lo scontro di opinioni e preteso la comunicazione dell’esperienza. Al termine del suo intervento, l’ingegnere Roberto Sgherri ha chiesto «attraverso quale processo vengono individuate e sostenute le persone che possono portare a compimento le opere insegnate o intraprese da don Giussani». Savorana ha risposto che Giussani ha valorizzato tutto e imparato da tutti, tanto che non sceglieva persone per creare una leadership, ma quando vedeva in loro un’intensità di vita le seguiva; scommetteva tutto sulla loro libertà. Così, senza averlo programmato, ha visto succedere un popolo. Padre di molti, comunica ancora: in mille modi la sua paternità riaccade, al di là di qualsiasi immaginazione. È riaccaduta anche questa sera.