L'incontro al Centro Schuster.

«E noi ci rimettiamo al lavoro»

Partendo dal documento di CL sulle elezioni europee, Marcello e alcuni amici hanno affrontato il tema lavorativo. Da un'infermiera a un operaio metalmeccanico, passando per un imprenditore. Esperienze che rispondono a una domanda: da dove si riparte?
Davide Ori

«È possibile un nuovo inizio?». Marcello e i suoi amici non sono rimasti indifferenti al documento di CL sulle elezioni europee. Così hanno organizzato un momento di incontro su qualcosa che li tocca quotidianamente: “Ricominciare, da dove?... Al lavoro!”.
«Ci interessa affrontare il tema del lavoro a partire dalla nostra fede e riguardare insieme cosa è l’essenziale su cui può poggiare la nostra vita, quando tutto, anche un impiego, sembra sfuggire di mano». E al Centro Schuster di Milano, giovedì primo maggio, erano oltre un centinaio i presenti, tra gli amici della Scuola di comunità tenuta da Claudio Bottini e altri invitati per l’occasione.

«Come cercare il lavoro? Quali sono i problemi oggi? E qual è la risorsa che ha ciascuno di noi per venirne fuori?». Sono alcune delle domande, oltre a quella del titolo, che Marcello pone agli ospiti invitati per raccontare la loro esperienza.

Beniamino, ventitreenne operaio metalmeccanico in Brianza, prova a rispondere, aprendo nuove domande, nate dal suo quotidiano. Da un paio d’anni lavora in una piccola officina, dopo un tentativo di studi universitari. «Allora non avevo grandi certezze sul mio futuro, sapevo solo che avevo voglia di fare». Poco tempo dopo trova un posto in un’officina meccanica. Impara in fretta a destreggiarsi con le macchine, e gli riesce piuttosto bene. «Il mio capo da subito ha iniziato a dire che ero bravo. Ma questo non mi bastava. Mi arrabbiavo perché il mio lavoro non poteva finire tutto lì, non poteva ridursi alla mia capacità, pur positiva», racconta Beniamino. Quel “dispiacere” gli apre nuove domande su tutto quello che fa. Da qui la sfida per lui. «La mia rabbia, in realtà, è una domanda forte: perché sono in quel posto? Qual è il valore del mio fare? E questo è quello che voglio cercare in tutto quello che faccio». Così, il lavoro torna ad appassionarlo, perché «è la ricerca di ciò che mi tiene in piedi, non una proiezione, ma una cosa reale su cui poggio, un luogo in cui trovare una risposta a ciò che mi preme di più».

Anche Monica, trentenne, infermiera da quattro anni, parla del suo lavoro. E racconta di un paziente, Antonio, ottant’anni, ricoverato per uno scompenso cardiaco, che soffre di una depressione che lo rende sempre triste e arrabbiato. «Appena è arrivato mi sono accorta che era sporco e con molta discrezione gli ho proposto di fare una doccia, e non, invece, di lavarlo a pezzi come spesso, per motivi di tempo, si fa», dice Monica. Lui, mugugnando, accetta. Antonio, in silenzio mentre viene lavato, alla fine si scioglie in un «grazie» e le sorride. «Per me è stata una cosa semplice, ma solo dopo ho capito cosa era accaduto». Nel frattempo, infatti, arriva la moglie che vedendo il marito con la faccia contenta, come da tempo non accadeva, chiede a Monica: «Ma cosa è successo?». «Era felice perché era stato trattato da uomo fino in fondo, e anche io lo ero: gli ero stata davanti con serietà», racconta l’infermiera alla platea seduta sul prato. «In quel momento, quando l’ho lavato, mi sono accorta che lui era sacro, era prezioso, e andava trattato come tale. E non sono io a farle sacre le cose: c’è Uno nelle giornate che le rende sacre. Per me, che ho incontrato il cristianesimo, è Gesù Cristo. Perché è Lui che me le dà».

«L’università? Non l’ho finita neanche io», dice Michele, imprenditore nel milanese, che racconta di quando ha iniziato a lavorare nell’azienda familiare. «Dopo che ho abbandonato gli studi, mi aspettavo una sorta di “investitura” davanti ai dipendenti, un ruolo importante, a prescindere», dice Michele. Ma non è stato così: il padre gli ha chiesto cosa gli sarebbe piaciuto fare all’interno dell’azienda. «Mi sono trovato di fronte a una scelta: o rimanere nella mia delusione, oppure mettermi in moto cercando di scoprire cosa era più adeguato per me». Aiutato da alcuni amici imprenditori, ha iniziato a capire di più chi era e cosa voleva. «Accettare la domanda inevitabile su cosa fossi lì a fare mi ha aperto un mondo». Michele aveva sempre a fianco gente che lo rimetteva di fronte alla sfida della crisi, ma non abbandonandolo a se stesso. «C’è un luogo che è veramente la salvezza per il mondo e che ha fatto di me una persona certa, non appena delle mie capacità. E da qui posso ripartire sempre», conclude Michele.

Terminato l'incontro, il clima è stato quello di una grande festa, con le testimonianze che hanno davvero mosso chi le ha sentite. Come racconta Mattia: «Mi ha colpito Monica, perché aveva negli occhi il rapporto che sostiene la sua vita: io penso di saperlo, ma lei ce l’aveva proprio addosso». O un altro: «Questi amici ci hanno mostrato che guardandosi in azione si capisce davvero cosa desideriamo». O ancora Riccardo: «Ecco, io ho bisogno di stare con gente così, con chi è vivo». E anche un ragazzo che vedeva per la prima volta quegli amici, si porta a casa qualcosa: «Vado via con una speranza: è possibile, sempre, ricominciare».