La presentazione di "Vita di don Giussani" <br>a Palermo.

Un'eredità da far brillare

La presentazione della biografia di Giussani è sbarcata nel capoluogo siciliano. Il futuro provinciale dei gesuiti e un magistrato antimafia hanno raccontato il loro incontro con il fondatore di CL. E lo stupore di un modo nuovo di essere liberi
Francesco Inguanti

Venerdì 30 maggio 2014. Sono da poco passate le 18 e l’auditorium del SS. Salvatore a Palermo è già gremito per la presentazione del libro di Alberto Savorana Vita di don Giussani. In sala c’è una strana attesa, come di qualcosa di importante che deve accadere.

All’ingresso, Cinzia attende suor Maria Elena, incontrata sabato mattina nell’istituto per bambini in cui lavora. Suor Maria ha conosciuto don Giussani. «L’ho anche ripreso, una volta!», le ha confessato. «Tanti anni fa», ha raccontato: «Era ospite nella nostra casa con i suoi ragazzi, ma questi si portavano i nostri ragazzi in giro, su per le stanze a chiacchierare. I nostri erano adolescenti un po’ vivaci, bisognosi di essere tenuti sempre sotto controllo, e allora gli ho detto: “Scusi, abbia pazienza, lei deve riprendere i suoi! Non possono mica portarsi i nostri così in giro per tutto l’istituto”».

Attorno a Maria Pia si è raccolto un capannello di gente che vuole conoscere che cosa le ha raccontato sua sorella. Entrambe conobbero il movimento e contribuirono a fondarlo a Palermo negli anni Sessanta. Sua sorella è divenuta poi suor Maria Eletta, nel monastero di clausura della Visitazione di Santa Maria di Palermo. «La lettura comunitaria della Vita di Don Giussani è da un po’ di tempo entrata nella quotidianità del monastero», racconta Maria Pia: «Si legge durante il pranzo e la cena in silenzio, in refettorio, suscitando nelle suore una compenetrazione con l’esperienza narrata, tanto che ognuna avverte il desiderio di soffermarsi di più a riflettere su quanto è stato letto; questo poi diventa oggetto di commento e di confronto nei momenti in cui la regola lo permette».

Daniela aspetta la sua collega conosciuta solo pochi mesi fa, con la quale ha condiviso la fatica dell’insegnamento allo Zen, quartiere dal profondo degrado urbano. Nello scetticismo generale hanno fatto una bella esperienza, tanto da far appassionare i ragazzi allo studio delle lingue straniere, proprio loro che sanno esprimersi solo in dialetto. Quando, alcuni giorni fa, le ha portato l’invito per la presentazione del libro, ha avuto in risposta un lungo silenzio che si è concluso così: «Me lo dovevo aspettare! Solo i figli di don Giussani possono fare quello che sei stata capace di fare tu».

A confrontarsi con la vicenda umana e cristiana di don Giussani sono stati padre Gianfranco Matarazzo, direttore dell'Istituto “Pedro Arrupe” di Palermo e, da luglio prossimo, nuovo provinciale dei gesuiti italiani, e Giovanbattista Tona, magistrato del distretto giudiziario di Caltanissetta.

«Per tanti di noi», ha detto Salvatore Taormina, responsabile diocesano di CL «l’attrattiva nei riguardi della personalità di don Giussani è posta all’origine di un legame con quella storia che il suo carisma ha generato nella Chiesa. Altri sono qui in virtù di un’amicizia più recente o magari anche solo per avere aderito all’invito di un conoscente. Ciò che conta è, però, che a mettersi in moto è la dinamica elementare della libertà: un volto e una voce che ci hanno raggiunti e a cui abbiamo dato credito».

Nel salutare i presenti, il cardinale Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo, ha voluto, innanzitutto, ringraziare Alberto Savorana sottolineando come attraverso la ricostruzione dei dati biografici sia stata offerta la possibilità «di scoprire la ricchezza di un volto presente, anche se in una dimensione diversa dal passato. Non, dunque, una fotografia, ma una dinamica dello Spirito, operante in ciò che lui è stato ed in ciò che attraverso di lui è stato generato». Romeo ha raccontato la sua partecipazione ai funerali di Giussani. «Ero lì nel Duomo, nella piazza ed ho potuto vedere questa folla immensa che, se da una parte aveva il dolore di chi non può guardare più il suo volto, dall’altro vive la stessa tensione degli apostoli il giorno dell’Ascensione: tristi per la Sua partenza, ma certi di non essere lasciati soli. Si sapeva che il seme lasciato da don Giussani non finiva quel giorno. Se si può dire, quel giorno fu, dal punto di vista umano, quasi un’apoteosi, per i tanti laici, sacerdoti, vescovi venuti da tutto il mondo. Ci rimane una grande eredità non da nascondere, ma da far brillare».

Padre Gianfranco Matarazzo ha esordito con una affermazione chiara e diretta: «Il cristianesimo non costituisce un sistema culturale e non è un corpus dottrinale con indicazioni sulla natura e l’essenza di Dio. Ecco come si presenta, in sintesi, l’itinerario di don Luigi Giussani: la riproposizione in forme nuove del cristianesimo come esperienza di incontro personale con il Signore, testimoniandone la pervasività in ogni ambito della vita, incluso l’impegno sociopolitico».
Matarazzo si è soffermato su quelli che ha definito «alcuni tratti dell’itinerario di Giussani che mi risuonano dentro come esperienze di dono ed esperienze di impegno. Un dato di partenza importante è l’autenticità di fede vissuta in famiglia. Giussani la rilegge in termini di trasmissione della fede attraverso le generazioni a partire dall'esperienza vissuta dagli apostoli. Ecco l’alveo cristiano».
Un altro tratto, ha aggiunto, è «la formazione portata avanti seriamente. Lo potremmo chiamare l’alveo diocesano: il percorso formativo, gli studi, i docenti, le suggestioni vissute dal giovane seminarista; tutto questo renderà Giussani una persona colta. Proprio in questo contesto si accorge della grave ignoranza della fede, di cui abbiamo detto. Eppure, quest’alveo cattolico contraddittorio è capace di conservare da qualche parte del campo ecclesiale un tesoro nascosto e Giussani lo scopre: è il tesoro dell’incontro personale con il Signore. Giussani realizza tutto questo in un momento in cui non tutte le condizioni sono ottimali. Questo insieme di fattori razionali si trasforma in profezia». Padre Matarazzo ha riservato un’attenzione particolare alle pagine che ricordano la figura della mamma di don Giussani. Ha detto di essere rimasto colpito soprattutto dall’episodio in cui la signora, davanti al figlio bambino, affermò: «Com’è bello il mondo e com’è grande Dio». Ne ha evidenziato l’importanza che ha avuto nel corso dell’educazione del giovane Luigi: «Giussani si è accorto che la mamma accanto a lui era segno di Dio. E lo era per la sua fede. La trasmissione apostolica della fede lungo il susseguirsi di generazioni amiche di Gesù ha incluso e si è servita di un’operaia tessile e di una madre di famiglia».

Giovanbattista Tona ha esordito definendosi un «laico credente, esterno al movimento di Comunione e Liberazione e con un’esperienza ecclesiale diversa per quanto non distante; un laico, che opera e vive in Sicilia, che nasce e che cresce siciliano».
Ha poi spiegato che «mi sono fatto interpellare dagli episodi della vita e dalle parole di don Giussani e tra i tanti fatti riportati nel libro ne ha scelto uno che ne ha contraddistinto l’infanzia: l’ascolto del Preludio n. 15 di Chopin, meglio conosciuto come La goccia. «È il brano che al piccolo Giussani fa capire il senso della vita di un uomo. La vita, quindi, è una nota sola dall’inizio alla fine, che non sta in primo piano e che può sfuggire all’ascolto se ci lascia suggestionare dalla melodia che la avvolge e la sovrasta».
Particolare commozione ha suscitato il riferimento al compianto arcivescovo di Monreale, monsignor Cataldo Naro, suo carissimo amico, riferendo del suo impegno nel definire l’orizzonte nel quale ci definiamo cristiani. «Cataldo Naro ce lo ha spiegato quando ha ricostruito in una visione non solo storica, ma anche pastorale e teologica, i momenti in cui la Chiesa siciliana, come la società, non si accorgeva del carattere peccaminoso della mafia e i momenti in cui invece seppe cacciarla dal tempio e dalle strade. La differenza stava nel fatto, a suo dire, che, quando lo sguardo dei cristiani non era fisso sul Volto di Cristo, il carattere diabolico della mafia non era percepibile ed essa veniva trattata come una variabile storica, indifferente rispetto alla ricerca dell’essenziale. E oggi che essa è assai più riconoscibile, eppure frattanto si sta nuovamente trasformando e variamente articolandosi, ora che, se si vuole, vi sono anche le condizioni per fare giustizia, sovviene un altro monito di Giussani: “Cristo, come la Chiesa, non è venuto a risolvere i problemi della giustizia, ma a porre nel cuore dell’uomo quella condizione senza la quale la giustizia di questo mondo potrebbe avere la stessa radice dell’ingiustizia”. Tutti noi quotidianamente agiamo e giudichiamo, ma lo facciamo parametrandolo alle regole, quelle del giusto e dell'ingiusto, diffidando che la soluzione giusta possa venire dalla coscienza. Ci siamo convinti che al di là del testo di legge non ci sia altro che l'arbitrio e l'abuso di potere. Non crediamo più che esista una verità morale da scoprire. Questo deficit culturale viene nascosto oggi dalla continua ricerca di vincoli procedurali, codici etici, protocolli e modelli organizzativi, ma poi inevitabilmente la complessità dei casi e l'imprevedibilità delle situazioni consegna al singolo la responsabilità della soluzione più adatta ad ogni singola vicenda. A questo punto tutti tornano a lamentarsi dell'arbitrio».

Savorana ha ripercorso i passi più significativi degli interventi di padre Matarazzo e del giudice Tona, per metterli in rapporto con i contenuti della biografia. È partito dalla citazione di monsignor Cataldo Naro fatta da Tona. E ha spiegato: «Sono rimasto sorpreso da questa citazione perché questa è la fotografia di don Giussani al contrario, perché voi pur non avendolo conosciuto avete colto il punto centrale del suo messaggio. Tutta la sua vita è la documentazione di questa affermazione. E questo ha origine quando, a 15 anni, la sua vita fu cambiata dall’incontro con la Grazia così imprevista eppure così corrispondente a quello che da adolescente cercava. Perché, per chi è in cerca, come diceva il Cardinale Romeo poco fa, consapevole o meno, Cristo si pone come la risposta adeguata».
Savorana ha subito dopo fatto riferimento a quanto detto da padre Matarazzo. «La grande parola che userà don Giussani è la parola “avvenimento”, qualcosa che accade, che sembra non avere né capo né coda, ma che succede e quando accade cambia la direzione della vita e della storia. Nello scrivere questo libro mi sono imbattuto in una miriade di episodi che testimoniano il rispetto che Giussani nutriva per ogni persona».

Prima di ringraziare, Savorana è tornato sul tema della giustizia affrontato da Tona: «Quando un uomo rinuncia all’utilizzo rischioso della propria libertà scarica su un sistema a qualunque livello la soluzione del problema umano. Ma per don Giussani nessun sistema può ottenere questo perché di mezzo c’è sempre la persona. Per questo scorgeva sotto qualunque persona, fosse anche la più corrotta, l’umano che aveva preso una forma magari disumana, sbagliata».

Ed ha concluso: «Quello di don Giussani è un cammino umano alla portata di tutti. Mi stupisce che due lettori, al tavolo qui con me, che non hanno conosciuto don Giussani lo abbiano incontrato in questa forma così viva e reale. Questa è per me la più grande sorpresa e il più bel regalo che mi porto da Palermo».

Sono passate le 20,30 e a Palermo quest’ora è sacra perché «prima di tutto viene la cena». Eppure la sala è ancora gremita in ogni ordine di posto. Un applauso conclude un avvenimento alla cui realizzazione tutti si sentono di avere contribuito. Ciascuno tenta di salutare tutti quelli che è riuscito ad invitare e sono venuti. La frase che ricorre sulle bocche di tutti è: questo è opera di don Giussani!