Il XXXVI pellegrinaggio Macerata-Loreto.

Lungo la strada che porta a casa

Oltre 100mila persone hanno partecipato alla XXXVI edizione del pellegrinaggio tra le colline marchigiane. Ventisette chilometri di cammino, tra testimonianze, canti e preghiere. Partiti con il saluto del Papa per essere accolti, al mattino, dalla Madonna
Enrico Castelli

«Anna di Vicenza, i nostri amici Carla e Mario che hanno perso il lavoro, Andrea e Maria che festeggiano il loro anniversario di nozze, per Veronica malata di Sla, per gli operai dell’azienda agricola che ha chiuso e hanno perso il posto, per i carcerati, per gli amici siriani che sono sono stati costretti ad abbandonare il loro Paese e i cui genitori sono ora stati arrestati perché cristiani…». Le intenzioni vengono lette con cura, una ad una dalla voce che guida il pellegrinaggio e chiede a tutti di pregare, affidandole alla Madonna. Innumerevoli, vengono ricordate durante i Rosari che per tutta la notte accompagnano i pellegrini. Per il 36° anno consecutivo il silenzio non riesce ad avvolgere la notte della campagna marchigiana tra Macerata e Loreto. Quando il serpentone dei 100mila partecipanti inizia a snodarsi lungo le strade attraversando i paesi, la dimensione di popolo colpisce. Quando, a metà percorso, ai pellegrini viene offerta la fiaccola, l’impatto visivo della lingua di fuoco che taglia il buio della notte lascia senza parole.

Per molti il pellegrinaggio a piedi da Macerata e Loreto inizia di buon mattino quando i pullman lasciano le città per raggiungere Macerata. L’appuntamento è fissato alle 19.30 di sabato, allo stadio di Macerata che lentamente inizia a riempirsi a partire da metà pomeriggio. In arrivo si contano oltre trecento pullman a cui vanno aggiunti i mezzi privati e treni. Alle 19 lo stadio è al completo. Si attende l’inizio della messa con canti intercalati da alcuni avvisi tecnici. È un popolo che si prepara a mettersi in cammino. Molti i giovani che da poco hanno finito la scuola. Nel 1978 il pellegrinaggio fu proposto da don Giancarlo Vecerrica, allora giovane sacerdote, come gesto di ringraziamento alla Madonna a conclusione dell’anno scolastico. Don Luigi Giussani incoraggiò l’iniziativa e alla prima edizione parteciparono più di trecento persone. Un’idea non nuova che, anzi, voleva rinvigorire la grande consuetudine dei pellegrinaggi mariani al Santuario di Loreto dove la tradizione vuole che sia stata trasportata dagli angeli la casa di Nazaret dell’Annunciazione a Maria. Un invito, quello rivolto ai giovani allora e rinnovato di anno in anno, molto semplice e concreto: camminare insieme verso una meta seguendo qualcun Altro. E questo lo si capisce subito fin dai primi passi.

Alle 19.30, quando il gesto ha inizio ufficialmente, in pochi minuti su tutto lo stadio scende il silenzio. La serata è calda e bellissima. Il sole è da poco tramontato e lascia spazio ad un cielo che, avvicinandosi l’imbrunire, pian piano cambia colore. La recita dell’Angelus ripropone a tutti il momento in cui il fatto cristiano è entrato nella storia. Subito dopo,l’annuncio che, per il secondo anno consecutivo, il Papa si sarebbe messo in comunicazione telefonicamente con lo stadio. Lo aveva preannunciato lo stesso Francesco qualche giorno prima benedicendo la fiaccola del pellegrinaggio che da qualche anno viene portata in San Pietro il mercoledì precedente. Quando il telefono squilla l’entusiasmo si impadronisce di tutti in particolare di monsignor Vecerrica, oggi vescovo di Fabriano-Matelica. «Posso dire una parola?», chiede ad un certo punto il Santo Padre che esordisce così: «Sono davvero felice che il vostro pellegrinaggio quest’anno si svolga proprio nella notte che precede la festa dello Spirito Santo, la Pentecoste e l’incontro di preghiera che si terrà domani in Vaticano, per invocare il dono della pace in Terra Santa, nel Medio Oriente e in tutto il mondo. Vi chiedo per favore: unitevi a noi e chiedete a Dio, per l’intercessione della Madonna di Loreto, di far risuonare nuovamente in quella terra il cantico degli Angeli: Gloria a Dio nel cielo e pace agli uomini!». E ha aggiunto: «Non abbiate paura di sognare un mondo più giusto, di domandare, di dubitare e di approfondire. Voi sapete che la fede non è un’eredità che riceviamo dagli altri, la fede non è un prodotto che si compri, ma è una risposta d’amore che diamo liberamente e costruiamo quotidianamente con pazienza, tra successi e fallimenti. Non temete di lanciarvi nelle braccia di Dio; Dio non vi chiederà nulla se non per benedirlo, moltiplicarlo, ridarvelo cento volte tanto (…). La vita non è grigia, la vita è per scommetterla per grandi ideali, per grandi cose (…). Sappiate che la negatività è contagiosa, ma anche la positività è contagiosa. La disperazione è contagiosa, ma anche la gioia è contagiosa. Non seguite persone negative, ma continuate ad irradiare intorno a voi luce e speranza. E sapete: la speranza non delude, non delude mai!».

Parole che diventano compagnia durante il pellegrinaggio che quest’anno aveva per titolo una domanda: «Di che cosa abbiamo bisogno per vivere?». Una domanda che tocca il profondo del cuore di ogni uomo che, oggi, nel Terzo millennio, pur con tutti i mezzi che ha a disposizione, fatica a trovare risposte adeguate. Lo ribadisce nell’omelia della messa il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano: «Cosa ci serve per vivere? La verità è che il nostro cuore, da se stesso, non sa dare risposta a questa domanda. Nel nostro cuore c’è impressa una domanda, ma la risposta non è dentro di noi. “Nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare”, scrive san Paolo (Rm 8, 26). Per fortuna, aggiunge, abbiamo un alleato e un difensore: lo Spirito Santo che “intercede con insistenza per noi”. (…) Perché il Signore attraverso lo Spirito può operare i miracoli. Come ai tempi narrati nel Vangelo, anche nel mondo di oggi sono i miracoli che possono commuovere il nostro cuore e illuminare il nostro sguardo. Occorre invocare la Madonna e i santi, per questo». E l’invito pressante che Parolin ha fatto ai pellegrini è di pregare la Madonna per la pace in Terra Santa, tema centrale dell’incontro svoltosi ieri sera a Roma. Poi la raccomandazione finale: «Dopo l’esperienza del pellegrinaggio, imparate a seguire».

Durante le otto ore di cammino questo lo si può imparare nella concretezza. Si capisce che si può camminare sicuri anche di notte al buio, se si è dentro una compagnia appassionata al destino. Come nella vita, anche durante la notte le difficoltà non mancano: a tutti occorre una luce per illuminare il passo che può farsi incerto per un imprevisto o per la stanchezza che potrebbe avere anche il sopravvento se la voce che guida il gesto non ti rincuorasse con parole di incoraggiamento, con l’invito alla preghiera, al canto o all’ascolto di una testimonianza che ti apre il cuore. E ti accorgi che tu stesso puoi diventare durante questo cammino testimone a te stesso e agli altri: trovi la forza di proseguire, il dolore alle gambe o ai piedi non ti determinano, riesci a sorridere a quanti, fino a notte fonda, negli incroci o lungo le strade dei piccoli paesi che si attraversano si radunano per vedere i pellegrini. Alcuni aprono le loro case, offrono un sorso d’acqua, partecipano e seguono le preghiere e le invocazioni. E ti chiedi perché lo fanno dopo che hanno già visto questa scena per trentacinque volte, che cosa vedono in queste migliaia di persone che dedicano un weekend estivo per incontrare la Madonna di Loreto? Così, tu, con tutti i tuoi limiti, la tua distrazione, la tua stanchezza, diventi testimone a loro di qualcun Altro: si rinnova in loro la memoria di una fede ancora radicata nel cuore, oppure, in altri casi hai contribuito a provocare una domanda: «Chi e che cosa sta muovendo queste persone che arrivano fin qui da ogni parte d’Italia e anche dall’estero?». Torna la domanda-titolo del pellegrinaggio: «Di che cosa abbiamo bisogno per vivere?».

All’inizio del cammino a tutti è stato distribuito un cartoncino con il messaggio che don Julián Carrón ha inviato ai partecipanti. «Ecco di che cosa abbiamo bisogno per vivere. Che il Mistero si faccia compagno della nostra vita, come è accaduto a Zaccheo e alla Maddalena. Poveri come noi, fragili come tutti, alle prese con le urgenze del vivere, incapaci di ottenere ciò che desideravano, ma Dio ha avuto pietà di loro, non li ha abbandonati alla paura e alla solitudine” (…) Vi auguro di camminare sostenuti nella fatica dalla certezza che ci testimonia papa Francesco: “Ai suoi discepoli missionari Gesù dice: Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (v. 20). Da soli, senza Gesù, non possiamo fare nulla! Nell’opera apostolica non bastano le nostre forze, le nostre risorse, le nostre strutture, anche se sono necessarie. Senza la presenza del Signore e la forza del suo Spirito il nostro lavoro, pur ben organizzato, risulta inefficace. E così andiamo a dire alla gente chi è Gesù».

È quello che l’esperienza del pellegrinaggio ogni volta rende visibile. Certo, l’organizzazione è oggi diventata imponente. L’evento è curato fin nei minimi particolari: una rete di altoparlanti collegati via radio consente durante i 27 chilometri di essere guidati tutti insieme al gesto; tutti i principali incroci sono presidiati da autoambulanze per prevenire ogni incidente; l’assistenza arriva ad offrire, verso le 4 del mattino, una merendina ed un indimenticabile tè o caffè caldo, che diventano strategici per battere la stanchezza. Ma in fondo, guardando i volti di chi arriva a scorgere tra le prime luci dell’alba i contorni della Santa Casa di Loreto, si capisce che tutto ciò non basta o addirittura se ne potrebbe fare a meno. Si sa che manca ancora un’ora alla conclusione, ma il cammino, nella notte, è diventato più sicuro. Si canta con ancora più consapevolezza la canzone di Claudio Chieffo quando dice: «È bella la strada per chi cammina. È bella la strada per chi va. È bella la strada che porta a casa e dove ti aspettano già». È l’imbattersi poco dopo aver percorso l’ultimo tratto in discesa che porta al Santuario, nella statua della Madonna Nera di Loreto che attende l’arrivo dei pellegrini. Il gesto sarà concluso solo quando la statua sarà riportata nella Santa Casa, dopo che l’ultimo pellegrino sarà arrivato.