"Vita di don Giussani" a Genova: Alberto <br>Savorana e il cardinale Angelo Bagnasco.

«Colpiti, perché uomini»

Nel Palazzo Ducale del capoluogo ligure la presentazione di "Vita di don Giussani". Tra gli ospiti, il cardinale Angelo Bagnasco e Gianluigi Granero, presidente di Legacoop. Affascinati «dalla passione per l'umano del fondatore di CL»
Nicoletta Risso

Sei mesi di preparazione. Sei mesi in cui l’incontro per la presentazione della Vita di don Giussani di Alberto Savorana a Genova ha cambiato forma e contenuto, un imprevisto dopo l’altro. Senza tregua nel chiederci quale “essenziale” ci stavamo giocando: la nostra performance organizzativa o una continua verifica, una continua commozione per come Cristo ci sorprende accadendo nelle persone e nei fatti che incontriamo? Dopo aver regalato il libro a tantissimi in città, si inizia a raccogliere le impressioni. Il primo “tuffo al cuore” è il Presidente del tribunale dei minori, ex sindaco di Genova, che tira fuori suoi ricordi personali con persone del movimento. Colpiti, lo invitiamo a presentare il libro, risponde che non si sente in grado, però vuole conoscerci meglio. Comincia un tourbillon di ipotesi, di nomi. Decidiamo per una proposta a Claudio Burlando, presidente della Regione, Lorenzo Caselli, professore universitario, Gianluigi Granero, presidente Lega delle Cooperative. Tre relatori insieme a Savorana. Oltre ai saluti del nostro cardinale, Angelo Bagnasco. I tempi potrebbero sforare, decidiamo di provarci ugualmente. Caselli accetta con gioia, ci racconta di slancio, cosa avrebbe a cuore di dire: imperdibile, anche per la commozione del legame con Clara, sua sorella, Memor Domini in Perù, morta recentemente. Purtroppo lo stesso giorno presiede a Roma il convegno annuale dell’istituto scientifico a lui più caro. Quindi, niente, anzi no. Proponiamo una videointervista registrata. Ci sta, con calore, affetto, immediatezza. Organizziamo con Giancarlo Giojelli, giornalista e poi moderatore dell’incontro, il lavoro di domande, registrazione, montaggio.

Un mese prima dell’evento andiamo a incontrare il sindaco, Marco Doria. Dopo i saluti inizia a parlare: del fatto che è così difficile costruire, che in Consiglio Comunale quello che domina è il preconcetto e l’ideologia e questo impedisce il dialogo e l’affronto dei problemi. Gli proponiamo il volantino sull’Europa, “l’altro è un bene”, cosa c’è di più desiderabile? Dopo la discussione, l’invito a fare un saluto alla presentazione del libro. Accettato. I tempi a questo punto sforeranno per davvero.

Anche per la location non mancano le sorprese: dopo vane rincorse a farci concedere uno sconto per il Palazzo Ducale, rinunciamo e scegliamo un teatro bello, ma più abbordabile economicamente. Il giorno prima di firmare il contratto ci chiama la segreteria del Palazzo Ducale: avremo la sala gratis! Il presidente del Palazzo ducale, Luca Borzani, ci dice che «offrirvi uno spazio è atto dovuto per garantire la pluralità della circolazione delle idee in città». Infine, vigilia dell’incontro: il presidente della Regione ci chiama: non potrà esserci per un impegno elettorale imprevisto. Siamo a un bivio tra scetticismo o un credito totale alla sua persona, gli chiediamo di registrare un saluto. Recuperata l’attrezzatura video, andiamo da lui. Ci racconta che è rimasto colpito dal fatto che Berlinguer, di cui ricorre in quei giorni il trentennale della scomparsa, è nato nello stesso anno di Giussani, e che il primo seme del movimento sboccia quando proprio Giussani chiede chi sono quei ragazzi che si riuniscono: dei comunisti.

Ci siamo. Venerdì sera 6 giugno, nella sala più prestigiosa di Genova, gremita di gente, la presentazione. Il primo a intervenire è il cardinale. Bagnasco afferma con semplicità e chiarezza che questo libro è una grande dono non solo per la Chiesa, ma per tutti, tutti quelli che sono curiosi di confrontarsi non con dei discorsi, ma con un’esperienza di vita. Colpisce la sottolineatura che il Cardinale ha scelto di fare, rileggendo il momento storico del ’68: una fede che sembrava non poter dire più nulla di interessante all’uomo e del passato che doveva esser cancellato in nome di un futuro sognato, più che costruito. Attraverso gli scritti e la figura di don Giussani, emerge, anche storicamente, una posizione profondamente diversa. Continua l’Arcivescovo: «La fede riguarda tutto l’uomo e tutti gli uomini che liberamente la vogliono abbracciare, ma se abbracciata, la fede riguarda l’essere umano in tutte le sue dimensioni private e pubbliche, sociali e relazionali. In quel periodo c’era bisogno che fosse ricordata questa totalità del mistero di Cristo che riguardava la totalità del mistero dell’uomo». Infatti, prosegue Bagnasco, don Giussani coniugando intimamente fede, carità, missione e cultura, ricordava che la fede è incontro e quindi riguarda l’uomo nella profondità del suo cuore: «La fede è innanzitutto un incontro, non con un libro, non con una filosofia, ma con la persona di Dio fatto uomo, e se la fede dovesse prescindere da questo incontro con la persona viva di Cristo, tutto il resto cade, perché diventerebbe ideologia, filosofia, sapienza umana, tutto troppo poco».

Dopo di lui il Sindaco, Marco Doria, si sofferma sulla capacità di don Giussani di interloquire con il mondo culturale, anche laico e sulla sua decisa passione per la pace. Cita il rapporto diverso, ma ugualmente intenso e decisivo con Pasolini e Testori negli anni Settanta, il comune giudizio su un Potere, con la P maiuscola, che tende ad omologare le persone, riducendone la dignità del vivere a puro consumo e produzione. «Essere attenti a questo fenomeno è un richiamo centrale, nel rifiuto dell’omologazione c’è la coscienza del valore della persona». Aggiunge che è un valore il fatto che le persone siano diverse una dall’altra, poter raffrontarsi con gli altri e con le loro idee è un elemento essenziale nel nostro vivere civile e il ruolo fondamentale che ha il dialogo nella costruzione della convivenza sociale emerge con chiarezza dalle pagine del libro.

In video, giungono il saluto del presidente della Regione Burlando e poi l’intervento del professor Caselli che esordisce raccontando di aver conosciuto don Giussani attraverso la testimonianza di sua sorella e di molti suoi amici, soprattutto di aver compreso che l’origine dell’intelligente e generosa operosità di Clara, del modo in cui ha affrontato il dolore e la malattia, fosse tutta nella sequela di qualcosa di grande. «Non sono le teorie che ci aiutano a credere, ma la vita». Il professore si sofferma su alcuni aspetti della riflessione che don Giussani ha condotto riguardo al tema educativo. L’educazione come introduzione alla realtà totale, strada per far emergere alla coscienza del giovane ciò che costituisce il cuore di ognuno, quel fascio di evidenze ed esigenze originali, di giustizia, bellezza verità, con cui siamo proiettatati dentro il confronto con tutto ciò che esiste. L’educazione, dice il professore, è esperienza di vita, che cresce nella responsabilità e nella libertà, infatti, il maestro formula una proposta, poi si ritrae e accetta il rischio, il rischio di giocare tutto sulla libertà di chi ha davanti.

Ma succede qualcosa di sorprendente, quando, da “non credente”, Granero racconta come la sua persistente domanda «Perché sono qui e mi hanno proposto questa sfida?», lo abbia portato ad attraversare tutto il libro, e ad incontrare don Giussani, vedendolo in azione. A partire da qui rilegge la storia dei suoi incontri con alcuni amici del movimento e alcune realtà significative. La Cdo, per esempio, o il Banco Alimentare, o ancora il Meeting di Rimini, scoprendo che quella passione per la persona, la curiosità, il desiderio di condividere, che l’hanno colpito fin dai primi incontri con alcuni amici della casa “San Francesco” di Varigotti, hanno origine dalla passione per l’umano di don Giussani. In questo confronto leale, Granero ha approfondito le ragioni stesse del suo lavoro, fino riconoscere in una affermazione rivolta ai Memores riuniti a Riva del Garda, «la vita è ragionevole, cioè umana, se è consegnata per uno scopo di utilità per il mondo», la ragione profonda del proprio impegno quotidiano, del desiderio buono di costruzione di chiunque.

Diventa sempre più evidente che l’incontro non è una commemorazione, ma una vita presente. Come dice Savorana, siamo colpiti, perché uomini. Un vero tuffo al cuore per tutti, per chi dell’avvenimento era partecipe sul palco, per chi era in sala, per chi l’ha preparato. «È possibile stare dentro le circostanze con tutta la misura umana della drammaticità della vita alla luce della Scuola di comunità? Quel tuffo al cuore è sufficiente per vivere…». Questa la sfida. Come ha detto un parroco il giorno dopo, «contemplare la vita di un santo fa bene».