La presentazione della "Vita di don Giussani" a Lecce.

La novità? Nell'inversione di metodo

«Docente» per il Rettore universitario, «educatore» secondo il racconto dell'Arcivescovo della città, amico per chi l'ha conosciuto. Alla presentazione del libro di Savorana, cinque relatori alle prese con la biografia e l'esperienza di Giussani
Mariella Bruno

«Ogni volta che mi invitate, io mi domando per quale motivo mi invitiate». Inizia così, il 26 novembre scorso, l’intervento di Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera e direttore del Corriere del Mezzogiorno, alla presentazione della biografia di don Giussani, presso l’Hotel Hilton di Lecce. Alberto Savorana, autore del libro, gli risponderà poco dopo dicendo: «Ti invitano perché tu sei uno disponibile a mettere in gioco la tua esperienza, a raccontare di te».

Sì, perché mettere in campo la propria vita è l’unico segreto per tenere incollate alla sedia oltre cinquecento persone di ogni estrazione sociale, culturale e politica per quasi un'ora e mezzo: ci sono personalità delle istituzioni, tanti giovani, ma anche un anziano signore che ha avuto un tuffo al cuore vedendo la faccia di don Giussani sui manifesti appesi in città (e ha ritrovato il filo, poi perduto, di un incontro avvenuto a Milano nel 1963).

«Non siamo qui per celebrare una personalità del recente passato: vogliamo farci interrogare e colpire oggi da una vita che ha già interrogato e colpito tanti», afferma Marcello Tempesta, docente di Pedagogia generale e sociale e moderatore della serata. La presentazione è stata un susseguirsi di testimonianze e racconti di persone che si sono imbattute o si sono lasciate provocare oggi dal carisma di don Giussani. Incontri diretti e personali, come quello raccontato da monsignor Domenico D’Ambrosio, Arcivescovo di Lecce: «L’incontro con don Giussani nel 1967 non ha determinato la mia scelta vocazionale, poiché ero da poco diventato sacerdote. Mi ha però fatto approfondire le ragioni di quella scelta di vita, aggiungendo novità e franchezza all’esperienza di un giovane prete che aveva bisogno di far sua la passione educativa».

Oppure incontri avvenuti tramite la lettura della sua biografia, come per lo stesso Polito o per il Rettore dell’Università del Salento, Vincenzo Zara. Quest’ultimo, portando la sua esperienza di uomo di scienza, ha raccontato come l'approccio alla vita di don Giussani lo abbia affascinato: di fronte alla complessità del mondo e degli uomini, è stato impressionato da come il prete brianzolo non desse mai niente per scontato, chiedendosi sempre il perché di tutto e osservando le cose con uno sguardo perennemente nuovo. La novità di Giussani, secondo Zara, consisterebbe in una vera e propria inversione di metodo rispetto a ciò che si fa di solito: partire dall’esperienza della persona e dall’attenzione per le sue esigenze piuttosto che dall’ansia di risoluzione dei problemi. Ed è proprio la centralità dell’esperienza a persuadere il Rettore, docente di Biochimica, della bontà della strada indicata da Giussani: per lui, infatti, la lealtà con ciò che emerge dall’esperienza è fondamentale per la comprensione di un «mondo fatto di una bellezza che ci affascina, ma che non conosciamo fino in fondo». Parlando di sé ha affermato: «Quando si innesca questa dinamica, si genera un’empatia reale con i miei studenti, che mi permette di sintonizzarmi con loro. Ed è quella stessa empatia che don Giussani ha esercitato nei miei confronti tramite la lettura del libro, in cui lui era il docente ed io il discepolo».

Antonio Polito sceglie di paragonarsi con il Giussani educatore che emerge dalla lettura di un libro definito come «un atto di amore, ma scevro da ogni sentimentalismo, un lavoro rigoroso di grande valore storico». Il giornalista evidenzia come don Giussani lo abbia aiutato a comprendere che la crisi educativa che stiamo attraversando trovi la sua origine proprio nella crisi del principio di autorità, e come la dimensione messianica conferita alla politica e all’economia sia l’inevitabile conseguenza di questo cedimento. «Io da laico ho trovato vivificante questa lettura della realtà operata da don Giussani, perché senza un’autorità riconosciuta, punto di trasmissione della tradizione, è impossibile una vera educazione e un leale confronto sulla verità. E se non parliamo della verità, a che cosa dovrebbero appassionarsi i nostri giovani?».

La conclusione di Alberto Savorana ha invece il sapore di un nuovo inizio. Lui, che di don Giussani è stato uno stretto collaboratore, ha riscoperto il suo amico e maestro proprio nell’entusiasmante lavoro di ricostruzione della sua intensissima vita. Una esistenza trascorsa con il desiderio di capire quello che aveva intuito quel «bel giorno» in cui don Gaetano Corti lo introdusse al «Verbo fatto carne», percepito da lui come risposta a quella struggente domanda di significato di ogni uomo. «Il fatto di conoscere la risposta esaltava il suo desiderio di conoscenza: voleva, infatti, capire come quello che aveva incontrato c’entrasse con tutto!». Un incontro, a cui lui è andato dietro, è stato proprio all’origine di quel cambiamento della vita di don Giussani per cui «senza soluzione di continuità oggi siamo qui».

La serata termina, vengono dati gli avvisi conclusivi, ma non cala il sipario: «Sabato prossimo c’è la Colletta alimentare, siete tutti invitati a partecipare a questo gesto di solidarietà, nato da un altro incontro fatto da don Giussani». Non esiste esemplificazione migliore per capire come quella Chiesa «in uscita» di cui parla il Papa sia proprio il frutto generato da una novità che è entrata nella vita di un uomo.