Il poeta Bruno Cantarini.

Come il violino in un'orchestra

La morte di Bruno Cantarini, poeta e insegnante. La fede quotidiana, la famiglia e gli incontri con gli amici. Tutto riflesso nella poesia, che non può essere un «monologo solitario»
Nicola Campagnoli

La morte di Bruno Cantarini rappresenta una svolta nella vita culturale e letteraria della nostra città di Ancona. Una morte avvenuta nella grazia della fede. Non una fede miracolistica o eccezionale, ma semplice e quotidiana, che, invece di fuggire il dolore, lo sostiene e lo rende occasione di amore e cambiamento personale. La fede di una strada, proposta da don Giussani e da amici che favoriscono lo sguardo alla profondità della realtà.

Bruno, usando una metafora proprio di don Giussani, è stato un assolo di violino, ascoltato e stimato da tanti. Studenti, colleghi, uomini e donne di cultura. Un assolo, proprio perché era consapevole dell'orchestra che lo avrebbe ripreso e sostenuto in ogni istante. Bruno era capace di decentrarsi, guardare tutto e parlare con tutti, senza scandalizzarsi di nulla, proprio perché centrato in Cristo. Poeta e intellettuale cristiano, ha incontrato ed è stato amato da grandi e piccoli, credenti e non credenti, senza mai cedere di un passo dalla sua testimonianza di abbraccio vitale ed esistenziale con il Padre che fa tutte le cose.

L'amore a Dio, ai fratelli e alla realtà per Bruno erano la stessa cosa: per questo la sua è vera e grande cultura. Perché quel «Tu» che precede ogni suo scritto non è un presupposto o un'idea che schiaccia l'io dell'artista o degli altri, ma è amore presente, senza il quale il desiderio, la curiosità, la voglia, l'attenzione, la ricerca neppure esistono. «Senza di Te io non ci sono», direbbe Bruno con le parole di Guccini, uno dei suoi cantautori preferiti; «non sono quando non ci sei». Un impeto di vita, Bruno, l'ha comunicato fino alla fine, anche nella sofferenza più grave, e nella morte. Quando andavamo a trovarlo in ospedale, quello che ci rimaneva negli occhi era la vita, non la morte. Tornavamo con la dolcezza nel cuore, e non con un grido di rancore. Certi e non cinici.

Oggi, chi fa letteratura, chi fa poesia, per rimanere nel livello "alto" del termine, sembra dover comunicare solo contorni vaghi e sfumati, misteri e aloni d'invisibile armonia. Quella di Bruno è invece poesia che parla di posti, di volti, racconta storie e percorsi reali, senza aver il minimo complesso di inferiorità rispetto al "non detto". Fa il nome della moglie, dei figli, degli amici, degli studenti, del padre senza paura di uscire dai giusti canoni. Fa il nome di Dio: «Non si può iniziare il giorno/ senza chiedere il tutto che basta/ la misura non mia che squaderna il mondo/ la rete che pesca nel fondo del Mistero...». Nomina i luoghi e le situazioni. Come dire: la poesia non è il mio monologo solitario, la poesia è tutta in questo triste e gioioso rapporto con l'essere e con chi ne sta al fondo.

Bruno questo non l'ha mai detto con discorsi o teorie, ma con la vita. Lo sguardo che aveva sulla realtà e su se stesso parlava della bellezza di questo "tu". E questa bellezza tocca ognuno di noi quando entra in contatto con quello che lui ha lasciato. Con lui stesso, che ci sta ancora vicino, come mi scriveva poco tempo fa, «un compagno di viaggio, verso il nostro porto desiderato».