«Da lui ho imparato a vivere la mia tradizione»

Musulmano egiziano, ormai da anni amico del movimento. Non ha mai incontrato il fondatore di CL. Wael Farouq, docente di Lingua araba, ha visto il video del "Corriere della Sera". E spiega perché a Roma, il 7 marzo, ci sarà anche lui




(la trascrizione dell'intervista)

Che cosa ti ha colpito di più di questo video?
Con tutti i diversi luoghi, le diverse facce, le diverse età e le diverse occasioni in cui ha parlato don Giussani, ha fatto un unico discorso con lo stesso entusiasmo.

Chi è don Giussani per te, oggi?
Uno che ha parlato a me, anche se non l’ho mai incontrato.

E cosa puoi dire di aver imparato da lui o di stare imparando, adesso, da lui?
La centralità della persona, la responsabilità. La responsabilità di ognuno di noi, come lui ha parlato a ognuno di noi. È una responsabilità personale, di testimoniare il bene che viviamo e che incontriamo nella nostra vita.

Tu hai detto più volte che, incontrando il carisma di don Giussani, sei andato più a fondo nella tua esperienza e nella tua fede di musulmano, perché?
Non in senso morale, diciamo. Non nel senso della pratica. Ma del capire il significato, veramente. Io sono stato sempre colpito dal fatto che don Giussani ha cominciato negli anni Cinquanta. Negli anni Cinquanta in Italia non è mancato il cristianesimo. Le chiese erano piene di gente e anche a livello politico l’Italia era più orientata a una politica cristiana. Ma, in quel momento, perché un uomo così comincia questo cammino? È questa per me la risposta, la mia risposta: vivere una religiosità senza incontrare il significato, il vero significato, il significato personale, il migliore significato di questa religiosità, non è giusto. È questo che io ho imparato da don Giussani. È questo che voglio dire quando dico che sono diventato un migliore musulmano. Perché adesso sono in una ricerca di questo significato nella mia tradizione.

Il 7 marzo il movimento di Comunione e Liberazione va in udienza da papa Francesco. Ci sarai anche tu?
Sì. A parte che sono affascinato da papa Francesco, una figura molto amata anche nel mondo musulmano, perché non parla ai cristiani, ma parla anche per i cristiani. Nel dramma dell’Iraq, non ha mai detto “cristiani d’Iraq”, ha sempre ha parlato delle vittime, delle minoranze religiose. Così è anche lui a parlare a tutti, noi tutti dobbiamo rispondere. A parte questo, io sono stato accompagnato in un cammino con degli amici che guardano a questa figura come un modello da seguire, e anche io voglio accompagnare loro in questo cammino verso Roma.