Vengo a Roma per conoscere mio padre

Da Paesi lontani, si sono preparati a partire per l’udienza. Pieni di attesa, con l’aiuto degli amici e per pura gratitudine. A poche ore dall'appuntamento, ecco tre storie di chi sarà in Piazza San Pietro sabato (da "Tracce" di marzo)

LITUANIA. Julija e i 25 amici per essere «più me stessa»

Julija aveva tredici anni quando Rimgaile, sua sorella, le propose di andare in vacanza ad Alanta, nella campagna lituana, con lei e i suoi amici. «Dissi di sì solo perché quell’estate non avevo di meglio da fare». Poi a poco a poco tra una gita al lago e l’altra, tra un canto e l’altro, quei ragazzi un po’ più grandi di lei iniziarono ad avere uno strano fascino. I giessini la facevano sentire importante. «“Voglio stare con loro anche a casa”, pensai quando la vacanza stava per finire».

Poi arriva il momento delle scuole superiori. A Vilnius, la sua città, di Gs c’è solo lei. Ogni settimana si fa un’ora di macchina con Cristiana, una Memor, per fare Scuola di comunità con i giessini di Kaišiadorys, i più vicini. «Quel pomeriggio era un tempo molto caro per me, di “lavoro”perché con Cristiana si parlava della vita, della mia vita».
Oggi Julija è al quinto anno di università, studia Fisica, e lavora in laboratorio analizzando gli aerosoli, le particelle che si trovano nell’aria. Il 7 marzo sarà a Roma: «Il movimento mi ha mostrato la bellezza della Chiesa. Il Papa è il capo della Chiesa e, quando ha accettato di incontrarci, ha accettato di incontrare me!». Don Julián Carrón con la sua lettera ha invitato tutti a pregare per questo incontro, «e noi, nell’attesa, preghiamo. A fine gennaio abbiamo fatto gli esercizi del Clu. Eravamo una decina con don Andrea D’Auria. E durante una serata abbiamo visto un video degli incontri di don Giussani con Giovanni Paolo II, tra tutti l’udienza del 30 maggio 1998. Ho pensato che quella volta il Papa aveva invitato i movimenti, non solo per una giornata, ma per ricordare che siamo parte della Chiesa e che dobbiamo partecipare alla sua vita in modo cosciente e responsabile. Tutti i giorni».

Dalla Lituania all’udienza con Francesco verranno in venticinque, tra studenti universitari e adulti. «Qualcuno di noi ha invitato i genitori, i parenti. Vedranno più chiaramente cosa abbiamo incontrato». Cosa si aspetta Julija dal Papa? Cosa gli “chiede”? «Francesco non è un Papa comodo: quando leggo i suoi testi capisco che mi sta sfidando, ogni giorno. Ma non lo fa per rendere più difficile la mia vita: vuole farmi vedere come essere più me stessa. Cosa mi aspetto da lui? Che mi faccia vedere qualcosa che è vero per me. Quando il movimento prepara un gesto, la mia prima reazione è “non ho voglia”, ma ogni volta che invece dico sì, mi ritrovo molto commossa e tornando alla vita quotidiana voglio fare tutto di più... di più! Mi accorgo di essere sempre più innamorata della mia vita e voglio vedere cosa mi succede, cosa il Signore ha in mente per me. Per questo voglio andare a Roma e capire di nuovo cosa vuol dire essere del movimento». Non è la prima volta che Julija viene in Italia: «Ho lavorato tre anni al Meeting di Rimini. E partecipo alle Equipe del Clu. “Ma perché abito in Lituania?!”, mi sono detta spesso: “Il movimento in Italia è più grande, tante persone, tanti gesti...”. Ma ho capito che sono fortunata: così in pochi, “dobbiamo” essere molto vivi. È esattamente il metodo giusto per me».

Julija e sua sorella fanno parte di un coro: «Lo scorso anno abbiamo cantato al Meeting». A Roma Rimgaile canterà per papa Francesco. «Io no, non sono così brava!».
Paola Ronconi


UGANDA. Teddy: «Vado a incontrare Dio»

Mi chiamo Teddy Bongomin, vengo dalla zona Nord dell’Uganda. Ho quattro bambini, più altri quattro, alcuni parenti e altri no, di cui mi prendo cura. La mia vita è cambiata dopo l’incontro con Rose. E continua a cambiare da allora. I miei genitori sono morti nel 1992 quando ero ancora giovane. Ho smesso di andare a scuola, pensavo solo a trovare marito: quello sarebbe stato l’inizio della mia felicità, e me ne sarei andata dalla foresta. Ma la vita non cambiava, neppure da sposata. Non era ciò che immaginavo. In me mancava sempre qualcosa. La felicità. Finché non ho incontrato Rose. E la voglio ringraziare, davvero tanto. E voglio ringraziare don Giussani. Perché lei, il giorno dopo che ci siamo conosciute, mi ha invitato a Scuola di comunità. E dopo un po’ di tempo che insisteva, le ho chiesto cosa facessero lì. «Voglio venire a vedere», le ho detto. «Vieni!», mi ha risposto. Non mi aveva mai spiegato quanto sarebbe stato bello. Solo, tutte le volte: «Vieni!».

La prima volta non ho capito molto, la seconda abbiamo parlato di don Giussani. Era ancora vivo, allora. Un giorno ho trovato il coraggio di chiedere a Rose una cosa che avevo dentro. Era un periodo in cui mi sentivo come in un puzzle e riflettevo sulla mia vita, su quello che avevo. E in quel posto le persone condividevano esperienze. Volevo capire come don Giussani riuscisse a raccogliere tante informazioni che descrivevano le nostre vite. Insomma, sembrava che stesse parlando direttamente a me. E Rose mi risposto: «No. Quella di cui parla è la sua vita, è la sua esperienza». Eppure corrispondeva perfettamente con tutto ciò che avevo vissuto. Come poteva essere? Nel tempo, con il cammino della Scuola di comunità sono stata educata alla consapevolezza di me stessa, a rispondere alla domanda: «Chi sono io?».

È qui che è cominciato il confronto tra ciò che stavo vivendo e la vita di prima. Ora conosco me stessa, e per questo ora sono libera di vivere una vita felice, perché so che ho un valore. E qualunque cosa sia capitata o capiti, la guardo come un valore. Guardo ai doni che ho ricevuto, le amicizie, il dono di mio marito... È morto lo scorso luglio, e perfino mentre lo seppellivamo era tutto molto bello. Molte persone vogliono sapere perché sono così. Ma è solo grazie alla Scuola di comunità che ho questo sguardo.
Quando ci è stato detto dell’incontro con il Papa, ero eccitatissima, dentro di me dicevo: «Vado a incontrare un padre, vado a incontrare Dio». E Dio è l’unico che mi fa essere, e anche quello che mi fa continuare a vivere. Perché è quello che mi conosce meglio di qualsiasi altra persona. Mi fa alzare la mattina ed essere felice perché il più grande dono che ho ricevuto è la vita stessa. E Cristo vive in me. Anche nel dolore e nella tristezza. E mi accompagna giorno dopo giorno, con tutti quegli amici che vivono questa Presenza.

Così, oggi vado con grande gioia a trovare il Papa. E so che tornerò cambiata. Il mio cuore sarà risvegliato ancora di più da tutta quella bellezza che incontro nella vita. Ho deciso di andare a Roma anche se è costoso. Ma il denaro non è niente: le altre donne mi hanno fatto un prestito con la cassa comune, e domani chiederò altro denaro per pagare il visto. E poi devo andare all’ambasciata... Ma non provo nessuna ansia e non ho rimorsi, perché tutto questo riguarda me. Si tratta della mia vita. Voglio veramente ringraziare don Giussani, perché se lui non avesse portato questo attraverso Rose, io non so dove sarei potuta essere ora. E spendo questi soldi perché qualcuno mi ha mostrato la strada, uno che mi ha reso consapevole di chi sono. Non c’è qualcosa che valga di più di questo.
(testo raccolto da Paolo Perego)


BRASILE. Da Manaus, a costo di vendere l’auto...

«L’ho detto subito: io vado». Perché? «Mi è venuta in mente una frase, una sola: dov’è il tuo tesoro, là è il tuo cuore». E il cuore di Neide, 52 anni di Manaus, Brasile, è già lì, in quella piazza. Lo è da quando ha letto l’avviso dell’udienza. «Ho pensato che dovevo andarci, a costo di vendere la macchina per pagarmi il biglietto. Per me, CL è ciò che mi ha dato un volto e un nome».

È successo a 16 anni, quando Neide andava al liceo e frequentava una parrocchia dove sbarcarono due strani preti italiani, padre Massimo Cenci e padre Giuliano Frigeni: «Mi colpivano perché erano amici. E ci tenevano a noi. Altri preti e suore ci chiedevano di dare una mano, loro si interessavano a noi. A un certo punto ho chiesto: ma voi perché siete venuti dall’Italia? Loro mi hanno parlato del movimento. Un po’ alla volta mi sono detta: e io? Non posso fare parte di questa storia?».

C’è entrata, con tutta se stessa. Gli amici. Il lavoro («quindici anni da assistente sociale, ora seguo progetti di educazione alla salute»). La vita, segnata per sempre dal carisma di don Giussani: «Mi è capitato di incontrarlo. Ogni tanto veniva in Brasile. Quando parlava, lo faceva con una profondità di certezza e una passione che impressionavano. Appena potevo, lo cercavo». Successe anche in Italia, a una vacanza del Clu: «Una sera ha spiegato il Concerto per violino e orchestra, di Beethoven. Non l’ho mai dimenticato». Si commuove, a parlarne. «Amo la musica. Ma lì c’era di più. C’era l’io, il violino. E la comunità, l’orchestra. Quando il violino si stacca, diventa triste. Ma la comunità lo sta aspettando. Io facevo un paragone con la mia vita, e capivo che il Signore mi aspettava sempre. Mi aspetta, sempre. Fino ad ora ho sperimentato questo». Tanto da poter dire che «quando penso alla mia storia, la cosa più importante è stata conoscere Giussani: me l’ha fatta guardare con un significato. Mi sono sentita amata, anche se Dio mi ha tolto mia madre molto presto».

Ecco perché verrà a Roma, a novemila chilometri. Lei, e sette amici, compresa una bimba di 8 anni. «Saremo lì con migliaia di persone generate da don Giussani. È una gioia essere parte di questo popolo». Come la attendi? «L’altra sera abbiamo riletto la lettera di don Julián Carrón, per aiutarci. Non vogliamo che sia solo un momento di emozione». E cosa è venuto fuori? «Tanta gratitudine. Mi sono resa conto dell’importanza di questa decisione nella vita. È quello che dice Carrón: dobbiamo ascoltare le parole che il Papa dirà alla nostra vita perché cresca la maturità della fede. Ascoltare il Papa - e questo Papa, con la sua semplicità che arriva dritta al cuore - mi fa sperimentare una familiarità molto grande. La presenza di Pietro nella nostra storia di duemila anni è fondamentale. Ma devo dire che per me ora è fondamentale».

Anche gli amici attendono: Mara, Darlete... «Proviamo i canti, canteremo nel coro. Samya dice il Rosario tutti i giorni. Io ho sentito il bisogno di confessarmi e di affidarmi allo Spirito e alla Madonna, come ci ha detto lui. Mi ritrovo più decisa nelle cose che propone il movimento: la Scuola di comunità, anzitutto. Abbiamo visto La strada bella, il video sui 60 anni di CL, e quello di don Giussani sul Rischio educativo». Ma l’attesa, più che le cose, scandisce il tempo: «Mi alzo la mattina e chiedo al Signore di prendersi cura di questo gesto. Chiedo che fissi il mio sguardo su di Lui. Che tutto quello che dirà il Papa sia accolto dal mio cuore e io lo testimoni con la mia vita ovunque sia, qualsiasi cosa stia facendo, essendo me stessa. Sapendo chi sono». E chi sei? «Una amata dal Signore»
Davide Perillo