Caravaggio, <em>La Vocazione di san Matteo.</em>

E ha scelto proprio me, oggi

La scena della "Vocazione" come soggetto del Volantone. Cristo che entra da un angolo della tela, e Matteo che alza la testa, stranito: storia, dopo oltre 400 anni, di «come si diventa cristiani». Ecco come è nata l'opera di Caravaggio
Giuseppe Frangi

Il ciclo della Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi a Roma rappresentò un passaggio epocale per la storia della pittura. Per la prima volta, infatti, Caravaggio, che già godeva di un vasto collezionismo privato a Roma, viene chiamato ad una committenza pubblica, nel senso che le opere in una chiesa sarebbero state visibili da tutti.

Siamo nel 1599. È la vigilia del Giubileo e nella chiesa di San Luigi dei Francesi, proprio di fronte a Palazzo Madama, c’era una cappella che, per disposizione testamentaria del cardinale titolare, Mathieu Cointrel (poi italianizzato in Contarelli), avrebbe dovuto essere decorata con storie di san Matteo e che invece, per l’indecisione degli esecutori testamentari, da anni era rimasta spoglia. Ma con l’Anno Santo alle porte ora non si poteva più transigere. Fu il cardinale Del Monte, suo collezionista ed estimatore, a raccomandare il Caravaggio.

Così «per opera del suo Cardinale», il 23 luglio 1599 venne firmato il contratto, che conteneva anche, in termini molto precisi, il programma iconografico. La prima scena doveva rappresentare la Vocazione di Matteo; dovevano poi seguire un San Matteo con l’Angelo da mettere sull’altare (che Caravaggio dipinse in due versioni, una ancora in loco, un’altra invece andata perduta per le bombe alleate su Berlino nel 1945); infine la scena del martirio dell’apostolo.

Quanto alla Vocazione di Matteo, non c’è probabilmente un altro quadro che abbia saputo immaginare con maggiore verosimiglianza il «come si diventa cristiani». Il quadro è dominato compositivamente dal gesto di Cristo che entra da destra nella tela; la vera ripercussione avviene in quell’angolo buio, dove non si intercetta nessuna concitazione, nessun segno da “momento speciale” e ognuno continua a fare quel che stava facendo. Solo Matteo alza la testa, più stranito che stupito, come per chiedere se ha capito bene: cioè che quell’uomo, Gesù, sta chiamando proprio lui. Quindi con una mano indica se stesso, ma con l’altra non ha certo mollato la presa sulle monete che sta contando: una moneta, tra l’altro, la tiene ben visibile nel nastro del cappello. Come ha detto papa Francesco, ancora afferra i suoi soldi. Recentemente è stata avanzata anche l’ipotesi che Matteo sia in realtà il personaggio più giovane che continua a contare i soldi senza neppure alzare la testa. Ipotesi suggestiva, ma inverosimile, in quanto Caravaggio, ovviamente, è attento a garantire una coerenza narrativa e una leggibilità al ciclo, conferendo a Matteo sempre gli stessi connotati somatici, invecchiandolo semplicemente.

Quanto al valore di questo ciclo, nessuno meglio di Roberto Longhi ha saputo coglierlo. Ecco cosa il grande storico dell’arte scrisse nel catalogo della grande mostra milanese del 1951: «Si chiese, per esempio, il Caravaggio: che cosa possiamo sapere, oggi, di come avvenne la vocazione del santo? Di lui non sappiamo altro se non che era un doganiere. E perché alle dogane, dove si cambia moneta, è pacifico che s’intavoli il gioco, nulla vieta che, per più naturalezza, il Cristo, entrando oggi nella stanzaccia della dogana, chiami Matteo distogliendolo da una partita d’azzardo». I corsivi su “oggi” sono proprio di Roberto Longhi: Caravaggio è davvero il genio che porta tutto al tempo presente.