TriesteIncontra.

«Qui la Chiesa si realizza»

Dal 18 al 19 aprile, il capoluogo friulano ha ospitato la prima edizione della kermesse. Incontri, mostre, dialoghi con personaggi della cultura e della scienza, nati da una provocazione di papa Francesco: «A me che importa?»
Agostino Ricardi

Al termine della due giorni di TriesteIncontra, un’amica ha detto: «Ma come avete fatto a fare tutto questo?». La risposta è stata condivisa e chiara per chi si è impegnato a organizzare la cosa: «Non siamo stati noi a farlo. Ci è stato mostrato, ancora una volta, che cosa possa fare Cristo servendosi della nostra piccolezza». Una sintesi stringata, ma che va al cuore di quello che è accaduto nel capoluogo del Friuli-Venezia Giulia lo scorso weekend, alla prima edizione di un piccolo meeting fatto di dialoghi con personaggi della cultura e non, mostre e incontri con tanta gente comune.

Quello che è successo è stato il frutto di un cammino. I mesi di preparazione all’evento del 18 e 19 aprile sono stati occasione di incontro non solo con tante persone nuove, ma anche con i “soliti” amici che tante volte si danno per scontati: tutti hanno partecipato, ognuno con le proprie capacità. L’architetto per l’allestimento; gli esperti della tecnologia e dell’informatica alle prese con video, siti e social network; i più coraggiosi con le procedure burocratiche; chi preparando i canti della Messa; molti hanno partecipato con un contributo economico, altri anche solo con un suggerimento prezioso.

Partendo dall’omelia di papa Francesco a Redipuglia nello scorso settembre, dove il Pontefice identificava la sorgente di tutte le guerre nell’indifferenza verso il prossimo, TriesteIncontra ha riproposto la domanda «A me che importa?» come provocazione. A maggior ragione, in un periodo storico come quello in cui viviamo, tra i venti di guerra, la crisi, sia economica, con tutte le sofferenze che porta in molte famiglie, sia dei valori, che pensavamo orami acquisiti nella nostra società occidentale.

Un percorso, quello della kermesse triestina, fatto principalmente di sei incontri e due mostre. E tutto è stato sorprendente, fin dall’inizio. A partire dalla messa celebrata dal Vescovo, monsignor Giampaolo Crepaldi, che ha riempito tutti di commozione e gratitudine: «Sia lodato Gesù Cristo», ha esclamato entrando nel salone, con grande sorriso che è stato spiegato dalla sua omelia: «Quando mi avete parlato di TriesteIncontra, ho incoraggiato subito questa iniziativa per un motivo preciso: cioè che qui si realizzava uno degli auspici più caratterizzanti del pontificato di papa Francesco, ovvero l’invito alla Chiesa ad essere “in uscita”, ad incontrare tutti». E ancora: «Quello che portiamo non è un’idea, un sistema, una ideologia. Andiamo a portare e annunciare una persona: Gesù Cristo». Ha parlato anche di don Giussani, monsignor Crepaldi, spiegando che era uno innamorato del Signore: «Chi è innamorato del Signore fa miracoli, fa le rivoluzioni vere ed autentiche, fa cose mirabili e straordinarie. Che poi sono le cose mirabili e straordinarie che Dio compie nella nostra storia. Se c’è un’intuizione assolutamente peculiare nella storia di Comunione e Liberazione è proprio questa: di riuscire ad incontrare le persone nella verità e concretezza della loro esistenza, attraverso il dialogo vero, franco, aperto». E allora, ha concluso il Vescovo, «evviva TriesteIncontra! Perché quando la Chiesa va a incrociare il bisogno di Dio che alberga nel cuore delle persona, allora la Chiesa si realizza».

Partiti in quarta, quindi. Con il primo incontro a mostrare come sia possibile un vero dialogo tra italiani, croati, sloveni e serbi. Padre Rasko Radovic, della comunità serbo-ortodossa, ha approfondito quale sia l’origine e l’effetto del peccato: «La prima conseguenza della rottura del rapporto con Dio è la rottura del rapporto tra gli uomini». Una rottura tragica, e «la Chiesa dovrebbe esortare l’uomo d’oggi a convertirsi radicalmente e rafforzare la fede», ha detto l’ortodosso, aggiungendo che il male e il peccato non sono l’ultima parola sul mondo: Dio è presente là dove c’è l’amicizia. Dopo di lui, il contributo dello scrittore Alojz Rebula, le preziose testimonianze di Damir Murkovic, presidente della federazione delle Comunità croate in Italia, e di don Bogdan Vidmar, vice postulatore della causa di beatificazione di don Filip Tercelj. A chiudere, Wael Farouq, che ha offerto una descrizione appassionata dall’interno dell’islam del “Dio misericordioso”, affermando che possiamo definirci uomini solo nel rapporto con l’altro: «A me che importa? Non è solo un giudizio sul passato, ma è una sfida per il futuro».

Il secondo incontro ha toccato l’importante tema dell’educazione: di cosa hanno bisogno i ragazzi, oggi? «Guardare i bambini, quello è un libro istruttivo!»: ha lanciato questa provocazione don Antonio Villa che dal 1976, anno del terremoto del Friuli, spende la propria vita in una scuola di Tarcento. E poi Emilia Guarnieri, insegnante e presidente della Fondazione “Meeting per l’amicizia fra i popoli”, commentando l’immagine scelta per i volantini di TriesteIncontra, un bimbo intento a curiosare attraverso uno steccato, ha detto: «Ogni mattina ho ricominciato in ginocchio davanti al bisogno dei ragazzi; il mio cuore era in quella posizione, altrimenti non sarebbe stato più interessante per me andare a scuola. I ragazzi ultimamente chiedono di essere accompagnati a vedere cosa c’è “oltre”. La vita è una grande staccionata, un’apparenza oltre cui andare: dietro c’è qualcosa. Educare è questo accompagnare verso il senso di tutto, anche della staccionata stessa». Anche altri professori hanno testimoniato in modo differente come «occorre aspettare gli studenti e cercare di creare con loro una relazione. Andare a cercare il ragazzo ha una ricaduta positiva non solo sul piano umano, ma anche su quello didattico ed educativo; e poi questo atteggiamento è gratificante per me», ha detto un dirigente scolastico.

«Perché nessuno mi viene a chiedere conto di come spendo la mia vita?», si è chiesto Tommaso Ramella alla fine del liceo, per poi coinvolgersi nell’associazione “Libera contro le mafie”: «Io non sono credente, ma sento nella persona una scintilla di bellezza e profondità che le dà un senso e la rende preziosa», ha detto all’incontro intitolato “Sono forse io il custode di mio fratello?”. Tra gli altri convenuti, gli ha fatto eco suor Viviana Terragni delle Suore di Carità dell’Assunzione, affermando che «io posso custodire mio fratello solo perché prima sono custodita» e che «in molte situazioni noi non vediamo un risultato concreto: restano la povertà, la sofferenza, le difficoltà. Ma una cosa vedo e ne faccio esperienza: si vede che la vita, misteriosamente, continua ed ha dei punti di sostegno e di letizia». E commentando, anche lei, l’immagine di TriesteIncontra, ha aggiunto: «Ci sono dei presentimenti di bene per degli attimi di verità che si sono vissuti che reggono di fronte alla staccionata. Per il desiderio di quello che c’è oltre e di cui si è misteriosamente certi che c’è».

È seguito, poi, un appuntamento sulla scienza: “Quando la passione per la verità conta più della competizione”. «Finché in ambito scientifico c’è competizione, c’è speranza», ha affermato Giulio Fabbian, ricercatore astrofisico della Scuola Internazionale di Studi Superiori Avanzati: «Ma sempre stimando il collega, uniti nella passione per la verità». Un giudizio condiviso e approfondito dai professori Carlo Baccigalupi, cosmologo, e Giovanni Comelli, fisico. E proprio Comelli ha sottolineato che «in ambito scientifico c’è un’ultima lealtà verso l’obiettivo che è raggiungere, in un modo o nell’altro, un pezzettino di verità. Raggiungerlo certamente da protagonisti, leali con l’oggetto di studio, fino a chiedere consigli e confronti anche ad altri».

Commovente, invece, è stato il grido addolorato, ma pieno di certezza, di Gregoire Ahongbonon, uno che in Costa d’Avorio dà la sua vita per liberare i malati mentali dalle catene con cui, laggiù, di solito, vengono imprigionati. In loro ci vede Cristo sofferente, dice: «Sono solo un gommista, ma faccio quel che faccio per volontà di Dio. Dio ci interroga sempre». A dialogare con lui, coinvolto nello stesso struggimento per l’uomo privato dei suoi diritti, Roberto Mezzina, direttore del Dipartimento di salute mentale di Trieste.

Don Giussani, infine, è stato un altro protagonista, non solo nei pannelli della mostra “Dalla mia vita alla vostra” allestita per l’occasione, ma anche attraverso le parole di Roberto Fontolan, direttore del Centro internazionale di CL, e don Beniamino Bosello, parroco in città. Entrambi, ripercorrendo spezzoni dei video La strada bella e Don Luigi Giussani, pubblicato dal Corriere della Sera, oltre che testimoniando la loro vita cambiata da lui, hanno fatto emergere, ancora una volta, che l’unica vera questione della vita di ogni uomo è: «Cristo, sì o no?». Non c’è una domanda più importante.

Ma come detto, gli incontri non sono stati solo quelli organizzati. Tanti sono accaduti. Come quello con Maurizio, il sorvegliante dell’edificio dove si è svolto il tutto. E con cui è nata una grande amicizia: un uomo di cinquant’anni che, da bambino, amava fare esperimenti e che, anche se non ha potuto proseguire gli studi dopo la terza media, conserva ancora un vivo interesse per la fisica, sempre preso a cercare di capire come funzionino i fenomeni che osserva quotidianamente. E così, all’incontro sulla scienza, si è seduto anche lui in platea. Anche le due mostre presentate, la prima proposta dai ragazzi del gruppo Share With All People “Quando i valori prendono vita”, sul tema del rapporto tra cristiani e musulmani, e la seconda sulla vita di don Giussani, sono state occasione di confronto. «Ho sentito i ragazzi di SWAP: è incredibile quello che raccontano. Sono commossa»: ha detto una signora al termine del percorso tra i pannelli che raccontano l'esperienza di ragazzi appassionati della vita dei nostri giorni. Un’avventura, questa tra cristiani e islamici, che ha aiutato ad aprire lo sguardo sul mondo instillando il presentimento che la nostra vita è legata a quella degli altri, in modo molto più intenso e misterioso di quanto non potessimo immaginare.

E ancora, una signora ha trascinato un volontario di TriesteIncontra davanti ad un pannello della mostra su Giussani, in cui sono riportate alcune parole di papa Francesco: «Mantenete la freschezza del carisma. Rinnovando sempre il “primo amore”. Sempre sulla strada, sempre in movimento, sempre aperto alle sorprese di Dio». Lei, commossa, ha detto: «Io in questi giorni, qui con voi, ho sperimentato proprio questo».