Un gruppo in gita in montagna.

La Compagnia della cima

Alcuni amici del Piemonte, uniti dalla passione «per la montagna e per la vita». Prima l'idea di trovarsi in gruppo, poi la nascita di un sito. Tutto per il fascino di quello che il cammino alla vetta insegna, e che vale la pena insegnare
Francesco Graffagnino

La grande guida di Courmayeur e “ottomilista” himalayano Pino Cheney si arrabbiava quando sentiva dire che una cima era stata conquistata. «Non sono conquiste reali», replicava: «Non sei tu che vinci la montagna, è la montagna che conquista te». Ti conquista con il desiderio della cima e poi accogliendo la tua fatica nella sua bellezza.

Il rapporto con la montagna è sempre stato caro al movimento. Le vacanze estive delle comunità si svolgono nei luoghi più belli che le cime del nostro Paese regalano, dalle Dolomiti al Monte Bianco. Una passione, ma forse sarebbe più corretto dire: un’educazione, passata dalla concezione che aveva delle montagne don Giussani. Che significato ha salire in cima insieme? Molti di noi avranno in mente i “gitoni” che caratterizzano le vacanze del movimento, dalle scuole medie fino agli adulti: con qualsiasi tempo, sotto il sole o diluvi universali, gruppi numerosi, talvolta di centinaia di persone, salgono silenziosi lungo i sentieri. Poi, il pranzo insieme, la messa, i canti. Il silenzio. Al di là della difficoltà, sia su sentieri facili che su sottili fili di creste innevate, sempre la montagna è maestra: ci insegna a seguire il passo di chi ci precede, ad essere legati l’uno all’altro nel cammino, protesi alla cima.

Per questo motivo, da alcuni amici del Piemonte accomunati dalla passione per la montagna («e per la vita», ci tengono a sottolineare), è nata la Compagnia della cima. Hanno realizzato un sito molto ricco su cui pubblicano le proprie esperienze in montagna e, con una pagina ad hoc, danno tutte le indicazioni e gli itinerari (con tempi, livelli di difficoltà, suggerimenti) per organizzare le gite di gruppi numerosi.

«In montagna ho imparato di più il concetto di sequela», dice Roberto Gardino, professore di liceo e membro della Compagnia: «Quando parto con i miei compagni è chiaro lo scopo: arrivare in cima. Guardo chi mi precede in cordata, cerco di capire come ha fatto i passaggi in parete, ma sono io a salire, a scalare». È importante la cura ad ogni particolare delle gite: spesso manca il senso della fatica e si rischia di salire a “occhi bassi”, senza accorgersi di ciò che ci circonda. «È sempre meno scontato camminare in montagna, soprattutto per i più giovani. Chi organizza deve conoscere ogni caratteristica del percorso ed essere in grado di gestire gruppi numerose di persone».

Poi c’è la bellezza che si impone. Pensate al massiccio del Bianco, o al versante himalayano del Rosa visto da Macugnaga: unici, minacciosi quasi, ma allo stesso tempo magnifici. «Una volta arrivati in cima mi accorgo di Colui che ha fatto tutto: le montagne, gli amici vicini, me stesso», continua Roberto: «E sono pronto a ripartire sempre». Non c’è nulla da conquistare in una montagna. Solo qualcosa da seguire, un amico più esperto o la bellezza che ci riempie e che porta scritto in sé «più in là».

È un’esperienza che ci aiuta ad una maggiore coscienza di noi stessi, del nostro limite, fatto di muscoli e mente. Come diceva san Giovanni Paolo II ai giovani della Val d’Aosta: «Qui, nelle montagne, si viene per trovarsi davanti ad una realtà geografica che ci supera e ci provoca ad accettare questo superamento, a superare noi stessi». Di cima in cima, seguendo una Bellezza sempre più grande, veniamo educati a questo. Buon cammino.