L'incontro al centro culturale "Il Sentiero" di Palermo.

La formula giusta si chiama "incontro"

Il 28 giugno nel capoluogo siciliano, la presentazione del libro-intervista al Papa di Andrea Tornielli. Non un momento culturale, ma l'imbattersi nelle storie difficili di due uomini, "investite" e cambiate dalla Misericordia
Francesco Inguanti

Far conoscere il “libro del mese” attraverso manifestazioni pubbliche è ormai una scelta consolidata per il Centro Culturale “Il Sentiero” di Palermo. Certo, le iniziative variano a seconda dell’importanza. Nello scorso ottobre, alla presentazione de La bellezza disarmata dove c’era l’autore Julián Carrón si erano radunate oltre seicento persone. Ma anche i momenti con meno affluenza possono rivelarsi importanti e, talvolta, sorprendenti.

Così è accaduto quando il libro-intervista del giornalista Andrea Tornielli al Papa, Il nome di Dio è Misericordia, ci è stato proposto come “libro del mese”. Da subito ci sono sorte molte domande: «Come facciamo a presentare un libro così importante? Ma visto che Il Papa non può venire, chi può presentarlo con altrettanta autorevolezza?». Finché ci siamo posti la questione in modo corretto: «Come si può presentare un libro sulla Misericordia senza metterci in discussione prima di tutto noi?». Così abbiamo cominciato a leggerlo, e per molti anche a rileggerlo, per scoprire, in noi e negli altri, cosa la Misericordia ha prodotto, i suoi segni nella vita di ciascuno.

Un confronto durato mesi, sempre in attesa di trovare la “formula giusta”. Poi, piano piano, è emersa l’ipotesi di lavoro. Non una “presentazione” di tipo tradizionale, ma un “incontro” che partisse dal libro. Ci sono venuti in mente i nomi di due testimoni che per ciò che era loro accaduto, potessero dire dell’intervento della Misericordia nella loro vita.

Il primo era Totò Cuffaro, l’ex presidente della Regione Sicilia, tornato da poco in libertà dopo cinque anni di detenzione nel carcere di Rebibbia. L’altro nome era Bekir Ben, sconosciuto per molti, noi compresi fino ad alcune settimane prima, un tunisino di 47 anni che da tempo risiede e lavora a Palermo. Uno che, lo ha raccontato lui stesso, a causa di alcune cattive amicizie si è trovato, suo malgrado, ad avere problemi con la giustizia: «Ho passato momenti veramente difficili e pensavo di non potercela fare». Poi, l’incontro con una assistente sociale e una pena scontata nell’opera “Speranza e Carità” fondata da Fratel Biagio Conte, che da oltre vent’anni accoglie quasi mille poveri, immigrati e italiani, in tre strutture cittadine.

Due storie di sofferenza e di dolore, ma anche di gratitudine e riconoscimento. Partite entrambe da una caduta dopo la quale la Misericordia si è fatta loro incontro.

Con loro ci è visti prima, per preparare l'evento. Ma mentre con Cuffaro si è cercato solo di circoscrivere le tante cose che avrebbe voluto raccontare, con Bekir si è trattato di compiere un faticoso lavoro per ottenere prima di tutto la sua fiducia e, poi, per individuare i contenuti da trasmettere in una lingua che non era la sua. E il ghiaccio si è sciolto davvero solo la sera prima dell’incontro, quando ha voluto che conoscessimo, in un ristorante tunisino arredato da lui, la moglie e i due figli di 6 e 4 anni. Una cena tra famiglie, che in una circostanza non prevista si sono incontrate su ciò per cui vale la pena vivere.

Poi la sera dell’incontro, il 28 giugno. Per introdurre le testimonianze abbiamo chiesto a don Lirio Di Marco, docente di Esegesi del Nuovo Testamento nella Facoltà teologica di Sicilia, di dire cosa avesse suscitato in lui questa lettura: «Questo libro chiarisce cosa sia la verità su ciò che è l’uomo e ciò che è Dio. Per il Papa, l’uomo è un essere profondamente ferito. Infatti, tutti noi, pur sapendo distinguere tra il bene e il male, vorremmo seguire la via del bene. Invece spesso cadiamo o scegliamo il male a causa della nostra debolezza. Da qui la necessità della Misericordia».

Cuffaro ha preso la parola: «Io credo che la Misericordia innanzitutto si propone a tutti gli uomini, dentro e fuori le carceri. A me è accaduto. Io l’ho ascoltata perché il bisogno di andarle incontro è più forte quando si vive una condizione di dolore, di sofferenza. Quando è così, è come se arrivasse questo Cristo misericordioso. E nonostante tu sia in una cella, riesce a liberarti dalle catene, dalle catene spirituali, dalle catene del pensiero. Bene, io posso testimoniare che ho faticato, perché la Misericordia ha faticato con me. Ho faticato per riscattare i miei errori, per riscattare il mio passato. Ma soprattutto ho avuto l’impressione che questa Misericordia ponesse un cardine per ricominciare a ricostruire il mio futuro».

Poi è toccato a Bekir: «Accettai di entrare a “Speranza e Carità" perché non volevo tornare in Tunisia, per giunta con condanna sulla testa. Da subito mi colpì un fatto: io ero musulmano, ma fui accolto dai molti cristiani, ai quali non importava più di tanto il perché fossi lì. Eravamo tanti, con storie diverse. Moltissime erano storie di sacrifici e dolori, di abbandono della propria terra e della propria famiglia. Ma tutto ciò non aveva alcuna importanza nella vita quotidiana. Subito Fratel Biagio, come fa con tutti quelli che arrivano, mi chiese cosa sapevo fare. Dissi che ero pittore. Da quel giorno appena c’era qualcosa da pitturare, ringhiere, pareti o mobili, chiamava me. E io cercavo di fare del mio meglio. Mi sembrava il minimo, visto che ero stato accolto in quel modo. Poi si accorsero che sapevo anche disegnare, e cominciai a dipingere quadri o pareti, secondo quello che era necessario. Sono rimasto lì otto anni, finché sono tornato un cittadino come prima, come tutti gli altri. Ma non era vero: quegli anni mi avevano cambiato».

Due storie che hanno colpito moltissimo i tanti del pubblico, perché hanno mostrato una Misericordia che si fa volto, accoglienza, comprensione. Che si fa compagna di ogni uomo che la desidera, a prescindere dalla sua appartenenza religiosa.

A volte può sembrare che sia una parola magica, quasi una fuga dal mondo. Invece, è un criterio per entrare nel mondo, però con un approccio diverso. La Misericordia non è buonismo, serve a stare nel mondo in modo diverso. E se il peccato ha un risvolto sociale, ce l’ha anche il perdono.

Bekir ha concluso il suo intervento con un impegno: «Vorrei dire un’ultima cosa sul libro di questa sera. Non l’ho ancora letto, me lo hanno regalato in questa occasione e prometto di farlo. Vivo da tanti anni tra voi a Palermo e seguo quanto accade in Italia e in Sicilia. So cos’è l’Anno della Misericordia, il Giubileo. E cosa significa passare attraverso una Porta Santa. Sono certo che non sia solo una grande opportunità per voi, ma per tutti».


Info: ilsentieropa.it