Chiavari, la mostra sui migranti.

Scuola-lavoro in mostra

Nella città ligure dal 27 febbraio al 5 marzo la mostra del Meeting sui migranti. A fare da guida, anche dodici ragazzi delle superiori. «Abbiamo scoperto cose importanti per tutti i giorni»

«Questi due mesi sono stati un’esperienza meravigliosa. Mi esce solo di dire grazie», Franco, sessant’anni, medico presso il centro di accoglienza migranti. «Comunque stiamo respirando aria fresca. Il cammino con Francesco e don Carrón sta facendo nascere fiori», Marco, trentotto anni, geriatra. Sono due dei messaggi del gruppo WhatsApp “mostra migranti” al termine dell’incontro pubblico di testimonianze avvenuto l’ultima sera dell’esposizione allestita presso l’oratorio dei Filippini di Chiavari. Proprio nelle ultime settimane in città si era scatenato un forte dibattito a seguito della presa di posizione dell’Amministrazione Comunale di rifiuto dello Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati, ndr). L’organizzazione della mostra era già partita da più di un mese e la sua realizzazione è avvenuta proprio nel momento in cui sui giornali uscivano le dichiarazioni dei Sindaci del Levante. La proposta della mostra è stata chiarissima: non una posizione pro o contro qualcosa, ma la sfida dell’incontro, l’apertura di conoscere e capire.

A gennaio, durante il primo incontro di preparazione, ci si era chiesti il motivo per cui volevamo farlo. Uno di noi aveva detto di esser rimasto colpito dalla domanda di don Giussani: «Tutti Lo stiamo aspettando. Ma siamo disponibili ad accoglierLo nella modalità in cui Lui si vorrà presentare a noi?», e a sua volta aveva chiesto: «E se questa modalità oggi fosse questa gente che arriva?». Ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che pochissimi di noi avevano un rapporto diretto con queste persone, mentre alcune realtà della diocesi stavano realizzando da qualche tempo esperienze di ospitalità e di coinvolgimento. Da lì l’idea di contattarli. La realizzazione della mostra è cresciuta in queste nuove relazioni. Durante la settimana di apertura, oltre a numerosi visitatori, si è palesata un’evidenza: i giovani, ridestati.

Alcuni insegnanti di scuola superiore hanno progettato un’alternanza scuola-lavoro, per cui dodici studenti hanno accompagnato numerose classi con visite guidate. L’orario di apertura è stato prolungato proprio per permettere la partecipazione di tutte le visite prenotate.
I volontari che facevano i custodi si stupivano della partecipazione dei ragazzi: vivace, interessata, interrogata umanamente. Difficile vederne qualcuno distratto o annoiato. Alla domanda se la loro partecipazione fosse motivata dai crediti didattici, la risposta è stata: «Studiando la mostra abbiamo scoperto cose importanti “esistenzialmente”, anche nei rapporti e negli interessi quotidiani, e questo ci ha cambiati». Una bidella, che aveva visto più volte rientrare le classi a scuola dopo la visita, osservando e ascoltando le discussioni degli alunni, ha fermato un’insegnante per chiedere gli orari di apertura della mostra perché voleva vederla anche lei.

L’evento pubblico di testimonianze, seguito da un ape-cena un po’ etnico, ha avuto una grande partecipazione. Hanno raccontato la loro esperienza: una famiglia dell’associazione Famiglie per l’Accoglienza, una giovane operatrice della fondazione Migrantes di Genova, una studentessa universitaria che partecipa all’“ospitalità diffusa” verso una famiglia nigeriana, e alcuni ospiti del centro di accoglienza migranti, intervistati dal loro medico.

La giovane universitaria ha raccontato del piccolo Gogstime, di quattro anni. Un giorno di sole lei lo ha accompagnato sulla riva del mare. Come sono arrivati sul lungomare, il bambino si è messo a piangere e le si è aggrappato addosso: aveva paura. Lei lo ha guardato e lo ha tranquillizzato. Lui si è fidato e si è fatto prendere per mano, lasciando la paura alle spalle. Un semplice esempio che lascia «stupiti che sia un uomo, un singolo uomo, la chiave di volta della soluzione dei nostri tormenti».

Giuse e gli amici della comunità di Chiavari