Giorgio Albertazzi.

Eliot, come un canto gregoriano

Giorgio Albertazzi apre il festival di teatro sacro a Varese con "I cori da La rocca". «È una sorta di quinto Vangelo. Amo in modo particolare l'ultima parte, quella dedicata alla "luce invisibile"». E promette che concluderà con un canto di Dante
Luca Fiore

«Sarebbe bello, alla fine, dire un Canto di Dante...». Lo farà? «Credo di sì». Alla vigilia della serata dedicata a I cori da “La rocca” di T.S. Eliot, che il 3 luglio apre il festival “Tra Sacro e Sacro Monte” a Varese, Giorgio Albertazzi promette un finale in grande stile.
Per l’attore fiorentino, 91 anni e la forza di un debuttante, non si può parlare di Eliot senza arrivare, in qualche modo, a lui, Dante, che del poeta inglese era il faro. «Amo molto Eliot, è da sempre uno dei miei poeti di riferimento. È forse il più grande del Novecento». Si ricorda di averlo incontrato un giorno, tanti anni fa, in un albergo di Londra. «Era ossessionato dalle malattie, si portava dietro una valigia piena di medicine. Ma era un uomo straordinario, di grande stile. Quando registrai La terra desolata scrisse a Roberto Sanesi, il traduttore, che avevo fatto un gran lavoro e auspicava che si facesse qualcosa di simile anche in Inghilterra».

I cori da “La rocca”? «Fu un tentativo fallito, come sappiamo. Alla critica non piacque e fu portato in scena soltanto una volta. È del 1934, tra Coriolano e Assassinio nella cattedrale, e si vede lo spostamento verso il teatro, eppure è un testo vicino a I quattro quartetti. Contiene parti davvero straordinarie. La fonte d’ispirazione, poi, è, come lo definisce altrove, “Cristo, la Tigre”. È una sorta di quinto Vangelo, potrebbe stare tranquillamente dopo quello di Giovanni».

Per Albertazzi la parte più bella è proprio l’ultimo coro, il decimo. Il meno citato, più misterioso: «È quello dell’invocazione, della richiesta di luce. Eliot è un poeta cristiano, cattolico, e a muoverlo, lo si capiva già ne La terra desolata, è il problema della salvezza. Qui, nel decimo coro, c’è l’invocazione nei confronti della “luce invisibile” di Dio perché ci faccia uscire dalle tenebre. Questo potrebbe dare l’impressione che si tratti solo di qualcosa di malinconico. Ma non è così, anzi: la sua poesia è sempre azione. E qui ha una sonorità che ricorda un canto gregoriano».

Dopo l’ouverture affidata ad Albertazzi e Eliot, il festival, diretto da Andrea Chiodi e promosso dalla Fondazione Paolo VI per il Sacro Monte di Varese, continuerà tra gli altri con Lucilla Morlacchi e Il grande inquisitore da Dostoevskij (17 luglio), Maddalena Crippa e uno spettacolo dedicato a Etty Hillesum (24 luglio), Carlo Pastori e A.U.F. Uno spettacolo Duomo (15 luglio) e un incontro con Aldo Nove sul suo nuovo libro dedicato a San Francesco Tutta la luce del mondo (25 luglio).


Per informazioni e il programma completo:
www.trasacroesacromonte.it