Gioele Dix.

Io e Renzo, diversi come due gocce d'acqua

Uno ebreo, l’altro di CL. Ma inseparabili. A trent’anni dalla morte dell’amico, Gioele Dix ha scritto e portato a Rimini uno spettacolo che con le sue grandi domande ha colpito molti. Dal Tracce di luglio-agosto, ecco come lui stesso lo aveva anticipato
Anna Leonardi

La prima volta al Meeting. Aveva fatto giusto un’incursione vocale nello spettacolo inaugurale dell’edizione 2015. Una partecipazione a distanza, che però ha innescato una serie di fatti che portano oggi Gioele Dix, 60 anni, attore di teatro, allievo di Franco Parenti e noto al grande pubblico per Zelig, sul palco della kermesse riminese. «L’idea di mettere in scena qualcosa per il Meeting è nata una notte dello scorso autunno», racconta l’attore milanese. «Otello Cenci, direttore artistico del Meeting, è venuto a vedermi ne Il malato immaginario. Chiacchierando gli ho confidato che ho sempre nutrito una forte curiosità per il Meeting, per questo popolo che vedo muoversi intorno. Anche quando i giornali hanno sottolineato gli aspetti più politici, io ho sempre conservato un’apertura, un desiderio di capire perché questa cosa esiste. E questo lo devo a un amico, Renzo Marotta, che ora non c’è più, ma con cui, per vent’anni, ho condiviso tutto: io ebreo e lui di CL».

Il racconto della loro amicizia è un cortocircuito immediato con il titolo del Meeting: “Tu sei un bene per me”. «Per anni mi sono chiesto che cosa sarebbe stato bello fare per Renzo. Mi tratteneva sempre il pudore di “lavorare” su una cosa così vera. Vedevo il rischio che diventasse qualcosa di strumentale. Ma poi quel titolo sembrava fatto apposta per noi». Renzo e Gioele, al secolo David Ottolenghi, si incontrano per la prima volta sul pianerottolo di casa: il primo ha 12 anni e il secondo 11, il primo ha una chitarra e il secondo no. «Ne desideravo tanto una anche io e siamo diventati amici per la pelle», racconta Dix. «Abbiamo passato l’adolescenza insieme: i giochi e le vacanze, lo studio e le ragazze. Lui entrava a casa mia, sfogliava l’ultimo libro, ascoltava un disco e se lo portava via senza neanche chiedere. Io non protestavo, perché facevo la stessa cosa. Era normale entrare nella vita dell’altro, desiderare quello che era l’altro». È durante gli anni del liceo che Renzo incontra l’esperienza di GS. «Forse è stato quello il momento in cui ci siamo resi conto che quello che ci univa era qualcosa di molto forte, proprio perché vedevamo che erano tante le cose che potevano allontanarci. Frequentazioni diverse, gusti diversi...».

Invece il dialogo non si esaurisce mai. Anzi, più la vita diventa piena, più il “traffico” tra i due si intensifica. «Non abbiamo mai smesso di guardarci. Non c’era un pezzo della vita dell’altro che non ci interessasse: la fede, il militare, il lavoro, la moglie e i figli. Una Pasqua, Renzo mi invitò ad una Via Crucis a Caravaggio dicendomi: “Dai, vieni a vedere”. Lì sentii per la prima volta don Giussani e capii dove nasceva il fascino di tanta gente. E capii profondamente Renzo». L’inverno del 1986 segna un altro punto fermo del loro rapporto: Renzo Marotta muore in un incidente d’auto. Ha trent’anni e un figlio di tre mesi. «Qui si apre la seconda parte della mia vita, quella senza di lui», racconta Dix. «Per anni sono andato avanti come un sopravvissuto, costantemente ferito. Mi trovavo con sua moglie per parlare di lui, cercavo i suoi amici per parlare di lui. Sopportavo male frasi del tipo “lui continua a guardarti da lassù”; mi sembravano piccole consolazioni.

Così, a un certo punto, ho deciso di voltare pagina». Però com’è che dopo trent’anni siamo qui a parlarne? «Perché io poi ho avuto tante cose belle e vere, ma “quella cosa lì” non l’ho più avuta. Renzo, nella sua assenza, ha lasciato una traccia indelebile. Altrimenti perché mi verrebbe voglia di telefonargli per dirgli: “Oh Renzo, ma lo sai che faccio uno spettacolo su di te al Meeting?!”. Oppure la domanda ricorrente: “Ma oggi io chi sarei, se lui fosse rimasto con me?”». Non è appena nostalgia, nelle parole prevale più uno stupore per il tempo che è passato senza togliere gusto a quel rapporto. «La situazione tra me e Renzo oggi è diversa da quella di ieri e io sto ancora cercando di farci il callo a questa nuova forma di amicizia».

Lo spettacolo del 24 agosto ha per titolo un verso della poetessa polacca Szymborska, “Diversi come due gocce d’acqua”. In scena, anche l’aiuto regia Sara Damonte. «Non voglio che sia una rievocazione, vorrei viaggiare lasciandomi trascinare da tutte queste domande che la nostra amicizia ha scoperchiato», precisa Gioele Dix. «In fondo, non è neanche importante conoscere Renzo, ma piuttosto quello che c’era tra di noi. Questo continuare a essere un bene per l’altro».