Il nuovo numero di "Oasis".

Per capire il Medio Oriente serve anche l'economia

Presentata a Roma l'ultima edizione della rivista della Fondazione Oasis. Uno sguardo al nostro tempo sotto il profilo economico, attraverso un dialogo con Lucio Caracciolo (Limes) e Vincenzo Buonomo (Diritto internazionale, Università Lateranense)
Anna Minghetti

Il Centro di “Russia Ecumenica” è in Borgo Pio, la strada in fondo a cui finisce l’Italia e comincia lo Stato del Vaticano. Qui, tra l’incanto delle icone dorate, il 14 settembre è stato presentato l’ultimo numero della rivista Oasis. La Fondazione, che dal 2004 studia il rapporto tra cristiani e musulmani nell’era della mescolanza culturale, ha invitato Lucio Caracciolo, direttore della rivista Limes, e Vincenzo Buonomo, ordinario di Diritto e Organizzazione internazionale dell’Università Lateranense , per un dialogo su “L’economia in questione. Oriente e Occidente nel travaglio della crisi”.

L’economia potrebbe sembrare un discorso astratto davanti alla concretezza delle immagini che, in questi giorni più che mai, ci parlano dei drammi che stanno sconvolgendo certe parti del mondo come la Siria, ma non solo. E invece, ha esordito Caracciolo, «l’interpretazione economica ci aiuta a capire cosa stia succedendo in Medio Oriente». Le rivolte che negli ultimi anni si sono avvicendate in quelle zone hanno tra le loro cause anche motivazioni economiche. Tuttavia, prosegue Caracciolo, l’approccio a questo tipo di problematiche non può essere «ridotto al puro carattere materiale». Come neppure l’economia può essere ridotta a mera teoria, trattata come un dato a sé stante, svincolata dal resto. «Cose così complicate e così implicate nella realtà non possono essere formalizzate come l’algebra. In questo modo avremmo dei modelli astratti ben fatti, ma poco applicabili ne concreto».

Infatti, restando sul lato economico, non si può non tenere conto del particolare periodo di transizione che la zona mediorientale sta attraversando in questo momento, una congiuntura storica intorno alla quale convergono più dissoluzioni. Intanto, quella degli Stati del periodo “post-ottomano”, dovuta al fatto che, tramontato l’impero turco, l’occidente ha di fatto imposto un modello che fatica a conciliarsi con la cultura islamica, come ha ricordato Buonomo. È stato poi sottolineato come i Paesi democratici dell’Ovest non sembrano in grado di liberarsi da questo tipo di errore, dal momento che tuttora si continua a guardare al Medio Oriente con occhi “occidentali”, come ad aspettarsi che accadano cose di cui non è ancora tempo. La seconda dissoluzione è quella del periodo “post ’89”, che vede nella crisi del 2008 la fine e il fallimento della società dell’opulenza.

Questi due fatti, le due dissoluzioni, sarebbero il fattore scatenante dell’eclissarsi del potere istituzionale, per far posto a dimensioni meno “gestibili” come quella etnico-religiosa. Lo abbiamo visto verificarsi in Libia, in Egitto. E sta accadendo in Siria, dove lo scontro assume sempre più i contorni di una guerra tra bande più che di una guerra civile, tanto che chi inizialmente tra i ribelli voleva dare una svolta civile alla rivolta è stato messo in disparte.

Tutto questo non aiuta a semplificare la vita dei cristiani, che non hanno mai trovato, di fatto, un “proprio posto” dopo la fine dell’Impero Ottomano. «Se consideriamo la realtà panaraba, la presenza cristiana è circa al 2%, e non riesco a vedere come tutti i cristiani scappati da queste terre possano tornare. Questo rappresenta una perdita terribile», ha detto Caracciolo.

Da ultimo non è mancato un accenno alla novità del magistero di Francesco nell’attuale contesto internazionale. Se da una parte Buonomo ha voluto sottolineare la continuità delle parole di pace del Papa argentino con l’appello del 2003 di Giovanni Paolo II per la guerra in Iraq, dall’altra ha rilevato alcuni fattori inediti nell’approccio del Pontefice gesuita: «Francesco parla spesso di “mediazione”, Giovanni Paolo II non usò mai questa parola. Questo indica come ci sia una dimensione più ampia, tecnica, terminologica». Oltre a questo, non si può di certo negare l’«aspetto personale» di papa Bergoglio, la sua partecipazione accorata: l’appello al digiuno e alla preghiera per la pace ha raggiunto l’opinione pubblica anche per questo.